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sabato 3 marzo 2018

Chiesa o Scrittura?



PRIORITA’ FONDATIVA DELLA CHIESA O DELLA SCRITTURA?

Chi vuol esaminare i poco conosciuti inizi della comunità cristiana si trova di fronte a due note obiezioni:
-          Gesù ha annunciato il Regno ed è nata la Chiesa (Loisy)
-          Gli inizi del Cristianesimo mancano di una base logica, perché la Chiesa è basata sul Nuovo Testamento e i libri di questo acquistano autorità in quanto scelti dalla Chiesa (Diderot)
Queste frasi "ad effetto" manifestano il difetto di considerare la Chiesa come una società esclusivamente “umana” da costituire con un atto singolo firmato davanti a un notaio.
Con Pascal dobbiamo accettare il limite fondamentale del pensiero dell'uomo: "Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose  che la sorpassano". Quindi, se "das Wahre ist das Ganze", le conquiste della Ragione devono essere impreziosite dal "donum" della Rivelazione.
Noi riteniamo che la Chiesa, comunità di Verità e di Grazia, affondi le sue radici sovraumane nell’automanifestazione divina che veicola Rivelazione e  Salvezza. Ragion per cui il cuore della sua formazione è da riconoscere nel culmine dall’automanifestazione divina che è il Mistero pasqua-pentecostale. Per cui all’origine della Chiesa e della Scrittura dobbiamo riconoscere il “debar JHWH” (parola ed evento). Che in fondo è “in persona” il Signore Gesù, Alpha e Omega.


Basterà la seguente “scaletta” distribuita in tre periodi per argomentare sommariamente questa impostazione.

1.      Gesù di Nazaret annunciava che “si è fatto vicino” il Regno di Dio. Ma non si può provare che pensasse a costituire una “comunità”.
2.      I suoi discepoli diffusero ciò che egli “disse e fece”. Ma al suo arresto si dispersero.
3.  Gli stessi credettero a chi l’aveva “conosciuto” Risuscitato da Dio ed effusore dello Spirito, e testimoniarono questa fede, per la quale furono perseguitati come “gruppo” dalle autorità del Giudaismo.

4.      Il fariseo persecutore Saul incontra in visione il Risorto, che lo rimprovera perché da lui viene perseguitato in quel “gruppo” di testimoni, col quale mirabilmente s’identifica: “Perché mi perseguiti?”.
5.     Paolo ne deduce che il ”gruppo” è il “corpo”, cioè la “ekklesia” di Cristo, il sacramento chiamato a rendere presente il Regno di Dio per quanto è possibile in questo “eone”, nella beata speranza di quello che non ha mai fine. Il "buon annuncio" cristiano, prolungando la salvifica azione d’illuminazione veritativa e di aiuto spirituale inaugurata nel Mistero pasqua-pentecostale, raggiunge così, dopo le comunità giudaiche, anche molte popolazioni pagane del Mediterraneo.

6.      Alcuni discepoli – a imitazione degli agiografi del Primo Testamento (Scrittura ebraica) - mettono in scritto tre (seguiti da un quarto) libretti (Evangelo quadriforme) che espongono la comprensione delle “chiese” secondo gli sviluppi “teologici” verificatisi negli ultimi quattro decenni del primo secolo (o poco più oltre).
7.     Altri discepoli aggiungono soprattutto lettere di contenuto teologico, etico ed esortativo, che coi Vangeli formano il Nuovo Testamento. Questi nuovi agiografi ampliano progressivamente il centro assoluto costutuito dalla Cristologia fino a giungere all'esposizione di tutta la nuova Rivelazione definitiva. I responsabili delle chiese selezionano quei libri che esprimono la vera tradizione che era partita dai “detti e fatti” di Cristo e li riconoscono “ispirati” dallo Spirito che Gesù aveva promesso (attribuendoli a conosciute personalità ecclesiali).

martedì 5 settembre 2017

C'è oggi il Modernismo?



SUL  MODERNISMO  CATTOLICO

            I
Chiariamo, per quanto è possibile in un argomento così complesso e delicato, i termini del contendere.

Modernismo: una parola che incute preoccupazione o conduce a rigetto in chi sa che il Cristianesimo è una religione rivelata, la quale trasmette un dato essenziale che è depositato fin dall’origine e contenuto nel Nuovo Testamento. Però il Cristianesimo non può essere un blocco o una statua di marmo, ma un organismo che vive, cresce  e opera nella storia degli uomini, con la comprensione e l’adattamento delle nozioni e dei testi. C’è un brano importante, ma non sempre attentamente considerato, nel Concilio Vaticano II[1]: “Questa tradizione, che trae origine dagli apostoli, progredisce nella chiesa sotto l’assistenza dello Spirito santo; infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti (….), sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità (….); così Dio, il quale  ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito santo (....) introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo”.
Cerchiamo di vedere che queste due dimensioni, negativa e positiva, possono essere vicine e considerate insieme.

Lo sviluppo della verità cristiana segue due vie:
- Corrente principale. Secondo Tertulliano[2], lo sviluppo segue questa trafila: da Cristo – agli apostoli – alle chiese – le chiese compongono alcune Scritture, le conservano integre e le interpretano secondo il principio che la verità precede l’eresia
- Corrente coassiale. Procede dallo Spirito - agli apostoli[3] - alle chiese – che svolgono le importanti funzioni appena ricordate.
Se il dato fondamentale è contenuto nel passato, potremo avere delle novità da scoprire, ma non da inventare di sana pianta (come nel caso dello gnosticismo vecchio e nuovo)

II
Il Modernismo e una sua possibile valutazione

Il modernismo teologico si colloca nel periodo del papato di San Pio X che univa due prospettive: 1) una vita di pastore zelante e concreto, riformatore con provvedimenti necessari e utili sia sulla struttura della chiesa (come su curia, seminari, diritto canonico) sia sulla vita religiosa dei fedeli (come su liturgia, sacramentaria, catechesi attenzione ai laici), unita a uno scrupoloso attaccamento alla minuta tradizione ecclesiale; 2) un atteggiamento – attribuibile a lui personalmente e a collaboratori da lui appositamente scelti - verso le idee nuove che, a voler essere benevoli, era segnato da mancanza di analisi della svolta culturale secolarizzante europea in atto, da propensione alla conservazione, da arroccamento e centralizzazione, da “persecuzione” indiscriminata anche di autori che poi saranno riconosciuti ineccepibili e valorizzati ad alti livelli.
In estrema sintesi diremo che, come la Chiesa cattolica era precedentemente mancata  a un giusto incontro con la scienza (vedi eliocentrismo, evoluzionismo), in quel periodo stava “perdendo il treno” dell’incontro con la storia, che ora quasi tutti riconosciamo doveroso e richiesto da considerazioni anche teologiche di fondo. Il Papa pastore si è accorto che la comunicazione della fede-vita cristiana non funzionava come nei secoli passati; ed ha scelto di potenziare il metodo (per portare un esempio) di un costruttore di radio riceventi a cristalli (a galena), invece di cercare un metodo più moderno come quello della radio a reazione (a valvole, a transistor). Dobbiamo dire però che ha così evitato l'errore, proprio dei "novatores" ad ogni costo, di privarsi del prezioso strumento della radio.

