lunedì 13 maggio 2019

Crisi culturale



UNA CRISI DI CIVILTA’

E’ in atto una crisi epocale in antropologia, che si manifesta sia nell’ampia “opinione pubblica”, sia nelle massime espressioni istituzionali della società civile (basta seguire i telegiornali o i “social media”), per la quale non sono riconosciuti i solidi principi tradizionali sull’uomo e sull’umanità. Si giunge così a un riduzionismo nella facoltà del “pensare” profondo che ci distingue, come simili ma non uguali, dagli altri viventi animali. Facciamo velocissimo cenno a cinque atteggiamenti o modi di “filosofare” che sembrano indicativi del disagio.
- Egocentrismo. Secondo il quale si pensa e si provvede alla realizzazione dell’individuo senza tener conto che questa si attua solo nel rapporto essenziale e necessario con la comunità umana; la quale invece è considerata un corpo estraneo e aggressivo. Ricordiamo quello che Guicciardini chiamava “il suo particulare”; pensiamo piuttosto allo schema “Io-Tu-Noi” di Martin Buber.
- Momentismo. Consiste nella progettazione di sé astorica, ignorando il passato culturale e concependo ottimisticamente il futuro in chiave fantasmagorica. Pensiamo alla frase che Faust (nell’Urfaust) pronuncia sulla proposta, peraltro finale, di Mefistofele: “All’attimo direi: sei così bello, fermati!”
- Arazionalsimo. Mi sembra qui di dovere segnalare l’atteggiamento di giudicare sé stessi ed ogni realtà con la sola chiave dell’istintività, come fa il sempre più esaltato Nietzsche nella glorificazione del dionisismo orgiastico.
- Utilitarismo. Che, togliendo la consistenza di “valore” alla categoria di “buono” e riconoscendo solo quella di “utile” e “piacevole”, considera le persone come pedine in una mondiale scacchiera economica. Come hanno fatto, in ambiente molto lontano dal nostro, Bentham e i due James e John Stuart Mill.
- Antropomonismo. Il quale si presenta con la tesi che nella costituzione dei “valori” non si possa attingere  anche a un livello superiore alla ragione dell’uomo. Come dice Kant, il quale attribuisce all’Illuminismo il merito di redimere l’uomo dalla “minorità”, cioè da “l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro”. E’ qui necessario introdurre una distinzione tra ragione e rivelazione. Il grande filosofo assume una concezione così “stretta” della ragione (“pura”) per cui esclude che con essa si possa provare  l’esistenza di Dio o altre realtà importanti, che (così dice) la Provvidenza ha voluto legare alla “naturale intelligenza degli uomini”. Quindi Kant, che era un devoto “pietista”,  non dava spazio alla teologia naturale, ma sapeva che la fede si deve dare alla rivelazione di Dio. Possiamo esserne più convinti se diamo uno sguardo a un’eredità teologica dell’Illuminismo che è il “deismo” di Voltaire, chiedendoci se, in questi ultimi secoli, l’umanità ha fatto proficui passi da gigante per raggiungere “le magnifiche sorti e progressive” (espressione ironica già in Leopardi) al fine di liberarsi da un Dio  personale, provvidente e normatore!

                                                                                     

venerdì 19 aprile 2019

Centralità della Pasqua



Pasqua di Morte e Risurrezione

Perché essa è il centro dell’identità e funzione di Cristo, del Cristianesimo, della fede e della storia umana? Possiamo proporre come motivo due temi.

I – La Pasqua è l’affermazione del Regno di Dio nella storia dell’umanità, in attesa del Regno senza fine.

