martedì 5 settembre 2017

C'è oggi il Modernismo?



SUL  MODERNISMO  CATTOLICO

            I
Chiariamo, per quanto è possibile in un argomento così complesso e delicato, i termini del contendere.

Modernismo: una parola che incute preoccupazione o conduce a rigetto in chi sa che il Cristianesimo è una religione rivelata, la quale trasmette un dato essenziale che è depositato fin dall’origine e contenuto nel Nuovo Testamento. Però il Cristianesimo non può essere un blocco o una statua di marmo, ma un organismo che vive, cresce  e opera nella storia degli uomini, con la comprensione e l’adattamento delle nozioni e dei testi. C’è un brano importante, ma non sempre attentamente considerato, nel Concilio Vaticano II[1]: “Questa tradizione, che trae origine dagli apostoli, progredisce nella chiesa sotto l’assistenza dello Spirito santo; infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti (….), sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità (….); così Dio, il quale  ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito santo (....) introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo”.
Cerchiamo di vedere che queste due dimensioni, negativa e positiva, possono essere vicine e considerate insieme.

Lo sviluppo della verità cristiana segue due vie:
- Corrente principale. Secondo Tertulliano[2], lo sviluppo segue questa trafila: da Cristo – agli apostoli – alle chiese – le chiese compongono alcune Scritture, le conservano integre e le interpretano secondo il principio che la verità precede l’eresia
- Corrente coassiale. Procede dallo Spirito - agli apostoli[3] - alle chiese – che svolgono le importanti funzioni appena ricordate.
Se il dato fondamentale è contenuto nel passato, potremo avere delle novità da scoprire, ma non da inventare di sana pianta (come nel caso dello gnosticismo vecchio e nuovo)

II
Il Modernismo e una sua possibile valutazione

Il modernismo teologico si colloca nel periodo del papato di San Pio X che univa due prospettive: 1) una vita di pastore zelante e concreto, riformatore con provvedimenti necessari e utili sia sulla struttura della chiesa (come su curia, seminari, diritto canonico) sia sulla vita religiosa dei fedeli (come su liturgia, sacramentaria, catechesi attenzione ai laici), unita a uno scrupoloso attaccamento alla minuta tradizione ecclesiale; 2) un atteggiamento – attribuibile a lui personalmente e a collaboratori da lui appositamente scelti - verso le idee nuove che, a voler essere benevoli, era segnato da mancanza di analisi della svolta culturale secolarizzante europea in atto, da propensione alla conservazione, da arroccamento e centralizzazione, da “persecuzione” indiscriminata anche di autori che poi saranno riconosciuti ineccepibili e valorizzati ad alti livelli.
In estrema sintesi diremo che, come la Chiesa cattolica era precedentemente mancata  a un giusto incontro con la scienza (vedi eliocentrismo, evoluzionismo), in quel periodo stava “perdendo il treno” dell’incontro con la storia, che ora quasi tutti riconosciamo doveroso e richiesto da considerazioni anche teologiche di fondo. Il Papa pastore si è accorto che la comunicazione della fede-vita cristiana non funzionava come nei secoli passati; ed ha scelto di potenziare il metodo (per portare un esempio) di un costruttore di radio riceventi a cristalli (a galena), invece di cercare un metodo più moderno come quello della radio a reazione (a valvole, a transistor). Dobbiamo dire però che ha così evitato l'errore, proprio dei "novatores" ad ogni costo, di privarsi del prezioso strumento della radio.

Con quale spirito d’animo dobbiamo oggi accostarci al modernismo per evitare di cadere nelle secche di una diatriba inutile e dannosa?
L’incontro benefico e meritorio della Rivelazione cristiana con alcune giuste acquisizioni del pensiero moderno richiede che ci allontaniamo dai due opposti estremi: 1) dall’adesione preconcetta agli errori giustamente evidenziati dal magistero della Chiesa; 2) dalla mentalità “sanfedista” che porta ad es. a una lettura fondamentalista e letteralista dei testi composti da uomini credenti del primo millennio avanti Cristo. L’enciclica Pascendi assume come avversario una forma generalizzata di modernismo che non è possibile attribuire a nessuno dei grandi studiosi condannati, e inoltre ne mette in evidenza solo gli errori, ridotti a brevi frasi diversamente interpretabili dagli agguerriti contendenti.
E’ facile per me indicare come testo risolutivo il Concilio ecumenico Vaticano II, interpretato però secondo le chiarissime illuminazioni regalateci da Papa Benedetto[4]


III
I tre punti cruciali

Secondo gli studiosi del fenomeno, si tratta di tre aspetti vitali dell’esistenza cristiana: importanza delle Scritture, storia dei dogmi, ecclesiologia.