Con quale spirito d’animo dobbiamo oggi accostarci al modernismo per evitare di cadere nelle secche di una diatriba inutile e dannosa?
L’incontro benefico e meritorio della Rivelazione cristiana con alcune giuste acquisizioni del pensiero moderno richiede che ci allontaniamo dai due opposti estremi: 1) dall’adesione preconcetta agli errori giustamente evidenziati dal magistero della Chiesa; 2) dalla mentalità “sanfedista” che porta ad es. a una lettura fondamentalista e letteralista dei testi composti da uomini credenti del primo millennio avanti Cristo. L’enciclica Pascendi assume come avversario una forma generalizzata di modernismo che non è possibile attribuire a nessuno dei grandi studiosi condannati, e inoltre ne mette in evidenza solo gli errori, ridotti a brevi frasi diversamente interpretabili dagli agguerriti contendenti.
E’ facile per me indicare come testo risolutivo il Concilio ecumenico Vaticano II, interpretato però secondo le chiarissime illuminazioni regalateci da Papa Benedetto[4]


III
I tre punti cruciali

Secondo gli studiosi del fenomeno, si tratta di tre aspetti vitali dell’esistenza cristiana: importanza delle Scritture, storia dei dogmi, ecclesiologia.

A – Problematiche tra Bibbia e Chiesa

Uno dei problemi veramente centrali nel secolo della Riforma era questo: fra Bibbia e Magistero chi ha il diritto di giudicare l’altera pars? I cattolici (come faceva un po’ esagerando il già citato Tertulliano) rispondevano: la Chiesa; i protestanti invece: affermavano: sola Scriptura.
Dalla Riforma in poi il cattolicesimo risenti di un complesso d’inferiorità che gli faceva avere una….sacra paura della Bibbia, la cui interpretazione, che diventava talvolta manipolazione a partire dal testo latino, doveva essere riservata al Concilio (e quindi al Papa).
Ma i cattolici avevano un’ulteriore difficoltà da superare, soprattutto l’idea dell’ispirazione come “dictatio mechanica”. Cominciamo a chiarire qualcosa, dicendo che, come ogni educatore e insegnante, Dio per comunicare coll’uomo e salvarlo si abbassa al suo livello  di comprensione (intelletto) e di capacità di scegliere il bene (volontà).
Se uno ha letto (e magari un po’ studiato) la Bibbia, capisce che la Parola di Dio ci è trasmessa non allo stato puro, ma attraverso le storie e i linguaggi degli uomini; chi legge “materialmente” la Bibbia nulla capisce, perché non tiene conto della diversità delle lingue bibliche, dei “generi letterari”, delle epoche storiche, delle culture dei popoli, dei loro comportamenti e comprensioni teologico-morali, della diversità dei codici  in cui viene trascritta la Bibbia, della difficoltà di traduzione di concetti qualificanti, ecc. Se avessimo tenuto conto di questi fattori, avremmo meglio capito come affrontare le ragioni di Lutero e compagni, di Galilei, di Darwin, ecc. che si presentano come giuste.
Non è possibile allora prendere un’affermazione della Bibbia e dichiararla eterna e immutabile, provocando un comprensibile sconcerto nell’animo raffinato dell’uomo d’oggi. Come esempi portiamo tre casi: 1) progressi all’interno dell’AT, come nei primi secoli dall’enoteismo al monoteismo jahvistico; 2) superamento di alcune istituzioni, come l’anatema ordinato da Dio (1Sam 15), o la legge del taglione; 3) superamento di altre istituzioni o usanze passando dall’AT al NT, come per la guerra santa, o guerra di YHWH (1Sam 25,28; 28,18; Es 15,3), per arrivare ad accettare tranquillamente la guerra, come fa Gesù nelle parabole e Paolo negli esempi; o per la superiorità dell’uomo sulla donna secondo Paolo
Come in pratica si usava la Bibbia nelle nostre parrocchie? I comuni fedeli non dovevano nemmeno leggerla, i preti mancavano di nozioni di esegetica e di ermeneutica, e comunque la leggevano in latino. Con quali risultati di comprensione, chi ha un po’ di pratica dell’uso (e abuso) della Scrittura di allora può vederlo da questi pochi esempi:
- Gen 3,15 “Ipsa conteret caput tuum” in realtà  dice così: Egli ti colpirà alla testa
- Gen 14,21 “Da mihi animas cetera tolle” in realtà significa: Dammi le persone
- 1Sam 15,2 “Deus exercituum” in realtà significa: Dio delle schiere del cielo
- Qo 1,4 “Terra autem in aeternum stat” dice che le generazioni passano, ma la terra rimane
- Mc 8,35 “Animam salvam facere” dice questo della vita
- Lc 11,41 “Quod superest date eleemosynam”, cioè: Date ciò che sta sul piatto…
- At 20,17.28 parla di presbiteri che poi sono chiamati "epìskopoi'[5], non distinguendoli
- Rom 5,12 “In quo omnes peccaverunt” non dice che in Adamo tutti hanno peccato
- Rom 12,1 “Rationabile obsequium” si riferisce al culto spirituale
- Ef 5,32 “Sacramentum hoc” traduce “mysterium”

B – Storia “aperta” dei dogmi, o loro fossilizzazione?

