SUL MODERNISMO CATTOLICO
I
Chiariamo, per quanto è possibile in un argomento così complesso e
delicato, i termini del contendere.
Modernismo:
una parola che incute preoccupazione o conduce a rigetto in chi sa che il
Cristianesimo è una religione rivelata, la quale trasmette un dato essenziale
che è depositato fin dall’origine e contenuto nel Nuovo Testamento. Però il
Cristianesimo non può essere un blocco o una statua di marmo, ma un organismo
che vive, cresce e opera nella storia
degli uomini, con la comprensione e l’adattamento delle nozioni e dei testi.
C’è un brano importante, ma non sempre
attentamente considerato, nel Concilio Vaticano II[1]: “Questa tradizione, che trae origine dagli apostoli,
progredisce nella chiesa sotto l’assistenza dello Spirito santo; infatti la
comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la
riflessione e lo studio dei credenti (….), sia con la profonda intelligenza che
essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali
con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità (….);
così Dio, il quale ha parlato in
passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito
santo (....) introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in
essi abbondantemente la parola di Cristo”.
Cerchiamo di
vedere che queste due dimensioni, negativa e positiva, possono essere vicine e
considerate insieme.
Lo sviluppo
della verità cristiana segue due vie:
- Corrente principale. Secondo Tertulliano[2], lo
sviluppo segue questa trafila: da Cristo – agli apostoli – alle chiese – le
chiese compongono alcune Scritture, le conservano integre e le interpretano
secondo il principio che la verità precede l’eresia
- Corrente coassiale. Procede
dallo Spirito - agli apostoli[3] - alle
chiese – che svolgono le importanti funzioni appena ricordate.
Se il dato fondamentale è
contenuto nel passato, potremo avere delle novità da scoprire, ma non da
inventare di sana pianta (come nel caso dello gnosticismo vecchio e nuovo)
II
Il Modernismo e una sua possibile valutazione
Il modernismo
teologico si colloca nel periodo del papato di San Pio X che univa due
prospettive: 1) una vita di pastore zelante e concreto, riformatore con
provvedimenti necessari e utili sia sulla struttura della chiesa (come su
curia, seminari, diritto canonico) sia sulla vita religiosa dei fedeli (come su
liturgia, sacramentaria, catechesi attenzione ai laici), unita a uno scrupoloso
attaccamento alla minuta tradizione ecclesiale; 2) un atteggiamento –
attribuibile a lui personalmente e a collaboratori da lui appositamente scelti
- verso le idee nuove che, a voler essere benevoli, era segnato da mancanza di
analisi della svolta culturale secolarizzante europea in atto, da propensione
alla conservazione, da arroccamento e centralizzazione, da “persecuzione”
indiscriminata anche di autori che poi saranno riconosciuti ineccepibili e
valorizzati ad alti livelli.
In estrema
sintesi diremo che, come la
Chiesa cattolica era precedentemente mancata a un giusto incontro con la scienza (vedi
eliocentrismo, evoluzionismo), in quel periodo stava “perdendo il treno”
dell’incontro con la storia, che ora quasi tutti riconosciamo doveroso e
richiesto da considerazioni anche teologiche di fondo. Il Papa pastore si è accorto che la comunicazione della fede-vita cristiana non funzionava come nei secoli passati; ed ha scelto di potenziare il metodo (per portare un esempio) di un costruttore di radio riceventi a cristalli (a galena), invece di cercare un metodo più moderno come quello della radio a reazione (a valvole, a transistor). Dobbiamo dire però che ha così evitato l'errore, proprio dei "novatores" ad ogni costo, di privarsi del prezioso strumento della radio.
Con quale spirito
d’animo dobbiamo oggi accostarci al modernismo per evitare di cadere nelle
secche di una diatriba inutile e dannosa?