A – Problematiche tra Bibbia e Chiesa

Uno dei problemi veramente centrali nel secolo della Riforma era questo: fra Bibbia e Magistero chi ha il diritto di giudicare l’altera pars? I cattolici (come faceva un po’ esagerando il già citato Tertulliano) rispondevano: la Chiesa; i protestanti invece: affermavano: sola Scriptura.
Dalla Riforma in poi il cattolicesimo risenti di un complesso d’inferiorità che gli faceva avere una….sacra paura della Bibbia, la cui interpretazione, che diventava talvolta manipolazione a partire dal testo latino, doveva essere riservata al Concilio (e quindi al Papa).
Ma i cattolici avevano un’ulteriore difficoltà da superare, soprattutto l’idea dell’ispirazione come “dictatio mechanica”. Cominciamo a chiarire qualcosa, dicendo che, come ogni educatore e insegnante, Dio per comunicare coll’uomo e salvarlo si abbassa al suo livello  di comprensione (intelletto) e di capacità di scegliere il bene (volontà).
Se uno ha letto (e magari un po’ studiato) la Bibbia, capisce che la Parola di Dio ci è trasmessa non allo stato puro, ma attraverso le storie e i linguaggi degli uomini; chi legge “materialmente” la Bibbia nulla capisce, perché non tiene conto della diversità delle lingue bibliche, dei “generi letterari”, delle epoche storiche, delle culture dei popoli, dei loro comportamenti e comprensioni teologico-morali, della diversità dei codici  in cui viene trascritta la Bibbia, della difficoltà di traduzione di concetti qualificanti, ecc. Se avessimo tenuto conto di questi fattori, avremmo meglio capito come affrontare le ragioni di Lutero e compagni, di Galilei, di Darwin, ecc. che si presentano come giuste.
Non è possibile allora prendere un’affermazione della Bibbia e dichiararla eterna e immutabile, provocando un comprensibile sconcerto nell’animo raffinato dell’uomo d’oggi. Come esempi portiamo tre casi: 1) progressi all’interno dell’AT, come nei primi secoli dall’enoteismo al monoteismo jahvistico; 2) superamento di alcune istituzioni, come l’anatema ordinato da Dio (1Sam 15), o la legge del taglione; 3) superamento di altre istituzioni o usanze passando dall’AT al NT, come per la guerra santa, o guerra di YHWH (1Sam 25,28; 28,18; Es 15,3), per arrivare ad accettare tranquillamente la guerra, come fa Gesù nelle parabole e Paolo negli esempi; o per la superiorità dell’uomo sulla donna secondo Paolo
Come in pratica si usava la Bibbia nelle nostre parrocchie? I comuni fedeli non dovevano nemmeno leggerla, i preti mancavano di nozioni di esegetica e di ermeneutica, e comunque la leggevano in latino. Con quali risultati di comprensione, chi ha un po’ di pratica dell’uso (e abuso) della Scrittura di allora può vederlo da questi pochi esempi:
- Gen 3,15 “Ipsa conteret caput tuum” in realtà  dice così: Egli ti colpirà alla testa
- Gen 14,21 “Da mihi animas cetera tolle” in realtà significa: Dammi le persone
- 1Sam 15,2 “Deus exercituum” in realtà significa: Dio delle schiere del cielo
- Qo 1,4 “Terra autem in aeternum stat” dice che le generazioni passano, ma la terra rimane
- Mc 8,35 “Animam salvam facere” dice questo della vita
- Lc 11,41 “Quod superest date eleemosynam”, cioè: Date ciò che sta sul piatto…
- At 20,17.28 parla di presbiteri che poi sono chiamati "epìskopoi'[5], non distinguendoli
- Rom 5,12 “In quo omnes peccaverunt” non dice che in Adamo tutti hanno peccato
- Rom 12,1 “Rationabile obsequium” si riferisce al culto spirituale
- Ef 5,32 “Sacramentum hoc” traduce “mysterium”

B – Storia “aperta” dei dogmi, o loro fossilizzazione?