            Quando io studiavo teologia per prepararmi al presbiterato, il testo più importante e indiscutibile era l’Enchiridion symbolorum… del Denzinger; in ogni tesi si adducevano, ma solo in seconda battuta, pochi(ssimi) testi biblici estrapolati dalla traduzione latina Vulgata e “usati” come pezza d’appoggio alle dichiarazioni solenni dei Concili o dei Papi. E i buoni parroci custodivano una vecchia edizione della Bibbia per poterne ricavare aneddoti e illustrazioni per gli alunni del catechismo. Tanto che un testo del magistero ecclesiastico appariva (almeno in pratica) più fisso e irreformabile di un’affermazione della Scrittura[6] . Per divina Provvidenza poi ci è stato donato un testo che parla di studi teologici: “Lo studio della sacra Scrittura (….) deve essere come l’anima di tutta la teologia (….). Nell’insegnamento della teologia ‘dogmatica’, prima vengano proposti gli stessi temi biblici……”[7].
            Intendendo qui con ‘dogma’ una verità religiosa o morale trasmessa dalla grande tradizione[8] e presentata come obbligatoria, dobbiamo affermare che, anche nelle dichiarazioni solenni, mentre la verità affermata è sopra la storia, il linguaggio con cui è espressa è ricavato da una filosofia propria di un tempo e di una cultura. Per portar un esempio conosciuto, all’interno del secolo IV il termine filosofico hypòstasis, che nell’anatema posto alla fine del Credo Niceno (325) era usato come sinonimo di ousìa, nella lettera sinodica inviata a Roma nel 382 a esplicazione delle decisioni del I concilio di Costantinopoli è preso come sinonimo di pròsopon, mentre ousìa è sinonimo di physis[9] .Una definizione dogmatica non si riferisce agli aspetti nuovi di un problema teologico che si presenteranno nei secoli seguenti, perchè non ha la funzione della diga, ma degli argini del fiume (R. Cantalamessa).
            Un esempio di cambiamento di posizione può esser visto nel delicato argomento della necessità della Chiesa per la salvezza: mentre nel 1302 Bonifacio VIII nella bolla Unam sanctam affermava solennemente: “Dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l’essere sottomessi al romano pontefice, è per ogni umana creatura, necessario per la salvezza” è venuta a liberarci da questa evidente esagerazione  - dopo un significativo intervento del S. Ufficio ai tempi di Pio XII - la teologia ecumenica del Concilio Vaticano II[10]
            Alcune dichiarazioni sono state nuovamente interpretate dalla teologia cattolica. Un esempio lo troviamo nella dichiarazione che Gesù istituì tutti e sette i sacramenti della Chiesa; che reinterpretato può essere letto così: Cristo ha voluto la Chiesa come sacramento generale, dalla quale Chiesa apostolica sono germinati i sacramenti, in particolare quelli che sono insufficientemente nominati nella Scrittura. D’altra parte dobbiamo tener presente l’inaspettata  affermazione del Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, che al n. 11 dichiara: “Nel mettere a confronto le dottrine (i teologi cattolici) si ricordino che esiste un ordine o ‘gerarchia’ nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana”. Ciò consente di leggere, pur nella fedeltà,  più serenamente il ‘preoccupato’ Credo del Popolo di Dio, da Paolo VI solennemente proclamato il 30 giugno di quel tormentato1968 al termine dell’Anno della Fede.

C – Quale concetto di Chiesa?

Mi auguro che non venga frainteso il modo con cui presento la Chiesa che nella riforma “piana” Papa Sarto ha proposto come antitetica a quella del Modernismo: un modello di tipo controriformista, nel quale tendo a far notare soprattutto le lacune che distanziano la Chiesa di Dio dall’ideale voluto da Cristo. Faccio questo pur sapendo che la Chiesa animata dallo Spirito si fonda sulla professione della Fede, sull’amministrazione dei Sacramenti e sulla guida dei Pastori.
Io che sono veneto fin nelle midolla mi permetto di sottolineare che Pio X ha in realmente proposto un modello che è caratteristico della Chiesa veneta del XIX secolo:
- Una Chiesa ordinata, col culto dell’obbedienza cieca, che reprime ogni respiro fatto “a finestre aperte”; con una morale che apprezza la buona reputazione più della buona condotta, che ricorre alla delazione più che alla correzione fraterna, che usa severità con i peccati contro la castità più che con quelli contro la carità.
- Una Chiesa senza fondamenti consistenti, basata su devozionismo, sacramentalismo, dolorismo
- Una Chiesa non fondata sulla Parola di Dio, né sull’approfondimento teologico (come appare dal pur pregevole Catechismo detto di Pio X, che riduce a poche unità le citazioni della Bibbia), ma sulla prassi pastorale consolidata piuttosto che sulla ricerca del pensiero dell’umanità concreta che doveva ricevere il messaggio di vita
- Una Chiesa che provvede maternamente a un fedele che rimane sempre bambino, con la cultura, le esigenze e i problemi del bambino.
- Una Chiesa che si ritiene società perfetta, “senza rughe” (Ef 5,27), che non vive nella Speranza della forma perfetta escatologica, non consapevole che quaggiù lo Spirito ci è dato solo come "primizia e caparra" (San Paolo); che non pensa a convertirsi perché deve convertire gli altri (povero Rosmini con le cinque Piaghe!)
- Una Chiesa che – come tutto il Cristianesimo occidentale del secondo millennio – ignora la funzione ecclesiostrutturante dello Spirito santo[11]
- Una Chiesa ben corazzata che vive verso il culmine di quel movimento del centralismo papale[12] – le cui origini risalgono all’XI secolo con la “riforma gregoriana” e il distacco definitivo della Chiesa d’Oriente[13] - che tende a sconfinare nel culto della persona
- Una Chiesa che nelle varie dimensioni si considera guida anche della società civile.

Concludendo
Pur ricordando la gustosa ironia con cui il Manzoni (nel cap. XXII del romanzo) punzecchia  i prudenti devoti dell’ “in medio stat virtus”, mi sembra di essere rimasto nel giusto mezzo, e “ci sto comodo”, ritenendo che il binomio vero-bene non abita necessariamente solo nel vecchio, né necessariamente solo nel nuovo.