A) Essa rappresenta la convergenza di due volontà di salvezza: quella di Dio e quella di Gesù Cristo
Dio aveva mandato il Messia, il suo Inviato per annunciare e attuare una società umana guidata totalmente  dal suo progetto di salvezza, cioè quella modalità del Regno di Dio che è nuova rispetto a quella per ora storicamente fallita nella vicenda travagliata dell’Alleanza con Israele. Ma il Popolo di Dio di quella che tradizionalmente chiamiamo prima Alleanza ha rifiutato l’Inviato convincendo l’autorità politica di occupazione a sopprimerlo con la Crocefissione.
Dio lo ha approvato solennemente risuscitandolo e con ciò costituendolo Signore non solo d’Israele ma di tutti i popoli della terra.
            At 2, 22-23.36

 B) In un inno riportato da Paolo l’Apostolo ci ha donato un approfondimento di questo evento: fu Cristo Gesù che scelse volontariamente di assumere in sé l’umanità e di farsi obbediente a Dio fino alla Morte di Croce.
            Per questo Dio Padre lo ha innalzato fino al suo rango di Signore; col quale nome nell’Antico Testamento si designava anche JHWH.
                        Fil 2, 6-11

Nell'Apocalisse di Giovanni il Signore risorto è indicato in colui che è in sella al cavallo bianco e porta scritto Re dei re e Signore dei signori, in attesa della fine, quando egli consegnerà il Regno a Dio Padre.
                        Ap 19,16; 1Cor 15,24

II - La Pasqua è la rivelazione di una realtà essenzialmente superiore all’ordine naturale; realtà alla quale Dio ci chiama in Cristo e nel suo Spirito.

L’uomo è il capolavoro della prima creazione; ma, in quanto creatura (e non un dio, come presumerebbe un moderno antropocentrismo), è strutturalmente fragile, soggetto al peccato e soprattutto destinato alla morte.
             Sal 8; Sal 49,15; Sal 89,49

In quello che chiama il suo “Vangelo” Paolo ci rivela che la Morte-Risurrezione di Cristo è la causa della risurrezione degli uomini che sono morti; fede-speranza cui deve essere attribuita la stessa certezza della Risurrezione del Figlio primogenito
             1Cor 15, 1-5. 20-23; Col 1,18
.
           Così Paolo può confortarci (cioè renderci forti nella fede) parlando di una nuova realtà, che, pur lasciandoci sperare e soffrire in questo mondo non rinnovato, ci fa vivere per la Risurrezione già fin d’ora nel mondo nuovo, quello della nuova creazione, dell’uomo nuovo, della conformazione al Cristo risorto
.                       Rm 8,29; 1Cor 15,49; 2Cor 5,17; Gal 6,15; Ef 2,15; 4,24; Fil 3,21; Col 3,9-10
                                                                                cfr anche 2Pt 3,13

Ricaviamo così una duplice verità di fede e di vita: col Mistero pasquale il Dio fedele ci salva sia dalla morte del peccato che dal fallimento definitivo nel nulla della nostra esistenza.


mercoledì 17 aprile 2019

Grande è il Mistero della Fede (II ed.)





In Coena Domini

L’istituzione dell’Eucaristia fa parte di un dramma molto più ampio di quello dell’Ultima Cena

Il peccato dell’uomo consiste nel rifiuto di Dio, nella ribellione a Lui come Padre, nell’abbandono dell’Alleanza.

I – Il Sacrificio di Gesù Cristo sulla Croce.

Il Figlio incarnandosi offre a Dio Padre sé stesso, cioè il "Corpo" (natura umana individuale) che gli è stato preparato, per la santificazione dei suoi fratelli (Eb 10, 5.10)
Nel cap. 9 la Lettera agli ebrei inoltre
- ci presenta Cristo che col suo Sangue versato sulla Croce accede "una volta per sempre" al Santuario del Cielo,
- e interpreta questo come l’atto di suprema adorazione obbediente del Figlio primogenito al Padre che ottiene il perdono dei peccati di noi, figli secondogeniti.
Il sacrifico eterno del Capo sarà perennemente ripresentato nella vita terrena della Chiesa, suo "Corpo" comunitario nello Spirito.