            Quando io studiavo teologia per prepararmi al presbiterato, il testo più importante e indiscutibile era l’Enchiridion symbolorum… del Denzinger; in ogni tesi si adducevano, ma solo in seconda battuta, pochi(ssimi) testi biblici estrapolati dalla traduzione latina Vulgata e “usati” come pezza d’appoggio alle dichiarazioni solenni dei Concili o dei Papi. E i buoni parroci custodivano una vecchia edizione della Bibbia per poterne ricavare aneddoti e illustrazioni per gli alunni del catechismo. Tanto che un testo del magistero ecclesiastico appariva (almeno in pratica) più fisso e irreformabile di un’affermazione della Scrittura[6] . Per divina Provvidenza poi ci è stato donato un testo che parla di studi teologici: “Lo studio della sacra Scrittura (….) deve essere come l’anima di tutta la teologia (….). Nell’insegnamento della teologia ‘dogmatica’, prima vengano proposti gli stessi temi biblici……”[7].
            Intendendo qui con ‘dogma’ una verità religiosa o morale trasmessa dalla grande tradizione[8] e presentata come obbligatoria, dobbiamo affermare che, anche nelle dichiarazioni solenni, mentre la verità affermata è sopra la storia, il linguaggio con cui è espressa è ricavato da una filosofia propria di un tempo e di una cultura. Per portar un esempio conosciuto, all’interno del secolo IV il termine filosofico hypòstasis, che nell’anatema posto alla fine del Credo Niceno (325) era usato come sinonimo di ousìa, nella lettera sinodica inviata a Roma nel 382 a esplicazione delle decisioni del I concilio di Costantinopoli è preso come sinonimo di pròsopon, mentre ousìa è sinonimo di physis[9] .Una definizione dogmatica non si riferisce agli aspetti nuovi di un problema teologico che si presenteranno nei secoli seguenti, perchè non ha la funzione della diga, ma degli argini del fiume (R. Cantalamessa).
            Un esempio di cambiamento di posizione può esser visto nel delicato argomento della necessità della Chiesa per la salvezza: mentre nel 1302 Bonifacio VIII nella bolla Unam sanctam affermava solennemente: “Dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l’essere sottomessi al romano pontefice, è per ogni umana creatura, necessario per la salvezza” è venuta a liberarci da questa evidente esagerazione  - dopo un significativo intervento del S. Ufficio ai tempi di Pio XII - la teologia ecumenica del Concilio Vaticano II[10]
            Alcune dichiarazioni sono state nuovamente interpretate dalla teologia cattolica. Un esempio lo troviamo nella dichiarazione che Gesù istituì tutti e sette i sacramenti della Chiesa; che reinterpretato può essere letto così: Cristo ha voluto la Chiesa come sacramento generale, dalla quale Chiesa apostolica sono germinati i sacramenti, in particolare quelli che sono insufficientemente nominati nella Scrittura. D’altra parte dobbiamo tener presente l’inaspettata  affermazione del Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, che al n. 11 dichiara: “Nel mettere a confronto le dottrine (i teologi cattolici) si ricordino che esiste un ordine o ‘gerarchia’ nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana”. Ciò consente di leggere, pur nella fedeltà,  più serenamente il ‘preoccupato’ Credo del Popolo di Dio, da Paolo VI solennemente proclamato il 30 giugno di quel tormentato1968 al termine dell’Anno della Fede.

C – Quale concetto di Chiesa?

Mi auguro che non venga frainteso il modo con cui presento la Chiesa che nella riforma “piana” Papa Sarto ha proposto come antitetica a quella del Modernismo: un modello di tipo controriformista, nel quale tendo a far notare soprattutto le lacune che distanziano la Chiesa di Dio dall’ideale voluto da Cristo. Faccio questo pur sapendo che la Chiesa animata dallo Spirito si fonda sulla professione della Fede, sull’amministrazione dei Sacramenti e sulla guida dei Pastori.
Io che sono veneto fin nelle midolla mi permetto di sottolineare che Pio X ha in realmente proposto un modello che è caratteristico della Chiesa veneta del XIX secolo:
- Una Chiesa ordinata, col culto dell’obbedienza cieca, che reprime ogni respiro fatto “a finestre aperte”; con una morale che apprezza la buona reputazione più della buona condotta, che ricorre alla delazione più che alla correzione fraterna, che usa severità con i peccati contro la castità più che con quelli contro la carità.
- Una Chiesa senza fondamenti consistenti, basata su devozionismo, sacramentalismo, dolorismo
- Una Chiesa non fondata sulla Parola di Dio, né sull’approfondimento teologico (come appare dal pur pregevole Catechismo detto di Pio X, che riduce a poche unità le citazioni della Bibbia), ma sulla prassi pastorale consolidata piuttosto che sulla ricerca del pensiero dell’umanità concreta che doveva ricevere il messaggio di vita
- Una Chiesa che provvede maternamente a un fedele che rimane sempre bambino, con la cultura, le esigenze e i problemi del bambino.
- Una Chiesa che si ritiene società perfetta, “senza rughe” (Ef 5,27), che non vive nella Speranza della forma perfetta escatologica, non consapevole che quaggiù lo Spirito ci è dato solo come "primizia e caparra" (San Paolo); che non pensa a convertirsi perché deve convertire gli altri (povero Rosmini con le cinque Piaghe!)
- Una Chiesa che – come tutto il Cristianesimo occidentale del secondo millennio – ignora la funzione ecclesiostrutturante dello Spirito santo[11]
- Una Chiesa ben corazzata che vive verso il culmine di quel movimento del centralismo papale[12] – le cui origini risalgono all’XI secolo con la “riforma gregoriana” e il distacco definitivo della Chiesa d’Oriente[13] - che tende a sconfinare nel culto della persona
- Una Chiesa che nelle varie dimensioni si considera guida anche della società civile.