[1] Costituzione sulla divina Rivelazione, Dei verbum, n. 8
[2] Nel De praescriptione haereticorum, scritto attorno all’anno 200.
[3] Pensiamo a Paolo e all’ultimo principale redattore di Giovanni negli anni della recezione e riflessione. Per Paolo, si contano periodi di 3 anni “in Arabia”, di pochi anni a Tarso, di 14 anni prima di iniziare i viaggi e quindi la scrittura delle lettere autentiche (mentre lui stesso parla di apokàlypsis, rivelazione); per il vangelo secondo Giovanni,  gli studiosi parlano di un testimone e di almeno due fasi di redazione, prima dell’aggiunta del capitolo finale.
            [4] In vatican.va: Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005
[5] Fa meraviglia che il Concilio di Trento (Denzinger, nn.1768, 1777) si sforzi di dimostrare che gli episcopi sono superiori ai presbiteri citando At 20,28, mentre nel Novum Testamentum del Merk presbyteroi è tradotto accortamente con maiores natu.
[6] Mi si consenta di citare quella che non voleva essere solo una boutade: un vecchio parroco di fede…tridentina diceva al suo giovane collaboratore: “Ma quante stramberie (o peggio…) sono contenute nella Bibbia!”
[7] Concilio ecumenico Vaticano II, Decreto sulla formazione sacerdotale, Optatam totius, n. 16. Mi si consenta ancora di dare notizia che, di questo documento, il 12 novembre 1964 fu relatore in aula conciliare il mio vescovo mons. Giuseppe Carraro (vedi D. CERVATO, Il piccolo vescovo dell’Eucaristia, Verona, Postulazione 2015, p. 348s); il vescovo volle che il decreto fosse immediatamente applicato dal 1965 nello Studio teologico San Zeno, nel quale ho prestato servizio per 35 anni. Da notare che quell’aggettivo ‘dogmatica’ oggi sarebbe mutato in ‘sistematica’ (col quale però da noi si indica uno dei cinque ‘momenti’ del trattato)
[8] Vincenzo di Lérins, morto prima del concilio di Calcedonia, ci dice qual è la grande tradizione: “Quod ubique, quod semper, quod ab omnibus” è stato creduto; “Crescat (….) sed in suo dumtaxat  genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu, eademque sententia” (Commonitorium, capitoli 2 e 23. Vedi Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, 1984, vol. II, col. 3595). Questa seconda affermazione è stata fatta propria dal Concilio Vaticano I (Denzinger, n. 3020). Ma dichiaro più bravo di me chi trova spesso insieme realizzate tutte le condizioni elencate.
[9] Conciliorum oecumenicorum decreta, Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973, rispettivamente alle pp. 5 e 28.
[10] Vedi rispettivamente il Denzinger, al n. 875 e ai nn. 3866-3873, e la seconda parte della Costituzione sulla Chiesa del Vaticano II, Lumen gentium, capitolo II, nn. 15-16
[11] Mi addolora la lettura della Nota aggiuntiva “Sostituzioni e alibi dello Spirito santo”, in Y. CONGAR, Credo nello Spirito santo, volume I, Queriniana, Brescia 1982, pp. 180-186, secondo la quale la funzione dello Spirito sarebbe stata occupata dal Papa, dalla Vergine Maria e dal culto al santissimo Sacramento. Vedi l’ironia del grande ecclesiologo J. A.. Moehler che nel 1823 scriveva: “Dio ha dato la gerarchia, e la chiesa ne ha più che a sufficienza sino alla fine del mondo” (citato in W. KASPER – G. SAUTER, La Chiesa luogo dello Spirito, Queriniana, Brescia 1980, alle pp. 13 e 71).
[12] Se qualcuno vuole stracciarsi le vesti per questa mia posizione critica che sa di “apertura”, prima di farlo si legga per favore i nn. 55, 61, 95 dell’enciclica Ut unum sint, scritta nel 1995 da Giovanni Paolo II, che secondo i soliti bene informati aperto non era.
[13] Vedi il classico studio di teologia storica Y. CONGAR, L’Eglise de saint Augustin à l’époque moderne, Du Cerf, Paris 1970.

domenica 13 agosto 2017

Num Deus sit



KANT : “CONCLUSIONE” DELLA CRITICA DELLA RAGION PRATICA

In questa pagina famosa il filosofo dà una sintesi finale delle sue due prime “Critiche.”

Due cose, che vediamo dinanzi a noi e sono connesse  immediatamente coll’autocoscienza:

CIELO STELLATO SOPRA DI NOI
LEGGE MORALE IN NOI

Comincia dal luogo che occupiamo nel mondo esterno; e dal movimento dei tempi
Comincia dal mio io invisibile, percepito solo dall’intelletto
In uno spazio immenso
In un mondo infinito
Accidentalmente collegato col mio io
Necessariamente collegato col mio io
Per breve tempo
Va verso l’infinito
Abbassa la mia importanza: a creatura animale
Mi innalza come valore di una intelligenza per una vita indipendente da quella animale e dal mondo sensibile
Si deve ragionare con metodi matematici per capire il mondo
Si deve procedere distinguendo l’empirico dal razionale per dare un giudizio morale

Per Kant l’uomo, che è un tutto unico, vive in due dimensioni: quella cosmica del determinismo e quella morale della libertà. L’attività della prima è la conoscenza, quello della seconda è l’azione
L’ambito della prima è quello della “natura”; l’ambito della seconda è quello della “persona” dotata di spiritualità; per questo la seconda è superiore alla prima.

E’ possibile sottoporre a (alcune) critiche le due prime Critiche di Kant?

Scorrendo semplicemente un corso di storia della filosofia per licei, si trovano molti nomi di autori che hanno criticato il pur grande filosofo. Per esempio: Hamman, Schopenhauer, Schelling, Hegel, Mendelsshon, Galluppi, Rosmini, Schreder, Hartmann, Heidegger, Plechnaov, Lenin, Adorno, Piaget, Popper, Wittgenstein, Maréchal, Mercier, Zamboni.

A)    A proposito della “Critica della Ragion pura”

Per gran parte degli autori moderni, che sono positivisti, empiristi e scientisti, è difficile capire che Kant partiva da un presupposto (possiamo dire: pregiudiziale?) che necessariamente esclude Dio da vie conoscitive che usano i mezzi matematico-sperimentali (o cibernetici).
A difesa della metafisica, uno dei commentatori di Kant, Giuseppe Defrenza (Critica della Ragion pura, pp. 87-92, Roma, 1966), muove alcune contestazioni, come queste: il principio di causalità, riconducibile a quello di non contraddizione, deve essere applicato anche oltre il contingente né può essere limitato ai “fenomeni”; l’argomento cosmologico per l’esistenza di Dio si aggancia alla realtà degli esistenti; Kant usava contrapporre il pensare e il conoscere sensibilmente; egli non faceva distinzione fra l’intuizione e il suo contenuto; né teneva conto che anche la scienza newtoniana ha subìto innovazioni e trasformazioni.
Lo spirito umano “legge” e cataloga le leggi che guidano gli oggetti esterni. I principi fondamentali sono frutto di intuizione semplice sulla realtà, di una ragione “superiore”, non di calcolo complesso, né di sentimento (come invece pensava Jacobi)

B)     A proposito della “Critica della ragion pratica”

E’ utile ricordare che Kant era un sicuro e fervente credente, aderente al Pietismo - corrente del luteranesimo nei secoli XVIIs - e poneva una decisa divaricazione tra fede e scienza, tanto da scrivere: “Ho dovuto sopprimere la scienza (intende: restringere il suo campo?) per far posto alla fede”
Non sembra comunque accettabile la sua riduzione della religione a morale e la sua negazione delle religioni rivelate (Si noti che in generale i Protestanti non amano il concetto di “religione” e il connubio di fede e ragione). Non possiamo accettare  Kant che dice (secondo la sintesi che ne fa G. F. Morra, Critica della Ragion pratica, pp. 162, Vicenza 1968): L’uomo che agisce moralmente non sa se Dio esiste, ma crede che Dio esiste, agisce come se Dio esistesse”. I postulati per lui appartengono non al sapere, ma alla fede, che poi si riduce a morale  (ibid. 142, 144, 147).