II – Anticipazione profetico-simbolica del Sacrificio della Croce e istitutiva dell’Eucaristia

Nell’Ultima Cena Gesù dona ai discepoli e a tutti noi il suo Corpo
Dona anche il suo Sangue:
- per la nuova ed eterna Alleanza
- in remissione dei peccati
E ci comanda di ripetere questo gesto fondativo in sua memoria annunciando la sua Morte finché Egli ritorni nella Parusia (1Cor 11,26)

Nota. Nella mentalità ebraica la celebrazione della sera appartiene alla liturgia del giorno seguente. Il fatto che tre tratti del sacrificio (presentazione del Pane-Vino, loro consacrazione e offerta al Padre del Corpo-Sangue) siano celebrati oggi e che la comunione, che è il quarto, sia trasferita al Venerdì è un segno che Eucaristia e Croce devono essere considerati un unico sacrificio.

III – Esecuzione in forma di memoriale dell’ordine di Cristo nella celebrazione eucaristica: reiterazione sacramentale della Cena, ma non della Croce

Ogni cristiano deve riconoscere Dio come Padre ed è chiamato ad offrirgli tutta la sua vita “in unione al Figlio incarnato che continua ad offrirsi nell’Eucaristia per la salvezza del mondo”. Si realizza qui l'Alleanza nuova nello Spirito, cioè della Legge scritta nel cuore dei fedeli (Ger 31,31-35), perché Dio e il suo Popolo "consentiranno nelle scelte".
La Chiesa rende presente e operativo il gesto dell’Ultima Cena in ogni celebrazione nel banchetto in cui tutti siamo figli del Padre e fratelli in Cristo. Per questo il Compendio del Catechismo può affermare: L'Eucaristia  "è il sacrificio stesso del Corpo e del Sangue del Signore Gesù, che egli istituì per perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della Croce...."
Così nel Sacramento – che è anche dono dello Spirito Santo - Cristo ci lascia il suo Corpo nella presenza reale.

Nota. Il Concilio di Trento precisa che la presenza del Corpo e Sangue di Cristo deve essere nell’ordine dei “segni” veri e non soltanto esterni (Denzinger, nn. 1606 e 1651)

IV - Si può concludere affermando che il Mistero eucaristico è la sintesi della fede-vita ebraico-cristiana
- in quanto atto di adorazione e ringraziamento a Dio, come sintesi dei vari sacrifici del Levitico,
- in quanto ricomposizione del giusto ordine dei rapporti con Dio dell'umanità che si era allontanata col peccato, 
- in quanto partecipazione di Cristo come offerente e come offerta, come proclamazione della sua Morte e affermazione della sua presenza come risorto,
- in quanto comunione dei credenti con Dio e fra di loro nello Spirito.


In pratica. La celebrazione eucaristica, preghiera della Chiesa al Padre in unione a Cristo e nella comunione dello Spirito, non deve mai ridursi a una festa tra fratelli.

martedì 9 aprile 2019

Bibbia e omelia



LA SACRA SCRITTURA E’ LA FONTE PRINCIPALE DELLA PREDICAZIONE E CATECHESI

Diamo per scontato che Parola di Dio è sia quella oralmente proclamata che quella scritta sotto ispirazione (Bibbia).

Concilio ecumenico Vaticano II - Dalla Costituzione sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum concilium”
24. Nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell'omelia e i salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici. Perciò, per promuovere la riforma, il progresso e l'adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga favorito quel gusto saporoso e vivo della sacra Scrittura, che è attestato dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali.

52. Si raccomanda vivamente l'omelia, che è parte dell'azione liturgica. In essa nel corso dell'anno liturgico vengano presentati i misteri della fede e le norme della vita cristiana, attingendoli dal testo sacro. Nelle messe della domenica e dei giorni festivi con partecipazione di popolo non si ometta l'omelia se non per grave motivo.

Concilio ecumenico Vaticano II – Dalla Costituzione sulla Divina Rivelazione “Dei verbum”
21. La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio » (Eb 4,12), « che ha il potere di edificare e dare l'eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).

24. La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima della sacra teologia [37]. Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa stessa parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.