L’incontro
benefico e meritorio della Rivelazione cristiana con alcune giuste acquisizioni
del pensiero moderno richiede che ci allontaniamo dai due opposti estremi: 1)
dall’adesione preconcetta agli errori giustamente evidenziati dal magistero
della Chiesa; 2) dalla mentalità “sanfedista” che porta ad es. a una lettura
fondamentalista e letteralista dei testi composti da uomini credenti del primo
millennio avanti Cristo. L’enciclica Pascendi
assume come avversario una forma generalizzata di modernismo che non è
possibile attribuire a nessuno dei grandi studiosi condannati, e inoltre ne
mette in evidenza solo gli errori, ridotti a brevi frasi diversamente
interpretabili dagli agguerriti contendenti.
E’ facile per
me indicare come testo risolutivo il Concilio ecumenico Vaticano II,
interpretato però secondo le chiarissime illuminazioni regalateci da Papa
Benedetto[4]
III
I tre punti cruciali
Secondo gli
studiosi del fenomeno, si tratta di tre aspetti vitali dell’esistenza
cristiana: importanza delle Scritture, storia dei dogmi, ecclesiologia.
A – Problematiche tra Bibbia e
Chiesa
Uno dei
problemi veramente centrali nel secolo della Riforma era questo: fra Bibbia e
Magistero chi ha il diritto di giudicare l’altera
pars? I cattolici (come faceva un po’ esagerando il già citato Tertulliano)
rispondevano: la Chiesa;
i protestanti invece: affermavano: sola
Scriptura.
Dalla Riforma
in poi il cattolicesimo risenti di un complesso d’inferiorità che gli faceva
avere una….sacra paura della Bibbia, la cui interpretazione, che diventava
talvolta manipolazione a partire dal testo latino, doveva essere riservata al
Concilio (e quindi al Papa).
Ma i cattolici
avevano un’ulteriore difficoltà da superare, soprattutto l’idea
dell’ispirazione come “dictatio mechanica”. Cominciamo a chiarire qualcosa,
dicendo che, come ogni educatore e insegnante, Dio per comunicare coll’uomo e
salvarlo si abbassa al suo livello di
comprensione (intelletto) e di capacità di scegliere il bene (volontà).
Se uno ha
letto (e magari un po’ studiato) la
Bibbia, capisce che la Parola di Dio ci è trasmessa non allo stato puro,
ma attraverso le storie e i linguaggi degli uomini; chi legge “materialmente” la Bibbia nulla capisce,
perché non tiene conto della diversità delle lingue bibliche, dei “generi
letterari”, delle epoche storiche, delle culture dei popoli, dei loro
comportamenti e comprensioni teologico-morali, della diversità dei codici in cui viene trascritta la Bibbia, della difficoltà di
traduzione di concetti qualificanti, ecc. Se avessimo tenuto conto di questi
fattori, avremmo meglio capito come affrontare le ragioni di Lutero e compagni,
di Galilei, di Darwin, ecc. che si presentano come giuste.
Non è
possibile allora prendere un’affermazione della Bibbia e dichiararla eterna e
immutabile, provocando un comprensibile sconcerto nell’animo raffinato
dell’uomo d’oggi. Come esempi portiamo tre casi: 1) progressi all’interno dell’AT,
come nei primi secoli dall’enoteismo al monoteismo jahvistico; 2) superamento
di alcune istituzioni, come l’anatema ordinato da Dio (1Sam 15), o la legge del
taglione; 3) superamento di altre istituzioni o usanze passando dall’AT al NT,
come per la guerra santa, o guerra di YHWH (1Sam 25,28; 28,18; Es 15,3), per
arrivare ad accettare tranquillamente la guerra, come fa Gesù nelle parabole e
Paolo negli esempi; o per la superiorità dell’uomo sulla donna secondo Paolo
Come in
pratica si usava la Bibbia
nelle nostre parrocchie? I comuni fedeli non dovevano nemmeno leggerla, i preti
mancavano di nozioni di esegetica e di ermeneutica, e comunque la leggevano in
latino. Con quali risultati di comprensione, chi ha un po’ di pratica dell’uso (e
abuso) della Scrittura di allora può vederlo da questi pochi esempi:
- Gen 3,15 “Ipsa conteret caput
tuum” in realtà dice così: Egli ti
colpirà alla testa
- Gen 14,21 “Da mihi animas cetera
tolle” in realtà significa: Dammi le persone
- 1Sam 15,2 “Deus exercituum” in
realtà significa: Dio delle schiere del cielo
- Qo 1,4 “Terra autem in aeternum
stat” dice che le generazioni passano, ma la terra rimane
- Mc 8,35 “Animam salvam facere”
dice questo della vita
- Lc 11,41 “Quod superest date
eleemosynam”, cioè: Date ciò che sta sul piatto…
- At 20,17.28 parla di presbiteri
che poi sono chiamati "epìskopoi'[5], non
distinguendoli
- Rom 5,12 “In quo omnes peccaverunt”
non dice che in Adamo tutti hanno peccato
- Rom 12,1 “Rationabile obsequium”
si riferisce al culto spirituale
- Ef 5,32 “Sacramentum hoc” traduce “mysterium”
B – Storia “aperta” dei dogmi,
o loro fossilizzazione?
