KANT : “CONCLUSIONE” DELLA CRITICA DELLA RAGION PRATICA
In questa pagina famosa il filosofo dà una sintesi
finale delle sue due prime “Critiche.”
Due cose, che vediamo dinanzi a noi e sono connesse immediatamente coll’autocoscienza:
CIELO STELLATO SOPRA DI NOI
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LEGGE MORALE IN NOI
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Comincia dal luogo che occupiamo nel mondo esterno; e dal
movimento dei tempi
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Comincia dal mio io invisibile, percepito solo dall’intelletto
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In uno spazio immenso
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In un mondo infinito
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Accidentalmente collegato col mio io
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Necessariamente collegato col mio io
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Per breve tempo
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Va verso l’infinito
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Abbassa la mia importanza: a creatura animale
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Mi innalza come valore di una intelligenza per una vita
indipendente da quella animale e dal mondo sensibile
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Si deve ragionare con metodi matematici per capire il
mondo
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Si deve procedere distinguendo l’empirico dal razionale
per dare un giudizio morale
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Per Kant
l’uomo, che è un tutto unico, vive in due dimensioni: quella cosmica del
determinismo e quella morale della libertà. L’attività della prima è la
conoscenza, quello della seconda è l’azione
L’ambito della
prima è quello della “natura”; l’ambito della seconda è quello della “persona”
dotata di spiritualità; per questo la seconda è superiore alla prima.
E’ possibile sottoporre a (alcune) critiche le due prime Critiche di
Kant?
Scorrendo
semplicemente un corso di storia della filosofia per licei, si trovano molti
nomi di autori che hanno criticato il pur grande filosofo. Per esempio: Hamman,
Schopenhauer, Schelling, Hegel, Mendelsshon, Galluppi, Rosmini, Schreder,
Hartmann, Heidegger, Plechnaov, Lenin, Adorno, Piaget, Popper, Wittgenstein,
Maréchal, Mercier, Zamboni.
A)
A proposito della “Critica della Ragion pura”
Per gran parte
degli autori moderni, che sono positivisti, empiristi e scientisti, è difficile
capire che Kant partiva da un presupposto (possiamo dire: pregiudiziale?) che necessariamente
esclude Dio da vie conoscitive che usano i mezzi matematico-sperimentali (o
cibernetici).
A difesa della
metafisica, uno dei commentatori di Kant, Giuseppe Defrenza (Critica della Ragion pura, pp. 87-92,
Roma, 1966), muove alcune contestazioni, come queste: il principio di causalità,
riconducibile a quello di non contraddizione, deve essere applicato anche oltre
il contingente né può essere limitato ai “fenomeni”; l’argomento cosmologico
per l’esistenza di Dio si aggancia alla realtà degli esistenti; Kant usava
contrapporre il pensare e il conoscere sensibilmente; egli non faceva
distinzione fra l’intuizione e il suo contenuto; né teneva conto che anche la
scienza newtoniana ha subìto innovazioni e trasformazioni.
Lo spirito umano
“legge” e cataloga le leggi che guidano gli oggetti esterni. I principi
fondamentali sono frutto di intuizione semplice sulla realtà, di una ragione
“superiore”, non di calcolo complesso, né di sentimento (come invece pensava
Jacobi)
B)
A proposito della “Critica della ragion pratica”
E’ utile
ricordare che Kant era un sicuro e fervente credente, aderente al Pietismo - corrente
del luteranesimo nei secoli XVIIs - e poneva una decisa divaricazione tra fede
e scienza, tanto da scrivere: “Ho dovuto sopprimere la scienza (intende:
restringere il suo campo?) per far posto alla fede”
Non sembra
comunque accettabile la sua riduzione della religione a morale e la sua negazione
delle religioni rivelate (Si noti che in generale i Protestanti non amano il
concetto di “religione” e il connubio di fede e ragione). Non possiamo
accettare Kant che dice (secondo la
sintesi che ne fa G. F. Morra, Critica
della Ragion pratica, pp. 162, Vicenza 1968): L’uomo che agisce moralmente
non sa se Dio esiste, ma crede che Dio esiste, agisce come se Dio esistesse”. I postulati per
lui appartengono non al sapere, ma alla fede, che poi si riduce a morale (ibid. 142, 144, 147).