C)    San Tommaso dice che Dio è oggetto di fede, perché non si vede, ma aggiunge che il Creatore si può raggiungere attraverso il principio di causalità, in quanto le cose create sono visibili. Vedi Fernando Fiorentino (Università del Salento), La probatività delle cinque vie in san Tommaso, documento pdf in internet, pag 45 (sul principio di causa, vedi nota 82 a pag. 64).

Siccome  Kant aveva come punto di confronto la complicata teoria delle scienze di Wolff, penso che sia utile proporre qui una teoresi dei Modi di conoscere

a) Modi del “So” (che portano solitamente alla “certezza”)
- Per esperienza
- Per calcolo
- Per intuizione (diretta)
- Per metafisica, come nella sua declinazione di filosofia della religione (teismo, non deismo); si tratta di un atto dell’intelletto

b) Modi del “Credo” (che conducono solitamente all’affidamento a una persona e all’accettazione dei suoi messaggi)
- Attestazione vocale o scritta o visiva, o strumentale (che riguarda le nostre relazioni interpersonali, compresi gli impegni)
- Attestazione della coscienza-conoscenza universale (filosofica e morale)
- Attestazione soprannaturale-rivelata, che riguarda la storia delle religioni positive e si esprime nella Fede (che in quanto virtù appartiene al dominio della volontà)
             Nella "descrizione" biblica della fede in Eb 11,1 abbiamo un concetto profondo che tentiamo di esprimere così: sicurezza delle realtà lontane nel tempo futuro e non percepibili dall'attuale capacità visiva. Questa dichiarazione esprime le due dimensioni dell'affidamento a Dio che è caratteristico del cristiano: a) la Fede, cioè credere che il Regno definitivo è gia venuto anticipatamente col Mistero pasquale, nell'azione di Cristo e nel dono del suo Spirito; b) la Speranza, cioè l'attesa della novità del Regno finale che verrà alla conclusione della storia della salvezza; conclusione che comporterà anche c) il dono totale della Carità verso Dio con cui siamo vissuti a Lui orientati e si prolungherà nella Vita vera che è eterna.

Può fungere da emblema la conosciuta affermazione di C. G. Jung: “Io non credo all’esistenza di Dio per fede, io so che Dio esiste”.
Anche nelle ultime discussioni suscitate dal teorema di un matematico moravo di origine tedesca (vedi in web: teorema K. Gödel prova esistenza Dio) si è appurato che all'esistenza di Dio si giunge non per calcolo, ma per logica (quindi: filosofia)

           D) Ritengo che si debba optare per una comprensione globale del pensiero di Kant, rispondendo alla domanda: Quale forma di adesione alla realtà è superiore in quanto espressione di tutto l'uomo?
Dobbiamo apprezzare la certezza di tipo matematico, "scientifico", per indagare il fenomenico, nel regno della quantità, dominata dalla necessità (e dal computer). Ma non possiamo sottostimare la certezza di tipo morale, per indagare il noumenico, nel regno della qualità, guidata dalla libertà (e della coscienza). La totalità delle possibilità dell'essere umano è data dall'applicazione cognitivo-operativa, soprattutto di quella che si fonda sui superiori valori dello spirito. Altro è l'acquisto di una bicicletta e altro è la scelta del coniuge per tutta la vita; Altro è la guida dell'automobile e altro la scelta fra odio e amore, fra guerra e pace.
         Dario Antiseri osserva che qualche posizione di Kant "dipende unicamente dal radicato pregiudizio "scientistico'  che lo portava ad ammettere come 'conoscenza' pleno iure  solo quella di tipo matematico-geometrico e quella di tipo galileiano-newtoniano"; osserva pure che Kant "giunge a denominare 'metafisica della natura' lo studio del complesso dei principi che costituiscono le condizioni della scienza della natura; ma è evidente che tale metafisica è l'epistemologia della scienza galileiano-newtoniana.....". L'illustre studioso ricorda inoltre che il filosofo riconosceva "il primato della ragion pratica rispetto alla ragion pura", richiamando che aveva affermato un tempo, a proposito delle prove dell'esistenza di Dio: "la Provvidenza non aveva voluto legare una conoscenza così importante a sottili ragionamenti, ma alla 'naturale intelligenza degli uomini' " (in Giovanni Reale - Dario Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, vol. II, La Scuola, Brescia 1987 [VIII ed.], rispettivamente alle pp. 686, 668, 691, 650)
            Lasciatemi citare qualche espressione in proposito: "Lo maggior don che Dio per sua larghezza creando fesse....fu de la volontà la libertate" (Dante, Paradiso, V, 19-22); L'albero sommamente simbolico del paradiso (Genesi, capitoli 2-3) non è del vero-falso, ma della 'conoscenza' del bene-male; "Mi sono riappacificato con l'idea di morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremo mai a fare un atto di piena fiducia. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre un'uscita di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente. Di Dio" (Carlo Maria Martini).

Per suggerire un “piccolo itinerario” a partire dal mio Io

Come pista di lancio prendiamo i due mondi dell’uomo: esteriore e interiore, per cui io cammino, sono ferito, penso, calcolo, avverto di fare il male…..

Mi sento collocato al confine tra il mondo della natura e quello del pensiero (io sono il microcosmo dell’universo)
Sono contingente, soggetto al tempo, a una successione “non esistenza/esistenza/non esistenza”, devo la mia esistenza a una coppia di esseri umani; penso che la prima coppia della serie umana deve aver avuto l’esistenza da un “altro” (Teniamo volentieri conto che oggi per molti teologi essere creatura significa dipendere nell’esistenza piuttosto che essere inserito nella serie degli esistenti)
Mi sento limitato da tempo e spazio, ma sono assetato d’infinto, assoluto, eterno; calcolo quanti giorni son passati dal plenilunio e mi chiedo cos’è l’ente tempo
Percepisco i sintomi di una malattia e mi chiedo cos’è la malattia che agisce in me

Dovunque nei vari settori della realtà esistono finalismo e ordine trovo necessario farli risalire a un essere intelligente e potente, cioè a una persona (non natura). A maggior ragione ciò deve essere ammesso nei riguardi di tutta la realtà; per la quale l’essere originante deve essere sommo e illimitato..