Benedetto XVI, Sacramentum caritatis (e. a. postsinodale) [ 22-II-2007 ]
46. In relazione all'importanza della Parola di Dio si pone la necessità di migliorare la qualità dell'omelia. Essa infatti « è parte dell'azione liturgica »; (139) ha il compito di favorire una più piena comprensione ed efficacia della Parola di Dio nella vita dei fedeli. Per questo i ministri ordinati devono « preparare accuratamente l'omelia, basandosi su una conoscenza adeguata della Sacra Scrittura ».(140) Si evitino omelie generiche o astratte. In particolare, chiedo ai ministri di fare in modo che l'omelia ponga la Parola di Dio proclamata in stretta relazione con la celebrazione sacramentale(141) e con la vita della comunità, in modo tale che la Parola di Dio sia realmente sostegno e vita della Chiesa.(142) Si tenga presente, pertanto, lo scopo catechetico ed esortativo dell'omelia. Si ritiene opportuno che, partendo dal lezionario triennale, siano sapientemente proposte ai fedeli omelie tematiche che, lungo l'anno liturgico, trattino i grandi temi della fede cristiana, attingendo a quanto proposto autorevolmente dal Magistero nei quattro ‘pilastri' del Catechismo della Chiesa Cattolica e nel recente Compendio: la professione della fede, la celebrazione del mistero cristiano, la vita in Cristo, la preghiera cristiana.(143)

Nella prassi.
Il buon senso e il senso pastorale consigliano
- di proporre idee e comportamenti (al massimo due) ricavati dalla Bibbia proclamata e pregata (convinti che ciò interessa molto più di quanto possa ricavare da essa qualche illustre omileta);
- di chiederci a quale stadio storico della rivelazione essi appartengano (evitando di assolutizzare certe affermazioni storicamente "datate" specialmente dell'Antico Testamento);
- di spiegarli in un linguaggio che sia contemporaneo e comprensibile al comune fedele;
- di applicarli alla situazione concreta della vita dei fedeli che ascoltano.

lunedì 25 marzo 2019

Quale Famiglia?



Avvertenza. Il giorno 19 di marzo ho mandato la lettera seguente a un quotidiano che una volta mi pubblicava tutto (o quasi); ma forse questa volta la ciambella non è riuscita col buco.....La ripropongo qui con piccole modifiche nella solennità dell'Annunciazione del Signore. Faccio presente che non voglio inutilmente percorrere la china pericolosa della polemica partitica contingente, ma evidenziare le premesse filosofiche della soluzione del problema.


In questo periodo di accese contrapposizioni, magari politiche, s’inserisce, proprio su un rovente argomento etico qual è la concezione della famiglia che ciascuno dovrebbe avere, la pletorica presa di posizione della quasi totalità dei docenti dell’università della mia città Verona, nella quale è programmato appunto il relativo Congresso. Se è lecito da parte di un “umile operatore nella vigna del Signore” muovere delle critiche al verdetto di così elitario consesso, proverò ad esprimere due rilievi più che altro metodologici; anche se questi godono della fortuna delle opinioni che per decenni vengono considerate intangibili da quella che il Manzoni chiamerebbe maliziosamente vox populi.

Il primo rilievo concerne il diffusissimo scientismo esclusivista, che ritiene le scienze sperimentali, operative, matematiche, uniche produttrici di dati e calcoli sufficientemente attendibili, ma condanna all’insignificanza le conoscenze e riflessioni sulle realtà spirituali, quali l’Io, che concernono i valori, per esempio quelli etici. Mi sembra  scelta saggia far tesoro dello spiritualismo e personalismo, di autori come Maine de Biran, Boutroux, Bergson, Mounier; come di altri importanti filoni di pensiero. Noto di passaggio che forse è sfuggita all’estensore del documento protestatario la scarsa conseguenza nell’uso del concetto di scientificità in chi aveva inteso contestare  “l’espressione di un gruppo organizzato di soggetti che propongono convinzioni etiche e religiose come fossero dati scientifici”,  mentre assicura che “il codice etico dell’università di Verona, assieme ai principi della libertà della ricerca e dell’insegnamento, afferma quelli dell’uguaglianza…..” (i corsivi sono miei). E qualcuno è qualificato come docente di filosofia morale.