Quando
io studiavo teologia per prepararmi al presbiterato, il testo più importante e
indiscutibile era l’Enchiridion symbolorum…
del Denzinger; in ogni tesi si adducevano, ma solo in seconda battuta,
pochi(ssimi) testi biblici estrapolati dalla traduzione latina Vulgata e
“usati” come pezza d’appoggio alle dichiarazioni solenni dei Concili o dei
Papi. E i buoni parroci custodivano una vecchia edizione della Bibbia per
poterne ricavare aneddoti e illustrazioni per gli alunni del catechismo. Tanto
che un testo del magistero ecclesiastico appariva (almeno in pratica) più fisso
e irreformabile di un’affermazione della Scrittura[6] . Per
divina Provvidenza poi ci è stato donato un testo che parla di studi teologici:
“Lo studio della sacra Scrittura (….) deve essere come l’anima di tutta la
teologia (….). Nell’insegnamento della teologia ‘dogmatica’, prima vengano
proposti gli stessi temi biblici……”[7].
Intendendo
qui con ‘dogma’ una verità religiosa o morale trasmessa dalla grande tradizione[8] e presentata
come obbligatoria, dobbiamo affermare che, anche nelle dichiarazioni solenni,
mentre la verità affermata è sopra la storia, il linguaggio con cui è espressa
è ricavato da una filosofia propria di un tempo e di una cultura. Per portar un
esempio conosciuto, all’interno del secolo IV il termine filosofico hypòstasis, che nell’anatema posto alla
fine del Credo Niceno (325) era usato come sinonimo di ousìa, nella lettera sinodica inviata a Roma nel 382 a esplicazione delle
decisioni del I concilio di Costantinopoli è preso come sinonimo di pròsopon, mentre ousìa è sinonimo di physis[9] .Una definizione dogmatica non si riferisce agli aspetti nuovi di un problema teologico che si presenteranno nei secoli seguenti, perchè non ha la funzione della diga, ma degli argini del fiume (R. Cantalamessa).
Un esempio di cambiamento di posizione può esser visto nel delicato argomento della necessità della Chiesa per la salvezza: mentre nel 1302 Bonifacio VIII nella bolla Unam sanctam affermava solennemente: “Dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l’essere sottomessi al romano pontefice, è per ogni umana creatura, necessario per la salvezza” è venuta a liberarci da questa evidente esagerazione - dopo un significativo intervento del S. Ufficio ai tempi di Pio XII - la teologia ecumenica del Concilio Vaticano II[10]
Un esempio di cambiamento di posizione può esser visto nel delicato argomento della necessità della Chiesa per la salvezza: mentre nel 1302 Bonifacio VIII nella bolla Unam sanctam affermava solennemente: “Dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l’essere sottomessi al romano pontefice, è per ogni umana creatura, necessario per la salvezza” è venuta a liberarci da questa evidente esagerazione - dopo un significativo intervento del S. Ufficio ai tempi di Pio XII - la teologia ecumenica del Concilio Vaticano II[10]
Alcune
dichiarazioni sono state nuovamente interpretate dalla teologia cattolica. Un
esempio lo troviamo nella dichiarazione che Gesù istituì tutti e sette i
sacramenti della Chiesa; che reinterpretato può essere letto così: Cristo ha
voluto la Chiesa
come sacramento generale, dalla quale Chiesa apostolica sono germinati i
sacramenti, in particolare quelli che sono insufficientemente nominati nella
Scrittura. D’altra parte dobbiamo tener presente l’inaspettata affermazione del Decreto sull’ecumenismo del
Concilio Vaticano II, Unitatis
redintegratio, che al n. 11 dichiara: “Nel mettere a confronto le dottrine
(i teologi cattolici) si ricordino che esiste un ordine o ‘gerarchia’ nelle
verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento
della fede cristiana”. Ciò consente di leggere, pur nella fedeltà, più serenamente il ‘preoccupato’ Credo del Popolo di Dio, da Paolo VI
solennemente proclamato il 30 giugno di quel tormentato1968 al termine
dell’Anno della Fede.