Poniamo come esempio due domande sulla realtà di ciò che sta fuori di noi.
-          In medicina, la conclusione diagnostica (che richiama etimologicamente il conoscere “attraverso”) ricavata dall’internista è di ordine diverso e superiore ai molti dati misurati dagli strumenti di laboratorio?
-          In fisica, la scoperta (ben diversa dall’invenzione) della legge della gravità universale fatta dall’intelletto di Newton è superiore e diversa dall’osservazione di mille contadini che vedono cadere le mele dagli alberi?

          Questa diversità di natura tra il fenomenico e l’intellegibile ha condotto Platone alla scoperta della “seconda navigazione”, la metafisica. Se così non fosse, si avrebbe come supremo inganno il fallimento totale del pensiero umano. Si giunge all'assurdo chiamato nichilismo quando alcuni "filosofi" di belle speranze presumono di dimostrare la non esistenza  della conoscenza intellettuale proprio facendo uso di questa conoscenza propria dell'uomo. In un saggio recente un certo Roberto Marchesini indica l'animalità quale unica chiave di lettura alla trasversalità della conoscenza e parla del nuovo paradigma della "filosofia animale".

          Anche nel campo morale possiamo chiederci se non sia necessaria una legge eteronoma (eventualmente da rivelazione) di fronte al generale fallimento etico dell'umanità nella decantata epoca della ragione, dell'indipendenza, dell'idolatria della libertà, del progresso automaticamente positivo, dell'assoluta supermazia dell'uomo su ogni realtà. Viviamo ai bordi dell'incubo che l'uomo, confidando nel proprio attivismo e proclamando la scomparsa dei valori, corra come un gigante cieco verso la notte dell'abisso. "Quod dii omen avertant"
           Poniamoci qualche domanda pertinente, ad esempio: i mezzi di comunicazione aiutano a capire qual è la condotta morale che realizza l'ideale di uomo? difendere il matrimonio tradizionale equivale all'assicurazione di una delle strutture fondamentali della società? Non sembra proprio, se ascoltiamo il sussurro delle sirene come nel titolone del più diffuso quotidiano d'Italia: Tradire nell'era del "diritto alla felicità". Servono bene allo scopo quegli "specchi per allodole" che sono le parole: diritto, felicità, filosofia, psicologia, nuovo, avanguardia, cambiamento....Anche se ci si trova costretti a passare a più bassi traguardi nei quali può essere ingabbiato l'uomo "caccatore": istinto animale, condizione animalesca, era dell'anti-innocenza.

            Che "mondo" sarebbe quello in cui
- oltre il misurabile non fosse possibile ammettere il reale?
- oltre il contingente non fosse possibile ammettere l'assoluto?
- non si distinguesse oggettivamente tra bene e male?
- oltre i diritti non si potesse parlare di doveri?

E’ possibile portare delle prove resistenti ad ogni critica degli amatori della filosofia.

La prove popolari potevano bastare secondo il Kant degli scritti precritici, come “L’unico argomento possibile per dimostrare l’esistenza di Dio” (1763); dove porta l’argomento che “la Provvidenza non ha voluto legare una conoscenza così importante a sottili ragionamenti, ma alla ‘naturale intelligenza degli uomini’ ”. Poi è venuta la famosa “rivoluzione copernicana”

Ho la soddisfazione di aver trovato un’impostazione “scientifica” della prova metafisica in un filosofo veronese, mons. Giuseppe Zamboni (1875-1950): era un seguace del belga card. Désiré Mercier (1851-1926), arcivescovo di Malines, che tentò una rilettura del tomismo più sensibile alle conquiste del pensiero moderno, e nell’opera principale, Critériologie générale (1899), scrisse una sua interpretazione della gnoseologia tomista.
Negli anni 1921-1931 Zamboni fu professore ordinario di Criteriologia e gnoseologia all’Università Cattolica di Milano (cattedra allora unica in tutta Italia). Propose un veramente nuovo modello di metafisica che prende le mosse dalla “gnoseologia pura”, “fenomenologia del dato conoscitivo elementare nella coscienza e nell’autocoscienza attuale del soggetto conoscente”. L’incomprensione del suo pensiero arrivò alle dimissioni dall’incarico, per le ostilità della dirigenza dell’Università, fedelmente ossequiente ai principi della neoscolastica.
La sua opera principale, La persona umana, uscì in prima edizione nel 1940. Oggi l’abbiamo nel volume La persona umana, Edizione riveduta e introdotta da Giovanni Giulietti, Vita e Pensiero, Milano 1983, pagine 9°-83°, 1-591. In questa vasta prateria dal densissimo pensiero egli dedica 110 pagine alla possibilità di raggiungere razionalmente l’esistenza di Dio. Per la complessa articolazione del discorso e per l’eccessiva parcellizzazione degli argomenti (l’indice comprende ben 29 pagine), trovo conveniente citare qualche passo dell’Introduzione dovuta al nominato professore universitario Giulietti (1915-2011), nella quale egli ci offre una chiara e autorevole sintesi.
“Lo Zamboni riconosce alla Dialettica Trascendentale kantiana di aver distrutto la metafisica; ma quella che essa ha distrutto è la metafisica che Kant aveva ereditato dal razionalismo, la metafisica dell’esistenza, la metafisica del fatto di esistere, non la metafisica dell’atto di essere. La metafisica dell’essere, ossia dell’atto di essere, rimane intatta dalle critiche di Kant, le quali del tutto la ignorano” (79°). “La sostanzialità e la causalità risultano proprietà della realtà, e non soltanto esigenze di una fantomatica ragione pura universale (Io trascendente)” (80°).

La chiave interpretativa della metafisica zamboniana – consistentemente fondata sulla gnoseologia (58°) - è reperibile in queste affermazioni: Dobbiamo partire da una realtà, sicuri che la mente umana oltrepassa l’esperienza (70°s). “Il soggetto pensante non comincia certo dall’ens in communi, ma dal concetto di qualcosa che esiste….” (….) “Non è che la realtà cominci con l’ente universalissimo e che poi si completi fino a diventare l’individuo reale” (54°). Questo vale in quanto “un individuo è (…) un’essenza (….) realizzata da un actus essendi” (62°). “Il frutto dell’analisi sulla costituzione intima di tutti gli enti dell’esperienza, viene dallo Zamboni indicato nei tre termini esistenza, essenza e atto di essere, dove solo il terzo ha significato ontologico (….), dà autentica fondazione al realismo” (75°; cfr 79°); “L’atto di essere è pura energia esistenziale, e perciò non ha niente di qualitativo; esso, quindi, non può determinare l’essenza dell’individuo, ma soltanto attuarla” (76°). “La distinzione, contro la confusione, e anche contro la riduzione di uno all’altro, dell’atto di essere (che è ciò che rende sostanza un’essenza) e del fatto di esserci (….) o energia esistenziale (…) che non appartiene al mondo delle essenze specifiche, ma dell’energia” (30°). Il principio di causa si può costruire nel nostro argomento dall’insufficienza di un essere ad esistere da sé solo (63°).