Il secondo rilievo riguarda lo storicismo assoluto, che consente di eliminare  senza pietà ogni visione filosofica del passato, trascurando il fatto che, quando si tratta dei valori e realtà spirituali, può essere incancellabile la sentenza per esempio di Seneca, di Pascal, nei confronti delle acquisizioni, luccicanti ma talvolta fulminee come meteore, elaborate dalla superscienza attuale. Con ciò si rende possibile al “filosofo del bar” decretare defunte tutte li idee espresse nel Medio evo (ma l’università non è nata proprio in quel periodo?). Purtroppo questo andazzo è possibile quando ci si affida ai fuochi pirotecnici degli slogan della cultura del provvisorio (“non cederemo sui diritti acquisisti”; “vogliono recludere la donna in casa”), quando ognuno vede la crisi della famiglia, l’aumento dei misfatti degli adolescenti e giovani, eccetera, ai quali ci ha introdotto l’iniziale rifiuto della filosofia della realtà, che è la (seppur rinnovata) metafisica. Ma ogni voglia deve essere sacrificata sull’altare dell’imminente venuta di questo benedetto Mondo nuovo.

                                                                                              mons. Antonio Contri
                                                                                 già docente in istituti universitari cattolici

venerdì 22 febbraio 2019

Due scorci sulla Parola



Scrivo qui due “appendici” su argomenti che nel blog ho già trattato, l’una provocata dalla domanda di una religiosa e l’altra dalla meditazione di questa mattina.

Il “gan” dei due alberi (Gen 2-3)

E’ considerato un argomento non del tutto chiaro anche da tutti gli interpreti. Anche perché l’autore sacro, per comunicare un’idea, ha preso in prestito nel  linguaggio le similitudini dei “racconti” sapienziali  (che nel senso ampio oggi si classificano “mitici”) della sua cultura, che era quella mesopotamica.
Aggiungo che questa teologia del male, la più comune nella predicazione-catechesi di molti secoli, non è l’unica né la migliore, perché porta all’amartocentrismo (la storia della salvezza sarebbe fondata sull’hamartìa = peccato), mentre la teologia paolina (vedi soprattutto Colossesi ed Efesini) è chiaramente cristocentrica (ma naturalmente anche con questa rimaniamo in buona sostanza nel mistero)
Il fondamento filosofico vero sta qui: la morte (come tutti gli altri mali, fisici e morali) è segno inequivocabile della nostra creaturalità, finitezza, mortalità, peccabilità (che la Bibbia semitica definisce con la parola “carne”).

Ho trovato uno dei pochi testi abbastanza comprensibili nella Bibbia Piemme, ma mi permetto di aggiungere alcune mie osservazioni e precisazioni.

Più che di due alberi, il testo biblico intende parlare di due “ruoli” dello stesso albero. Perché, secondo me, era molto difficile far comprendere il rapporto causale tra colpa e morte dell’uomo
Mente in 2,9 appaiono per la prima volta gli alberi come due (albero della vita, in mezzo al giardino ["gan"]; albero della “conoscenza” del bene-male), in seguito appare più volte l’albero che sta in mezzo al giardino (chiamiamolo albero base).
Quest’albero è quello del bene-male (2,17; 3,3-6.11.17), e ne è proibito l'accesso con la conseguente minaccia della punizione della morte
L’albero della vita ricomparirà alla fine del racconto simbolico della cacciata dall’eden (3,22-24): l’uomo col peccato si è impossessato del potere di determinare il bene e il male (autonomia etica), che è assolutamente in mano del solo Dio; mentre la cacciata dal paradiso è imposta per evitare che l’uomo s’impossessi del dono dell’immortalità

Alla richiesta di ulteriori indicazioni ho ritenuto utile aggiungere quanto segue: 

Mettevo in conto "a priori" la non totale comprensibilità della mia "ridottissima" soluzione. La soluzione che conduce a pensare che il dolore-male è sempre e solo risultato di una colpa è stata assunta come unica da secoli di riflessione teologica (specialmente occidentale), anche perché nell'AT è messa in discussione solo tardivamente dal libro di Giobbe, che "non sa dare una risposta al problema (della retribuzione)" e di Qohelet, che "nega qualsiasi rapporto fra giustizia e felicità, fra iniquità e sventura" (le citazioni sono di Paolo Sacchi), ma è stata seguita costantemente da quasi tutti gli altri libri AT.