C – Quale concetto di Chiesa?
Mi auguro che
non venga frainteso il modo con cui presento la Chiesa che nella riforma
“piana” Papa Sarto ha proposto come antitetica a quella del Modernismo: un
modello di tipo controriformista, nel quale tendo a far notare soprattutto le
lacune che distanziano la
Chiesa di Dio dall’ideale voluto da Cristo. Faccio questo pur
sapendo che la Chiesa
animata dallo Spirito si fonda sulla professione della Fede,
sull’amministrazione dei Sacramenti e sulla guida dei Pastori.
Io che sono
veneto fin nelle midolla mi permetto di sottolineare che Pio X ha in realmente
proposto un modello che è caratteristico della Chiesa veneta del XIX secolo:
- Una Chiesa ordinata, col culto
dell’obbedienza cieca, che reprime ogni respiro fatto “a finestre aperte”; con una morale che apprezza la buona reputazione più della buona condotta, che ricorre alla delazione più che alla correzione fraterna, che usa severità con i peccati contro la castità più che con quelli contro la carità.
- Una Chiesa senza fondamenti
consistenti, basata su devozionismo, sacramentalismo, dolorismo
- Una Chiesa non fondata sulla
Parola di Dio, né sull’approfondimento teologico (come appare dal pur pregevole
Catechismo detto di Pio X, che riduce a poche unità le citazioni della Bibbia),
ma sulla prassi pastorale consolidata piuttosto che sulla ricerca del pensiero
dell’umanità concreta che doveva ricevere il messaggio di vita
- Una Chiesa che provvede maternamente a un fedele che rimane sempre bambino, con la cultura, le esigenze e i problemi del bambino.
- Una Chiesa che provvede maternamente a un fedele che rimane sempre bambino, con la cultura, le esigenze e i problemi del bambino.
- Una Chiesa che si ritiene
società perfetta, “senza rughe” (Ef 5,27), che non vive nella Speranza della
forma perfetta escatologica, non consapevole che quaggiù lo Spirito ci è dato solo come "primizia e caparra" (San Paolo); che non pensa a convertirsi perché deve convertire
gli altri (povero Rosmini con le cinque Piaghe!)
- Una Chiesa che – come tutto il
Cristianesimo occidentale del secondo millennio – ignora la funzione
ecclesiostrutturante dello Spirito santo[11]
- Una Chiesa ben corazzata che
vive verso il culmine di quel movimento del centralismo papale[12] – le
cui origini risalgono all’XI secolo con la “riforma gregoriana” e il distacco
definitivo della Chiesa d’Oriente[13] - che
tende a sconfinare nel culto della persona
- Una Chiesa che nelle varie
dimensioni si considera guida anche della società civile.
Concludendo
Pur ricordando la gustosa ironia
con cui il Manzoni (nel cap. XXII del romanzo) punzecchia i prudenti devoti dell’ “in medio stat
virtus”, mi sembra di essere rimasto nel giusto mezzo, e “ci sto comodo”, ritenendo
che il binomio vero-bene non abita necessariamente solo nel vecchio, né
necessariamente solo nel nuovo.
[1] Costituzione sulla divina Rivelazione, Dei verbum, n. 8
[2] Nel De
praescriptione haereticorum, scritto attorno all’anno 200.