Qui Giulietti si sente in dovere di distinguere due tipi di metafisica contemplati da Zamboni (che chiameremo A e B)
- Metafisica A – E’ quella della realtà in generale, dell’essenza in quanto esistente nella realtà, e quindi dell’esistenza (58°). Per questo rimprovera a Kant di fermarsi all’esistenza senza la sostanzialità (59°s)
- Metafisica B – E’ quella dell’individuo, dell’actus essendi, della sostanza, ossia dell’energia sostanziale. Sostanza in senso pieno è conseguentemente “ciò che ha in sé (pur se ricevuto)  il suo atto di essere, per cui esiste” (60°s)
Il percorso sicuro per raggiungere razionalmente l’esistenza di Dio avrà quindi l’alternativa di due strade (benché la seconda sia “più profonda” e quindi preferibile)
- Metafisica A – Ciò che esiste è insufficiente ad esistere perché prima non esisteva (74s°). Dio è quindi l’Essere necessario, Causa prima
- Metafisica B – Ciò che esiste è insufficiente ad esistere a partire dalla costituzione stessa degli enti dell’esperienza (74°s): Dio è perfezione infinita, Causa prima, “ipsum Esse subsistens”. Questa prova gode di un’affinità con la IV via di san Tommaso: "L'esistenza di gradi diversi di perfezione nelle cose sperimentali dimostra l'esistenza di una loro Causa che è lo ipsum esse subsistens senza limiti di essenza specifica, cioè Dio" (78°).

            Per chi volesse affrontare direttamente il testo del filosofo, indico le pagine 482ss per la A, le pagine 488ss per la B. Il concentrato della....sintesi si può trovare alle pp. 536-540. Buon lavoro!


domenica 30 ottobre 2016

Tra fede e ragione non mettere il dito

Sul rapporto tra Fede e Ragione


I – Propongo all’inizio una duplice serie di definizioni utili per non immergersi nella confusione delle lingue

A - Credere: solitamente indica un atto umano con cui si aderisce a (o si afferma) una realtà  (esistente o fatto) senza fondarsi su precisi argomenti empirici che sono propri delle scienze sperimentali
Esiste il pericolo di affratellare indebitamente questi significati:
- Credere: accettare le previsioni del metereologo, dell’indovino dello zodiaco, o le affermazioni dello storico, economista, politico ecc. fidandosi (senza controlli) della loro conoscenza dei fenomeni
- Credere in Dio (o a uno o più dèi): è affermazione filosofica (o del senso comune) dell’intelletto che assicura dell’esistenza di uno o più esseri superiori all’uomo
- Credere a Dio: è affermazione di fede riconducibile alla volontà (aderire, o affidarsi totalmente, a Dio) – Fides qua creditur (fede come virtù teologale, che ha per oggetto immediato Dio)
- Credere alla Parola di Dio: è affermazione di fede pure riconducibile alla volontà (fidarsi di Dio) – Fides quae creditur (fede come professione dei contenuti da credere nella comunità ecclesiale)
La proposta concettuale e ragionata della Fides quae è chiamata teologia.

B - Religione è un modo stabile e socialmente organizzato di praticare una vita di fede nel divino.
Nella religione ebraico-giudaica si crede che Dio ha chiamato “Abramo e la sua discendenza” alla vera religione; si accettano quindi come Parola di Dio libri come l’Esodo, Isaia, Qohelet
Nella religione ebraico-cristiana si crede inoltre che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito per “salvare” l’uomo; si accettano quindi come Parola di Dio libri come i vangeli, le lettere di san Paolo, l’Apocalisse di Giovanni
Nella religione musulmana si crede che Dio si è rivelato ad un uomo “ispirato” che è posto all’origine del Corano
Meno facile è individuare in che cosa credano le grandi religioni dell'Oriente, per esempio il Buddhismo che, nelle sue varie espressioni, parlando di "illuminazione" (ab intra) al posto di rivelazione, da molti studiosi viene riconosciuto come una filosofia religiosa.

II – Una serena e attiva convivenza di fede e ragione

Riporterò alcune citazioni del capitolo primo della costituzione sulla divina rivelazione “Dei Verbum” (DV) del Concilio ecumenico Vaticano II

1) Conosciamo la realtà (gli esistenti) e la storia (la vita) mediante l’esperienza e la ragione naturale (DV 6), la quale è data a tutti gli uomini quanto all’essenziale.

1a) Qui s’inserisce la conoscenza naturale delle premesse necessarie (praembula fidei), che non sono la definizione teoretica di “chi è Dio”, di “chi è l’uomo”, ma presentano la realtà di un Dio personale, libero di creare e di agire sull’uomo, buono e misericordioso; e inoltre la realtà dell’essere umano personale, libero di accogliere la rivelazione e la volontà di Dio (DV 5), “capax Dei” (Sant’Agostino)

2) Una conoscenza ulteriore (soprannaturale) ci viene data dalla rivelazione ebraico-cristiana (DV 6): “Piacque a Dio….rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà…. mediante il quale  gli uomini per mezzo di Gesù Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi  della divina natura” (DV 2; cfr 5 e 6)

III – Quale funzione ha la filosofia (metafisica) nel rapporto con la fede?

Decenni or sono era in vigore un’acuta polemica che campeggiava per esempio fra due noti filosofi che si professano cristiani e cattolici:
a) Dario Antiseri, enunciava la sua tesi già dal titolo “Perché la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per la fede” Queriniana 1980 (seguito poi da “Gloria o miseria  della metafisica cattolica italiana?", Armando 1987). Il professore presupponeva che la metafisica fosse assunta dai teologi cattolici come base da cui ricavare il contenuto della fede.
b) A lui seccamente rispondeva Vittorio Possenti (ad es. coll’articolo “Ma la metafisica cattolica non è questa”, in Avvenire del 23-04-1987)