Per comprendere che cosa Genesi intenda realmente per "morte", è necessario fare ricorso a quel grandioso quadro di Rom 5,12 - 7,6 in cui san Paolo mette in connessione la caduta e la morte spirituale ed eterna (di cui la morte fisica è il segno) del "primo adàm (uomo)" col mistero di morte e risuscitamento del Cristo e infine col rito sacramentale d'immersione e rivificazione del Battesimo che prospetta davanti a noi la visione luminosa di "viventi" ritornaiti dai morti, grazia, dono, vita eterna (= divina) per/in Gesù Cristo, "vita" dello Spirito "nuovo".
Anche la Chiesa cristiana ha faticato non poco a comprendere la lezione suprema: l'unico innocente che è Gesù Messia è morto in Croce! Ci voleva tutta la forza di san Paolo a proporre quello che ho chiamato "cristocentrismo" (cfr Col 1,15-20: creazione e redenzione nel Cristo Primogenito): il centro originario della storia della salvezza non è il peccato del progenitore Adamo (sul quale non fa mai tema la storica predicazione di Gesù), ma la morte per Amore di colui che è venuto in questo povero mondo per redimere "il peccato del mondo" (Gv 1,29). Tanto che, secondo il grande teologo francescano Giovanni Duns Scoto, l'Incarnazione fu voluta per se stessa; quindi, anche se l'uomo non avesse peccato, il Figlio di Dio si sarebbe incarnato.
Io personalmente, dopo aver insegnato per 35 anni teologia dogmatica, ho raggiunto l'ancora della....salvezza approfondendo per anni la teologia biblica (dove si raggiunge il massimo della sicurezza). Ma il nostro "popolo di Dio" ha bisogno di sentire rivelazioni su rivelazioni facendo viaggi di centinaia di chilometri (?). Mi occorrerebbe più tempo per parlare di più (solo con persone che sono "aperte" a capire le vere novità). Saluti in Cristo, che è l'unico Verbo.
Sulla struttura composita di Mt 16,13-23

Possiamo parlare di tre sezioni nel testo matteano confrontandole con le parallele di Marco, di Luca e anche con le analoghe di Giovanni

Sezione A: Mt 16,13-16
Alla domanda di Gesù “E voi chi dite che sia il Figlio dell’uomo?” Simon Pietro risponde ampliando la dichiarazione di Marco: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; risposta che si esprime in Lc 9,20 con “Il Cristo di Dio”. Cfr la parallela di Gv 6,69: “Il Santo di Dio”, dove la domanda verteva sul Figlio dell’uomo (6,62)

Sezione B: Mt 16,17-19
Questa sezione, che quasi tutti i biblisti riferiscono alla presa di coscienza della comunità post-pasquale illuminata dallo Spirito Santo, contiene i famosi versetti della rivelazione del Padre, del macarismo e duplice incarico di Pietro, della permanenza della Chiesa
Non si trova nei paralleli di Marco e di Luca, ma il brano matteano può esssere letto come un'anticipazione di quanto si troverà in Gv 21,15-17: Pasci i miei agnelli, le mie pecore. Nel primo l'incarico a Pietro era motivato da una delle gambe su cui cammina la Chiesa di Cristo; la Fede; nel secondo, dall'altra cioè dall'Amore.

Sezione C: Mt 16,20-23
v. 20: Proibizione di propagare che egli era il Cristo
v. 21: Predizione della serie di rifiuti che egli avrà (dove Mc e Lc specificano: Figlio dell’uomo)
v. 22s: Gesù disapprova l’incomprensione di Pietro e lo chiama Satana. Quest’ultima affermazione non trova posto in Luca, ma l’evangelista la sostituisce con la sua versione del “canto del gallo” (22,31-34) “Simone, Simone, Satana vi ha cercati per vagliarvi (….) E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli”. E qui ritorna ancora una volta Gv 21,15-17.


domenica 6 gennaio 2019

Dove nasce la Cristologia?