[3] Pensiamo a Paolo e all’ultimo principale redattore di
Giovanni negli anni della recezione e riflessione. Per Paolo, si contano
periodi di 3 anni “in Arabia”, di pochi anni a Tarso, di 14 anni prima di
iniziare i viaggi e quindi la scrittura delle lettere autentiche (mentre lui
stesso parla di apokàlypsis,
rivelazione); per il vangelo secondo Giovanni,
gli studiosi parlano di un testimone e di almeno due fasi di redazione,
prima dell’aggiunta del capitolo finale.
[4] In vatican.va:
Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005
[5] Fa meraviglia che il Concilio di Trento (Denzinger,
nn.1768, 1777) si sforzi di dimostrare che gli episcopi sono superiori ai
presbiteri citando At 20,28, mentre nel Novum Testamentum del Merk presbyteroi è tradotto accortamente con maiores natu.
[6] Mi si consenta di citare quella che non voleva essere
solo una boutade: un vecchio parroco di fede…tridentina diceva al suo giovane
collaboratore: “Ma quante stramberie (o peggio…) sono contenute nella Bibbia!”
[7] Concilio ecumenico Vaticano II, Decreto sulla
formazione sacerdotale, Optatam totius,
n. 16. Mi
si consenta ancora di dare notizia che, di questo documento, il 12 novembre
1964 fu relatore in aula conciliare il mio vescovo mons. Giuseppe Carraro (vedi
D. CERVATO, Il piccolo vescovo
dell’Eucaristia, Verona, Postulazione 2015, p. 348s); il vescovo volle che
il decreto fosse immediatamente applicato dal 1965 nello Studio teologico San
Zeno, nel quale ho prestato servizio per 35 anni. Da notare che quell’aggettivo
‘dogmatica’ oggi sarebbe mutato in ‘sistematica’ (col quale però da noi si
indica uno dei cinque ‘momenti’ del trattato)
[8] Vincenzo di Lérins, morto prima del concilio di
Calcedonia, ci dice qual è la grande tradizione: “Quod ubique, quod semper,
quod ab omnibus” è stato creduto; “Crescat (….) sed in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem
sensu, eademque sententia” (Commonitorium,
capitoli 2 e 23. Vedi Dizionario
patristico e di antichità cristiane, Marietti, 1984, vol. II, col. 3595).
Questa seconda affermazione è stata fatta propria dal Concilio Vaticano I
(Denzinger, n. 3020). Ma dichiaro più bravo di me chi trova spesso insieme
realizzate tutte le condizioni elencate.
[9] Conciliorum
oecumenicorum decreta, Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973,
rispettivamente alle pp. 5 e 28.
[10] Vedi rispettivamente il Denzinger, al n. 875 e ai nn.
3866-3873, e la seconda parte della Costituzione sulla Chiesa del Vaticano II, Lumen gentium, capitolo II, nn. 15-16
[11] Mi addolora la lettura della Nota aggiuntiva
“Sostituzioni e alibi dello Spirito santo”, in Y. CONGAR, Credo nello Spirito santo, volume I, Queriniana, Brescia 1982, pp.
180-186, secondo la quale la funzione dello Spirito sarebbe stata occupata dal Papa, dalla Vergine Maria e dal culto al santissimo Sacramento. Vedi l’ironia del grande ecclesiologo J. A.. Moehler che nel 1823
scriveva: “Dio ha dato la gerarchia, e la chiesa ne ha più che a sufficienza
sino alla fine del mondo” (citato in W. KASPER – G. SAUTER, La Chiesa luogo dello Spirito, Queriniana,
Brescia 1980, alle pp. 13 e 71).
[12] Se qualcuno vuole stracciarsi le vesti per questa mia
posizione critica che sa di “apertura”, prima di farlo si legga per favore i
nn. 55, 61, 95 dell’enciclica Ut unum
sint, scritta nel 1995 da Giovanni Paolo II, che secondo i soliti bene
informati aperto non era.
[13] Vedi il classico studio di teologia storica Y.
CONGAR, L’Eglise de saint Augustin à
l’époque moderne, Du Cerf, Paris 1970.
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