C)
San Tommaso dice che Dio è oggetto di fede,
perché non si vede, ma aggiunge che il Creatore si può raggiungere attraverso
il principio di causalità, in quanto le cose create sono visibili. Vedi Fernando Fiorentino (Università del Salento), La probatività delle cinque vie in san Tommaso, documento pdf in internet, pag 45 (sul principio di causa, vedi nota 82 a pag. 64).
Siccome Kant aveva come punto di confronto la
complicata teoria delle scienze di Wolff, penso che sia utile proporre qui una
teoresi dei Modi di conoscere
a) Modi del “So” (che portano solitamente alla
“certezza”)
- Per esperienza
- Per calcolo
- Per intuizione (diretta)
- Per metafisica, come nella sua
declinazione di filosofia della religione (teismo, non deismo); si tratta di un
atto dell’intelletto
b) Modi del “Credo” (che conducono solitamente
all’affidamento a una persona e all’accettazione dei suoi messaggi)
- Attestazione vocale o scritta o
visiva, o strumentale (che riguarda le nostre relazioni interpersonali,
compresi gli impegni)
- Attestazione della
coscienza-conoscenza universale (filosofica e morale)
- Attestazione soprannaturale-rivelata,
che riguarda la storia delle religioni positive e si esprime nella Fede (che in
quanto virtù appartiene al dominio della volontà)
Nella "descrizione" biblica della fede in Eb 11,1 abbiamo un concetto profondo che tentiamo di esprimere così: sicurezza delle realtà lontane nel tempo futuro e non percepibili dall'attuale capacità visiva. Questa dichiarazione esprime le due dimensioni dell'affidamento a Dio che è caratteristico del cristiano: a) la Fede, cioè credere che il Regno definitivo è gia venuto anticipatamente col Mistero pasquale, nell'azione di Cristo e nel dono del suo Spirito; b) la Speranza, cioè l'attesa della novità del Regno finale che verrà alla conclusione della storia della salvezza; conclusione che comporterà anche c) il dono totale della Carità verso Dio con cui siamo vissuti a Lui orientati e si prolungherà nella Vita vera che è eterna.
Può fungere da
emblema la conosciuta affermazione di C. G. Jung: “Io non credo all’esistenza di Dio per fede, io so che Dio esiste”.
Anche nelle ultime discussioni suscitate dal teorema di un matematico moravo di origine tedesca (vedi in web: teorema K. Gödel prova esistenza Dio) si è appurato che all'esistenza di Dio si giunge non per calcolo, ma per logica (quindi: filosofia)
Anche nelle ultime discussioni suscitate dal teorema di un matematico moravo di origine tedesca (vedi in web: teorema K. Gödel prova esistenza Dio) si è appurato che all'esistenza di Dio si giunge non per calcolo, ma per logica (quindi: filosofia)
D) Ritengo che si debba optare per una comprensione globale del pensiero di Kant, rispondendo alla domanda: Quale forma di adesione alla realtà è superiore in quanto espressione di tutto l'uomo?
Dobbiamo apprezzare la certezza di tipo matematico, "scientifico", per indagare il fenomenico, nel regno della quantità, dominata dalla necessità (e dal computer). Ma non possiamo sottostimare la certezza di tipo morale, per indagare il noumenico, nel regno della qualità, guidata dalla libertà (e della coscienza). La totalità delle possibilità dell'essere umano è data dall'applicazione cognitivo-operativa, soprattutto di quella che si fonda sui superiori valori dello spirito. Altro è l'acquisto di una bicicletta e altro è la scelta del coniuge per tutta la vita; Altro è la guida dell'automobile e altro la scelta fra odio e amore, fra guerra e pace.