INIZI  DEL  CRISTIANESIMO


Inizi dell’azione salvifica centrale

Diversi atti sono quelli comprensivi dell’ingresso del Figlio di Dio, Logos, nella storia dell’umanità e del cosmo:
-          Incarnazione del Logos
-          Nascita, vita, insegnamento di Gesù il Cristo
-          Morte, Risurrezione, Ascensione, Effusione dello Spirito.
La movenza è cronologicamente progressiva, in avanti

                                                     Inizi della rivelazione dell’atto salvifico

Dopo un preludio costituito dall’annuncio lanciato dal Gesù terreno del veniente Regno di Dio,
nella predicazione (kerygma) della Chiesa apostolica nata a  Pasqua (che Paolo focalizza nel “vangelo”) si passa molto lentamente per quattro tappe (o momenti della “nascita” della Cristologia) che trovano riscontro nei testi del Nuovo testamento:
-          Risuscitamento (Rom 1,3-4)
-          Battesimo nel Giordano (Marco)
-          Nascita da Maria (Luca e Matteo nei vangeli dell’infanzia)
-          Preesistenza, nascita da Dio Padre (Giovanni nel prologo del Vangelo e della prima lettera)
La movenza è riflessivamente regressiva, a ritroso, e passa (secondo la TOB)
-          nel testo paolino, dal riconoscimento del Figlio di Dio in senso messianico, dotato come Signore della pienezza delle prerogative divine.
-          in Gv 1, alla proclamazione del Logos, che era rivolto verso Dio, ed era (senza articolo) Dio, Unigenito, che è nel seno del Padre.

Evidentemente le celebrazioni dell’anno liturgico seguono il primo schema; il lavorìo della Chiesa pensante (teologi) segue invece il secondo.
Per molti secoli il magistero dei pastori, anche per combattere le eresie, ha ritenuto necessario seguire lo schema incarnazionista. D'altra parte, dopo il benedetto rifiorire degli studi biblici, si è dato il caso di chi tende a condurre nella nebulosità l'Incarnazione; e questo diventa un ammanco "pejor priore".

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I  VANGELI

Perché non abbiamo un solo "vangelo"? Perché abbiamo anche altri libri nel Nuovo Testamento?
        Perché la persona-azione-missione di Gesù è inesauribile, insondabile. Perché il NT è cristocentrico e, nella visione trinitaria comprendente lo Spirito, Dio Padre è l'Alfa e l'Omega. Quindi il Cristo è in persona la Parola incarnata (Giovanni 1,14) che scende a noi dall'Origine unica che è il Padre.
Perché i "vangeli" sono nati tardi?
           Quattro date (indicative):
                                30 Risurrezione di Gesù e nascita della Chiesa
                                50 Inizio delle lettere di san Paolo
                                65 Vangelo scritto da san Marco
                                80  Vangeli di Matteo e Luca

Mentre i vangeli sinottici ci conservano una "cristologia implicita", la Fede cristiana e la Chiesa sono nate dal Mistero pasquale (Morte-Risuscitamento-Effusione), secondo quanto ci viene riferito della solenne proclamazione di san Pietro a Pentecoste: "Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (Atti 2,36).
       Quattro attività (Atti 2,42):
                                 Insegnamento degli Apostoli
                                 Comunione di vita da risorti
                                 Cena eucaristica
                                 Preghiere
                                  
La comunità così costituita
- trasmise, specialmente nelle celebrazioni, il ricordo di ciò che aveva fatto e detto il Gesù terreno,
- comprendendolo, sotto la guida dello Spirito Santo, sempre più profondamente;
- lo mise in scritto adattandolo alla situazione delle singole Chiese.                                            

(Vedere il paragrafo 19 della costituzione dogmatica “Dei verbum” del Concilio ecumenico Vaticano II)