Sul rapporto tra Fede e Ragione
I – Propongo
all’inizio una duplice serie di definizioni
utili per non immergersi nella confusione delle lingue
A - Credere: solitamente
indica un atto umano con cui si aderisce a (o si afferma) una realtà (esistente o fatto) senza fondarsi su precisi
argomenti empirici che sono propri delle scienze sperimentali
Esiste il pericolo di
affratellare indebitamente questi significati:
- Credere: accettare le
previsioni del metereologo, dell’indovino dello zodiaco, o le affermazioni
dello storico, economista, politico ecc. fidandosi (senza controlli) della loro
conoscenza dei fenomeni
- Credere in Dio (o a uno o più
dèi): è affermazione filosofica (o del senso comune) dell’intelletto che
assicura dell’esistenza di uno o più esseri superiori all’uomo
- Credere a Dio: è affermazione
di fede riconducibile alla volontà (aderire, o affidarsi totalmente, a Dio) – Fides qua creditur (fede come virtù
teologale, che ha per oggetto immediato Dio)
- Credere alla Parola di Dio: è
affermazione di fede pure riconducibile alla volontà (fidarsi di Dio) – Fides quae creditur (fede come
professione dei contenuti da credere nella comunità ecclesiale)
La proposta concettuale e
ragionata della Fides quae è chiamata
teologia.
B - Religione è un modo stabile
e socialmente organizzato di praticare una vita di fede nel divino.
Nella religione ebraico-giudaica
si crede che Dio ha chiamato “Abramo e la sua discendenza” alla vera religione;
si accettano quindi come Parola di Dio libri come l’Esodo, Isaia, Qohelet
Nella religione ebraico-cristiana
si crede inoltre che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito per “salvare”
l’uomo; si accettano quindi come Parola di Dio libri come i vangeli, le lettere
di san Paolo, l’Apocalisse di Giovanni
Nella religione musulmana si
crede che Dio si è rivelato ad un uomo “ispirato” che è posto all’origine del
Corano
Meno facile è individuare in che cosa credano le grandi religioni dell'Oriente, per esempio il Buddhismo che, nelle sue varie espressioni, parlando di "illuminazione" (ab intra) al posto di rivelazione, da molti studiosi viene riconosciuto come una filosofia religiosa.
II – Una
serena e attiva convivenza di fede e
ragione
Riporterò alcune citazioni del capitolo primo della costituzione sulla
divina rivelazione “Dei Verbum” (DV)
del Concilio ecumenico Vaticano II
1) Conosciamo la realtà (gli
esistenti) e la storia (la vita) mediante l’esperienza e la ragione naturale
(DV 6), la quale è data a tutti gli uomini quanto all’essenziale.
1a) Qui s’inserisce la conoscenza
naturale delle premesse necessarie (praembula
fidei), che non sono la definizione teoretica di “chi è Dio”, di “chi è
l’uomo”, ma presentano la realtà di un Dio personale, libero di creare e di
agire sull’uomo, buono e misericordioso; e inoltre la realtà dell’essere umano
personale, libero di accogliere la rivelazione e la volontà di Dio (DV 5), “capax Dei” (Sant’Agostino)
2) Una conoscenza ulteriore
(soprannaturale) ci viene data dalla rivelazione ebraico-cristiana (DV 6):
“Piacque a Dio….rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua
volontà…. mediante il quale gli uomini
per mezzo di Gesù Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso
al Padre e sono resi partecipi della
divina natura” (DV 2; cfr 5 e 6)
III – Quale funzione ha la filosofia (metafisica)
nel rapporto con la fede?
Decenni or sono era in vigore
un’acuta polemica che campeggiava per esempio fra due noti filosofi che si
professano cristiani e cattolici:
a) Dario Antiseri, enunciava la
sua tesi già dal titolo “Perché la metafisica è necessaria per la scienza e
dannosa per la fede” Queriniana 1980 (seguito poi da “Gloria o miseria della metafisica cattolica italiana?", Armando
1987). Il professore presupponeva che la metafisica fosse assunta dai teologi
cattolici come base da cui ricavare il contenuto della fede.
b) A lui seccamente rispondeva
Vittorio Possenti (ad es. coll’articolo “Ma la metafisica cattolica non è
questa”, in Avvenire del 23-04-1987)
A – L’enciclica Fides et ratio, 76 afferma: “Non
s’intende con essa (la denominazione “filosofia cristiana”) alludere a una
filosofia ufficiale della chiesa, perché la fede non è come tale una
filosofia”; cosicché la metafisica aristotelico-tomistica non è l’unica che sia
utile ai teologi cattolici per tradurre nel pensiero occidentale, che si
esprime per concetti, il messaggio che – eccetto in qualche libro – la Scrittura esprime con i
simboli in quella che oserei definire “metafisica dell’azione” dei semiti. - NB.
Di passaggio ricordo che ho trattato della necessità di una metafisica, che là
chiamavo “dinamica”, nel post “Sull’esistenza di Dio” pubblicato in questo blog
il 22-06-2016.
Ritengo insomma che la filosofia
abbia due funzioni rispetto alla teologia:
a) enuclea i principi della
religione naturale e i connessi “premaboli”, frutto della riflessione umana (ab intra);
b) serve a dare sistemazione
concettuale alle affermazioni della teologia
nel contesto delle definizioni che stabiliscono l’argine contro le
eresie nei grandi concili del passato (che si esprimevano in chiave ontologica statica
di matrice aristotelica)
Ma il prodotto del pensiero umano
non può assolutamente formare il piedestallo originante delle affermazioni
della fede, che vengono dalla rivelazione (ab
extra): “La fede viene dall’ascolto” (Romani 10,17)
B - Questa esposizione (spero)
equilibrata ci mette in guardia dall’esagerazione dei Protestanti che parlano
di sola fide, escludendo qualsiasi
forma di analogia entis (come fa K.
Barth, che non è lontano dal famoso “Memoriale” lasciato da B. Pascal).
Con questo prendiamo le distanze
anche dalla tendenziosa “vulgata” con cui il pensiero degli storici della
filosofia “indifferenti” interpretano il pensiero di I. Kant - cristiano protestante che seguiva con
convinzione la corrente pietista - come rifiuto del discorso filosofico su Dio.
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