Dario Antiseri osserva che qualche posizione di Kant "dipende unicamente dal radicato pregiudizio "scientistico' che lo portava ad ammettere come 'conoscenza' pleno iure solo quella di tipo matematico-geometrico e quella di tipo galileiano-newtoniano"; osserva pure che Kant "giunge a denominare 'metafisica della natura' lo studio del complesso dei principi che costituiscono le condizioni della scienza della natura; ma è evidente che tale metafisica è l'epistemologia della scienza galileiano-newtoniana.....". L'illustre studioso ricorda inoltre che il filosofo riconosceva "il primato della ragion pratica rispetto alla ragion pura", richiamando che aveva affermato un tempo, a proposito delle prove dell'esistenza di Dio: "la Provvidenza non aveva voluto legare una conoscenza così importante a sottili ragionamenti, ma alla 'naturale intelligenza degli uomini' " (in Giovanni Reale - Dario Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, vol. II, La Scuola, Brescia 1987 [VIII ed.], rispettivamente alle pp. 686, 668, 691, 650)
Lasciatemi citare qualche espressione in proposito: "Lo maggior don che Dio per sua larghezza creando fesse....fu de la volontà la libertate" (Dante, Paradiso, V, 19-22); L'albero sommamente simbolico del paradiso (Genesi, capitoli 2-3) non è del vero-falso, ma della 'conoscenza' del bene-male; "Mi sono riappacificato con l'idea di morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremo mai a fare un atto di piena fiducia. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre un'uscita di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente. Di Dio" (Carlo Maria Martini).
Per suggerire un “piccolo itinerario” a partire dal mio Io
Come pista di
lancio prendiamo i due mondi dell’uomo: esteriore e interiore, per cui
io cammino, sono ferito, penso, calcolo, avverto di fare il male…..
Mi sento
collocato al confine tra il mondo della natura e quello del pensiero (io sono
il microcosmo dell’universo)
Sono
contingente, soggetto al tempo, a una successione “non esistenza/esistenza/non
esistenza”, devo la mia esistenza a una coppia di esseri umani; penso che la
prima coppia della serie umana deve aver avuto l’esistenza da un “altro” (Teniamo
volentieri conto che oggi per molti teologi essere creatura significa dipendere
nell’esistenza piuttosto che essere inserito nella serie degli esistenti)
Mi sento
limitato da tempo e spazio, ma sono assetato d’infinto, assoluto, eterno; calcolo
quanti giorni son passati dal plenilunio e mi chiedo cos’è l’ente tempo
Percepisco i
sintomi di una malattia e mi chiedo cos’è la malattia che agisce in me
Dovunque nei
vari settori della realtà esistono finalismo e ordine trovo necessario farli
risalire a un essere intelligente e potente, cioè a una persona (non natura). A
maggior ragione ciò deve essere ammesso nei riguardi di tutta la realtà; per la
quale l’essere originante deve essere sommo e illimitato..
Poniamo come esempio due domande
sulla realtà di ciò che sta fuori di noi.
-
In medicina, la conclusione diagnostica (che
richiama etimologicamente il conoscere “attraverso”) ricavata dall’internista è
di ordine diverso e superiore ai molti dati misurati dagli strumenti di
laboratorio?
-
In fisica, la scoperta (ben diversa
dall’invenzione) della legge della gravità universale fatta dall’intelletto di
Newton è superiore e diversa dall’osservazione di mille contadini che vedono
cadere le mele dagli alberi?
Questa diversità di natura tra il fenomenico e l’intellegibile ha condotto Platone alla scoperta della “seconda navigazione”, la metafisica. Se così non fosse, si avrebbe come supremo inganno il fallimento totale del pensiero umano. Si giunge all'assurdo chiamato nichilismo quando alcuni "filosofi" di belle speranze presumono di dimostrare la non esistenza della conoscenza intellettuale proprio facendo uso di questa conoscenza propria dell'uomo. In un saggio recente un certo Roberto Marchesini indica l'animalità quale unica chiave di lettura alla trasversalità della conoscenza e parla del nuovo paradigma della "filosofia animale".