A – L’enciclica Fides et ratio, 76 afferma: “Non s’intende con essa (la denominazione “filosofia cristiana”) alludere a una filosofia ufficiale della chiesa, perché la fede non è come tale una filosofia”; cosicché la metafisica aristotelico-tomistica non è l’unica che sia utile ai teologi cattolici per tradurre nel pensiero occidentale, che si esprime per concetti, il messaggio che – eccetto in qualche libro – la Scrittura esprime con i simboli in quella che oserei definire “metafisica dell’azione” dei semiti. - NB. Di passaggio ricordo che ho trattato della necessità di una metafisica, che là chiamavo “dinamica”, nel post “Sull’esistenza di Dio” pubblicato in questo blog il 22-06-2016.
Ritengo insomma che la filosofia abbia due funzioni rispetto alla teologia:
a) enuclea i principi della religione naturale e i connessi “premaboli”, frutto della riflessione umana (ab intra);
b) serve a dare sistemazione concettuale alle affermazioni della teologia  nel contesto delle definizioni che stabiliscono l’argine contro le eresie nei grandi concili del passato (che si esprimevano in chiave ontologica statica di matrice aristotelica)
Ma il prodotto del pensiero umano non può assolutamente formare il piedestallo originante delle affermazioni della fede, che vengono dalla rivelazione (ab extra): “La fede viene dall’ascolto” (Romani 10,17)

B - Questa esposizione (spero) equilibrata ci mette in guardia dall’esagerazione dei Protestanti che parlano di sola fide, escludendo qualsiasi forma di analogia entis (come fa K. Barth, che non è lontano dal famoso “Memoriale” lasciato da B. Pascal).
Con questo prendiamo le distanze anche dalla tendenziosa “vulgata” con cui il pensiero degli storici della filosofia “indifferenti” interpretano il pensiero di I. Kant  - cristiano protestante che seguiva con convinzione la corrente pietista - come rifiuto del discorso filosofico su Dio.






mercoledì 22 giugno 2016

Sull'esistenza di Dio

“Nel pensiero sta la grandezza dell’uomo” (Pascal). Non propriamente nel calcolo.

Se Kant era grato al filosofo Hume di averlo svegliato dal “sonno dogmatico” della metafisica (com’era allora insegnata nelle scuole), oggi è quasi impossibile far prendere coscienza all’uomo comune di essere soporizzato dall’assolutizzazione delle scienze sperimentali e dalla conseguente mitologizzazione delle applicazioni tecniche. Nell’epoca presunta felice  in cui la “dea” Ragione avrebbe fornito all’uomo moderno la risposta ad ogni domanda possibile, una gran massa di contemporanei robotizzati non è più capace di “pensare” e si accontenta, ammirata, di misurare e calcolare, magari con gli strumenti più avanzati. Avviene così che di fronte alle grandi domande non ci vergogniamo di piegarci all’opinione generale accettata dai grandi “iniziatori culturali” che evangelizzano la comunità; cadendo sotto gl’impietosi strali del Manzoni allorché dice: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”
Mi riaffiora in mente un episodio accaduto nella nostra città nel gennaio 2010, quando una universalmente osannata astronoma Margherita Hack accettò un pubblico confronto col Vescovo di Verona mons. Zenti sulla possibilità di dimostrare l’esistenza di Dio Si trovavano in contrasto il diffusissimo “scientismo assoluto”, non supportato da un’adeguata filosofia della scienza, e l’espressione dell’interiorità più profonda dell’uomo, seppur vivente nell’ambiente odierno che è dominato dal demone del “chiasso”. La gran parte dei presenti esigeva una prova “contattile” (verificativa) dell’esistenza di Dio, mentre giudicava il “pensare” religioso alla stregua di una “favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude”, per esprimermi maliziosamente coi versi di un poeta che religioso certo non era. Sarebbe come il caso di chi vuol vedere i microbi con la lente d’ingrandimento ignorando l’uso del microscopio. Ma l’oggetto del pensiero che più alto e profondo non può essere, Dio, si trova entrando in punta di piedi nel proprio santuario mentale (“cuore”), non cliccando compulsivamente sulla tastiera del calcolatore (computer) elettronico, venerato dalla straripante mentalità anglosassone. Perché il paradosso del’uomo sta in questo: sente esigenze costitutive che lo fanno tendere all’infinto, mentre si rende conto che non è lui questo infinito, e che ogni suo “male essenziale” consiste nel non poter vivere e agire oltre i limiti della sua creaturalità..
Ora svelo dove in queste settimane ho trovato la conferma di un giudizio equo che mi ero configurato su un incontro tra due convinti assertori di tesi, che però erano espresse in due linguaggi distanti come sarebbero il sanscrito e il cinese. In un denso saggio che  va studiato “a gocce”, GIOVANNI FILORAMO, Ipotesi Dio. Il divino come idea necessaria, Il Mulino, si trovano due diversi itinerari per raggiungere Dio.  Nel paragrafo “La crisi del Dio metafisico” si trova descritto il sentiero che, sulle orme di Agostino, Bonaventura, Pascal, parte dall’ “esperienza vitale che l’uomo ha di sé”. Ma non si pensi che il noto esperto in storia e contenuti di filosofie e di teologie, con questo titolo abbia messo in scacco l’affermazione di ogni forma di metafisica. Egli infatti in altre pagine rintuzza le critiche che la ragione e le scienze sperimentali oppongono alla possibilità stessa della religione. Si avvale di numerosi studi. per esempio, della rivista della “Society of Christian Philosophers” (nata nel 1977) e illustra gli apporti di una “filosofia della religione postkantiana”, difendendone la razionalità contro le critiche del razionalismo illuministico e del positivismo più greve. Mi chiedo allora se la Hack non conoscesse (o non volesse citare) autori che in Inghilterra scrivevano queste cose da decenni.
La modernità inoltre fa ricorso a una metafisica dinamica e “processuale”, consona ai soggetti viventi, che “crescunt eundo”. Trovo quindi ancor più strano che la scienziata non conoscesse suoi colleghi che richiamavano “in servizio permanente effettivo” concetti come causalità, ordine e perfezione dei viventi, oppure non vedesse l’affacciarsi di ipotesi e teorie che – superata la concezione di una  realtà inderogabilmente immobile e statica - tentano il percorso forse praticabile di un Dio che “(interagisce) con la storia della sua creazione”, e di un universo che reciprocamente “partecipa della stessa creatività divina”. Questa teoria che viene chiamata “panenteismo” (il Tutto è in Dio, ma non: il Tutto è dio!) sarebbe probabilmente accettabile da un filosofo cristiano, qualora si ammettesse che, nella storia universale, Dio ha una funzione “personale” simile a quella della mente, e l’universo – da Lui distinto ma non diviso - rappresenta quello che è il corpo nella bidimensionalità dell’uomo. Voglio vedere se, in una temperie liquidamente pluralistica nonché irenistica, qualcuno vuole mettere la mordacchia a quell’eminente studioso pugliese.

                                                                           Antonio Contri