venerdì 22 febbraio 2019

Due scorci sulla Parola



Scrivo qui due “appendici” su argomenti che nel blog ho già trattato, l’una provocata dalla domanda di una religiosa e l’altra dalla meditazione di questa mattina.

Il “gan” dei due alberi (Gen 2-3)

E’ considerato un argomento non del tutto chiaro anche da tutti gli interpreti. Anche perché l’autore sacro, per comunicare un’idea, ha preso in prestito nel  linguaggio le similitudini dei “racconti” sapienziali  (che nel senso ampio oggi si classificano “mitici”) della sua cultura, che era quella mesopotamica.
Aggiungo che questa teologia del male, la più comune nella predicazione-catechesi di molti secoli, non è l’unica né la migliore, perché porta all’amartocentrismo (la storia della salvezza sarebbe fondata sull’hamartìa = peccato), mentre la teologia paolina (vedi soprattutto Colossesi ed Efesini) è chiaramente cristocentrica (ma naturalmente anche con questa rimaniamo in buona sostanza nel mistero)
Il fondamento filosofico vero sta qui: la morte (come tutti gli altri mali, fisici e morali) è segno inequivocabile della nostra creaturalità, finitezza, mortalità, peccabilità (che la Bibbia semitica definisce con la parola “carne”).

Ho trovato uno dei pochi testi abbastanza comprensibili nella Bibbia Piemme, ma mi permetto di aggiungere alcune mie osservazioni e precisazioni.

Più che di due alberi, il testo biblico intende parlare di due “ruoli” dello stesso albero. Perché, secondo me, era molto difficile far comprendere il rapporto causale tra colpa e morte dell’uomo
Mente in 2,9 appaiono per la prima volta gli alberi come due (albero della vita, in mezzo al giardino ["gan"]; albero della “conoscenza” del bene-male), in seguito appare più volte l’albero che sta in mezzo al giardino (chiamiamolo albero base).
Quest’albero è quello del bene-male (2,17; 3,3-6.11.17), e ne è proibito l'accesso con la conseguente minaccia della punizione della morte
L’albero della vita ricomparirà alla fine del racconto simbolico della cacciata dall’eden (3,22-24): l’uomo col peccato si è impossessato del potere di determinare il bene e il male (autonomia etica), che è assolutamente in mano del solo Dio; mentre la cacciata dal paradiso è imposta per evitare che l’uomo s’impossessi del dono dell’immortalità

Alla richiesta di ulteriori indicazioni ho ritenuto utile aggiungere quanto segue: 

Mettevo in conto "a priori" la non totale comprensibilità della mia "ridottissima" soluzione. La soluzione che conduce a pensare che il dolore-male è sempre e solo risultato di una colpa è stata assunta come unica da secoli di riflessione teologica (specialmente occidentale), anche perché nell'AT è messa in discussione solo tardivamente dal libro di Giobbe, che "non sa dare una risposta al problema (della retribuzione)" e di Qohelet, che "nega qualsiasi rapporto fra giustizia e felicità, fra iniquità e sventura" (le citazioni sono di Paolo Sacchi), ma è stata seguita costantemente da quasi tutti gli altri libri AT.

Per comprendere che cosa Genesi intenda realmente per "morte", è necessario fare ricorso a quel grandioso quadro di Rom 5,12 - 7,6 in cui san Paolo mette in connessione la caduta e la morte spirituale ed eterna (di cui la morte fisica è il segno) del "primo adàm (uomo)" col mistero di morte e risuscitamento del Cristo e infine col rito sacramentale d'immersione e rivificazione del Battesimo che prospetta davanti a noi la visione luminosa di "viventi" ritornaiti dai morti, grazia, dono, vita eterna (= divina) per/in Gesù Cristo, "vita" dello Spirito "nuovo".
Anche la Chiesa cristiana ha faticato non poco a comprendere la lezione suprema: l'unico innocente che è Gesù Messia è morto in Croce! Ci voleva tutta la forza di san Paolo a proporre quello che ho chiamato "cristocentrismo" (cfr Col 1,15-20: creazione e redenzione nel Cristo Primogenito): il centro originario della storia della salvezza non è il peccato del progenitore Adamo (sul quale non fa mai tema la storica predicazione di Gesù), ma la morte per Amore di colui che è venuto in questo povero mondo per redimere "il peccato del mondo" (Gv 1,29). Tanto che, secondo il grande teologo francescano Giovanni Duns Scoto, l'Incarnazione fu voluta per se stessa; quindi, anche se l'uomo non avesse peccato, il Figlio di Dio si sarebbe incarnato.
Io personalmente, dopo aver insegnato per 35 anni teologia dogmatica, ho raggiunto l'ancora della....salvezza approfondendo per anni la teologia biblica (dove si raggiunge il massimo della sicurezza). Ma il nostro "popolo di Dio" ha bisogno di sentire rivelazioni su rivelazioni facendo viaggi di centinaia di chilometri (?). Mi occorrerebbe più tempo per parlare di più (solo con persone che sono "aperte" a capire le vere novità). Saluti in Cristo, che è l'unico Verbo.
Sulla struttura composita di Mt 16,13-23

Possiamo parlare di tre sezioni nel testo matteano confrontandole con le parallele di Marco, di Luca e anche con le analoghe di Giovanni

Sezione A: Mt 16,13-16
Alla domanda di Gesù “E voi chi dite che sia il Figlio dell’uomo?” Simon Pietro risponde ampliando la dichiarazione di Marco: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; risposta che si esprime in Lc 9,20 con “Il Cristo di Dio”. Cfr la parallela di Gv 6,69: “Il Santo di Dio”, dove la domanda verteva sul Figlio dell’uomo (6,62)

Sezione B: Mt 16,17-19
Questa sezione, che quasi tutti i biblisti riferiscono alla presa di coscienza della comunità post-pasquale illuminata dallo Spirito Santo, contiene i famosi versetti della rivelazione del Padre, del macarismo e duplice incarico di Pietro, della permanenza della Chiesa
Non si trova nei paralleli di Marco e di Luca, ma il brano matteano può esssere letto come un'anticipazione di quanto si troverà in Gv 21,15-17: Pasci i miei agnelli, le mie pecore. Nel primo l'incarico a Pietro era motivato da una delle gambe su cui cammina la Chiesa di Cristo; la Fede; nel secondo, dall'altra cioè dall'Amore.

Sezione C: Mt 16,20-23
v. 20: Proibizione di propagare che egli era il Cristo
v. 21: Predizione della serie di rifiuti che egli avrà (dove Mc e Lc specificano: Figlio dell’uomo)
v. 22s: Gesù disapprova l’incomprensione di Pietro e lo chiama Satana. Quest’ultima affermazione non trova posto in Luca, ma l’evangelista la sostituisce con la sua versione del “canto del gallo” (22,31-34) “Simone, Simone, Satana vi ha cercati per vagliarvi (….) E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli”. E qui ritorna ancora una volta Gv 21,15-17.


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