Anche nel campo morale possiamo chiederci se non sia necessaria una legge eteronoma (eventualmente da rivelazione) di fronte al generale fallimento etico dell'umanità nella decantata epoca della ragione, dell'indipendenza, dell'idolatria della libertà, del progresso automaticamente positivo, dell'assoluta supermazia dell'uomo su ogni realtà. Viviamo ai bordi dell'incubo che l'uomo, confidando nel proprio attivismo e proclamando la scomparsa dei valori, corra come un gigante cieco verso la notte dell'abisso. "Quod dii omen avertant"
Poniamoci qualche domanda pertinente, ad esempio: i mezzi di comunicazione aiutano a capire qual è la condotta morale che realizza l'ideale di uomo? difendere il matrimonio tradizionale equivale all'assicurazione di una delle strutture fondamentali della società? Non sembra proprio, se ascoltiamo il sussurro delle sirene come nel titolone del più diffuso quotidiano d'Italia: Tradire nell'era del "diritto alla felicità". Servono bene allo scopo quegli "specchi per allodole" che sono le parole: diritto, felicità, filosofia, psicologia, nuovo, avanguardia, cambiamento....Anche se ci si trova costretti a passare a più bassi traguardi nei quali può essere ingabbiato l'uomo "caccatore": istinto animale, condizione animalesca, era dell'anti-innocenza.
Che "mondo" sarebbe quello in cui
- oltre il misurabile non fosse possibile ammettere il reale?
- oltre il contingente non fosse possibile ammettere l'assoluto?
- non si distinguesse oggettivamente tra bene e male?
- oltre i diritti non si potesse parlare di doveri?
E’ possibile portare delle prove resistenti ad ogni critica degli
amatori della filosofia.
La prove
popolari potevano bastare secondo il Kant degli scritti precritici, come “L’unico
argomento possibile per dimostrare l’esistenza di Dio” (1763); dove porta
l’argomento che “la
Provvidenza non ha voluto legare una conoscenza così
importante a sottili ragionamenti, ma alla ‘naturale intelligenza degli uomini’
”. Poi è venuta la famosa “rivoluzione copernicana”
Ho la
soddisfazione di aver trovato un’impostazione “scientifica” della prova
metafisica in un filosofo veronese, mons. Giuseppe Zamboni (1875-1950): era un
seguace del belga card. Désiré Mercier (1851-1926), arcivescovo di Malines, che
tentò una rilettura del tomismo più sensibile alle conquiste del pensiero
moderno, e nell’opera principale, Critériologie
générale (1899), scrisse una sua interpretazione della gnoseologia tomista.
Negli anni
1921-1931 Zamboni fu professore ordinario di Criteriologia e gnoseologia
all’Università Cattolica di Milano (cattedra allora unica in tutta Italia).
Propose un veramente nuovo modello di metafisica che prende le mosse dalla
“gnoseologia pura”, “fenomenologia del dato conoscitivo elementare nella
coscienza e nell’autocoscienza attuale del soggetto conoscente”. L’incomprensione
del suo pensiero arrivò alle dimissioni dall’incarico, per le ostilità della
dirigenza dell’Università, fedelmente ossequiente ai principi della
neoscolastica.
La sua opera
principale, La persona umana, uscì in prima edizione nel 1940. Oggi l’abbiamo
nel volume La persona umana, Edizione
riveduta e introdotta da Giovanni Giulietti, Vita e Pensiero, Milano 1983,
pagine 9°-83°, 1-591. In
questa vasta prateria dal densissimo pensiero egli dedica 110 pagine alla
possibilità di raggiungere razionalmente l’esistenza di Dio. Per la complessa
articolazione del discorso e per l’eccessiva parcellizzazione degli argomenti
(l’indice comprende ben 29 pagine), trovo conveniente citare qualche passo dell’Introduzione
dovuta al nominato professore universitario Giulietti (1915-2011), nella quale egli
ci offre una chiara e autorevole sintesi.