Concludendo
Pur ricordando la gustosa ironia con cui il Manzoni (nel cap. XXII del romanzo) punzecchia  i prudenti devoti dell’ “in medio stat virtus”, mi sembra di essere rimasto nel giusto mezzo, e “ci sto comodo”, ritenendo che il binomio vero-bene non abita necessariamente solo nel vecchio, né necessariamente solo nel nuovo.


[1] Costituzione sulla divina Rivelazione, Dei verbum, n. 8
[2] Nel De praescriptione haereticorum, scritto attorno all’anno 200.
[3] Pensiamo a Paolo e all’ultimo principale redattore di Giovanni negli anni della recezione e riflessione. Per Paolo, si contano periodi di 3 anni “in Arabia”, di pochi anni a Tarso, di 14 anni prima di iniziare i viaggi e quindi la scrittura delle lettere autentiche (mentre lui stesso parla di apokàlypsis, rivelazione); per il vangelo secondo Giovanni,  gli studiosi parlano di un testimone e di almeno due fasi di redazione, prima dell’aggiunta del capitolo finale.
            [4] In vatican.va: Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005
[5] Fa meraviglia che il Concilio di Trento (Denzinger, nn.1768, 1777) si sforzi di dimostrare che gli episcopi sono superiori ai presbiteri citando At 20,28, mentre nel Novum Testamentum del Merk presbyteroi è tradotto accortamente con maiores natu.
[6] Mi si consenta di citare quella che non voleva essere solo una boutade: un vecchio parroco di fede…tridentina diceva al suo giovane collaboratore: “Ma quante stramberie (o peggio…) sono contenute nella Bibbia!”
[7] Concilio ecumenico Vaticano II, Decreto sulla formazione sacerdotale, Optatam totius, n. 16. Mi si consenta ancora di dare notizia che, di questo documento, il 12 novembre 1964 fu relatore in aula conciliare il mio vescovo mons. Giuseppe Carraro (vedi D. CERVATO, Il piccolo vescovo dell’Eucaristia, Verona, Postulazione 2015, p. 348s); il vescovo volle che il decreto fosse immediatamente applicato dal 1965 nello Studio teologico San Zeno, nel quale ho prestato servizio per 35 anni. Da notare che quell’aggettivo ‘dogmatica’ oggi sarebbe mutato in ‘sistematica’ (col quale però da noi si indica uno dei cinque ‘momenti’ del trattato)
[8] Vincenzo di Lérins, morto prima del concilio di Calcedonia, ci dice qual è la grande tradizione: “Quod ubique, quod semper, quod ab omnibus” è stato creduto; “Crescat (….) sed in suo dumtaxat  genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu, eademque sententia” (Commonitorium, capitoli 2 e 23. Vedi Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, 1984, vol. II, col. 3595). Questa seconda affermazione è stata fatta propria dal Concilio Vaticano I (Denzinger, n. 3020). Ma dichiaro più bravo di me chi trova spesso insieme realizzate tutte le condizioni elencate.
[9] Conciliorum oecumenicorum decreta, Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973, rispettivamente alle pp. 5 e 28.
[10] Vedi rispettivamente il Denzinger, al n. 875 e ai nn. 3866-3873, e la seconda parte della Costituzione sulla Chiesa del Vaticano II, Lumen gentium, capitolo II, nn. 15-16
[11] Mi addolora la lettura della Nota aggiuntiva “Sostituzioni e alibi dello Spirito santo”, in Y. CONGAR, Credo nello Spirito santo, volume I, Queriniana, Brescia 1982, pp. 180-186, secondo la quale la funzione dello Spirito sarebbe stata occupata dal Papa, dalla Vergine Maria e dal culto al santissimo Sacramento. Vedi l’ironia del grande ecclesiologo J. A.. Moehler che nel 1823 scriveva: “Dio ha dato la gerarchia, e la chiesa ne ha più che a sufficienza sino alla fine del mondo” (citato in W. KASPER – G. SAUTER, La Chiesa luogo dello Spirito, Queriniana, Brescia 1980, alle pp. 13 e 71).
[12] Se qualcuno vuole stracciarsi le vesti per questa mia posizione critica che sa di “apertura”, prima di farlo si legga per favore i nn. 55, 61, 95 dell’enciclica Ut unum sint, scritta nel 1995 da Giovanni Paolo II, che secondo i soliti bene informati aperto non era.
[13] Vedi il classico studio di teologia storica Y. CONGAR, L’Eglise de saint Augustin à l’époque moderne, Du Cerf, Paris 1970.

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