“Lo Zamboni
riconosce alla Dialettica Trascendentale kantiana di aver distrutto la
metafisica; ma quella che essa ha distrutto è la metafisica che Kant aveva
ereditato dal razionalismo, la metafisica
dell’esistenza, la metafisica del fatto di esistere, non la metafisica dell’atto di essere. La
metafisica dell’essere, ossia dell’atto di essere, rimane intatta dalle
critiche di Kant, le quali del tutto la ignorano” (79°). “La sostanzialità e la
causalità risultano proprietà della realtà, e non soltanto esigenze di una
fantomatica ragione pura universale (Io trascendente)” (80°).
La chiave
interpretativa della metafisica zamboniana – consistentemente fondata sulla
gnoseologia (58°) - è reperibile in queste affermazioni: Dobbiamo partire da
una realtà, sicuri che la mente umana oltrepassa l’esperienza (70°s). “Il
soggetto pensante non comincia certo dall’ens
in communi, ma dal concetto di qualcosa
che esiste….” (….) “Non è che la realtà cominci con l’ente universalissimo
e che poi si completi fino a diventare l’individuo reale” (54°). Questo vale in
quanto “un individuo è (…) un’essenza (….) realizzata
da un actus essendi” (62°). “Il frutto dell’analisi sulla costituzione intima di tutti gli enti
dell’esperienza, viene dallo Zamboni indicato nei tre termini esistenza, essenza e atto di essere, dove solo il terzo ha
significato ontologico (….), dà autentica fondazione al realismo” (75°; cfr 79°);
“L’atto di essere è pura energia esistenziale, e perciò non ha niente di
qualitativo; esso, quindi, non può determinare l’essenza dell’individuo, ma
soltanto attuarla” (76°). “La
distinzione, contro la confusione, e
anche contro la riduzione di uno all’altro, dell’atto di essere (che è ciò che rende sostanza un’essenza) e del fatto
di esserci (….) o energia
esistenziale (…) che non appartiene al mondo delle essenze specifiche, ma
dell’energia” (30°). Il principio di causa si può costruire nel nostro
argomento dall’insufficienza di un essere ad esistere da sé solo (63°).
Qui Giulietti si sente in dovere di distinguere due tipi di metafisica contemplati da Zamboni (che chiameremo
A e B)
- Metafisica A – E’ quella della realtà
in generale, dell’essenza in quanto esistente nella realtà, e quindi
dell’esistenza (58°). Per questo rimprovera a Kant di fermarsi all’esistenza
senza la sostanzialità (59°s)
- Metafisica B – E’ quella dell’individuo,
dell’actus essendi, della sostanza,
ossia dell’energia sostanziale. Sostanza in senso pieno è conseguentemente “ciò che ha in
sé (pur se ricevuto) il suo atto di
essere, per cui esiste” (60°s)
Il percorso
sicuro per raggiungere razionalmente l’esistenza di Dio avrà quindi l’alternativa
di due strade (benché la seconda sia “più profonda” e quindi preferibile)
- Metafisica A – Ciò che esiste è
insufficiente ad esistere perché prima non esisteva (74s°). Dio è quindi
l’Essere necessario, Causa prima
- Metafisica B – Ciò che esiste è
insufficiente ad esistere a partire dalla costituzione stessa degli enti
dell’esperienza (74°s): Dio è perfezione infinita, Causa prima, “ipsum Esse
subsistens”. Questa prova gode di un’affinità con la IV via di san Tommaso: "L'esistenza di gradi diversi di perfezione nelle cose sperimentali dimostra l'esistenza di una loro Causa che è lo ipsum esse subsistens senza limiti di essenza specifica, cioè Dio" (78°).
Per
chi volesse affrontare direttamente il testo del filosofo, indico le pagine
482ss per la A, le
pagine 488ss per la B. Il concentrato della....sintesi si può trovare alle pp. 536-540. Buon
lavoro!
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