domenica 30 ottobre 2016

Tra fede e ragione non mettere il dito

Sul rapporto tra Fede e Ragione


I – Propongo all’inizio una duplice serie di definizioni utili per non immergersi nella confusione delle lingue

A - Credere: solitamente indica un atto umano con cui si aderisce a (o si afferma) una realtà  (esistente o fatto) senza fondarsi su precisi argomenti empirici che sono propri delle scienze sperimentali
Esiste il pericolo di affratellare indebitamente questi significati:
- Credere: accettare le previsioni del metereologo, dell’indovino dello zodiaco, o le affermazioni dello storico, economista, politico ecc. fidandosi (senza controlli) della loro conoscenza dei fenomeni
- Credere in Dio (o a uno o più dèi): è affermazione filosofica (o del senso comune) dell’intelletto che assicura dell’esistenza di uno o più esseri superiori all’uomo
- Credere a Dio: è affermazione di fede riconducibile alla volontà (aderire, o affidarsi totalmente, a Dio) – Fides qua creditur (fede come virtù teologale, che ha per oggetto immediato Dio)
- Credere alla Parola di Dio: è affermazione di fede pure riconducibile alla volontà (fidarsi di Dio) – Fides quae creditur (fede come professione dei contenuti da credere nella comunità ecclesiale)
La proposta concettuale e ragionata della Fides quae è chiamata teologia.

B - Religione è un modo stabile e socialmente organizzato di praticare una vita di fede nel divino.
Nella religione ebraico-giudaica si crede che Dio ha chiamato “Abramo e la sua discendenza” alla vera religione; si accettano quindi come Parola di Dio libri come l’Esodo, Isaia, Qohelet
Nella religione ebraico-cristiana si crede inoltre che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito per “salvare” l’uomo; si accettano quindi come Parola di Dio libri come i vangeli, le lettere di san Paolo, l’Apocalisse di Giovanni
Nella religione musulmana si crede che Dio si è rivelato ad un uomo “ispirato” che è posto all’origine del Corano
Meno facile è individuare in che cosa credano le grandi religioni dell'Oriente, per esempio il Buddhismo che, nelle sue varie espressioni, parlando di "illuminazione" (ab intra) al posto di rivelazione, da molti studiosi viene riconosciuto come una filosofia religiosa.

II – Una serena e attiva convivenza di fede e ragione

Riporterò alcune citazioni del capitolo primo della costituzione sulla divina rivelazione “Dei Verbum” (DV) del Concilio ecumenico Vaticano II

1) Conosciamo la realtà (gli esistenti) e la storia (la vita) mediante l’esperienza e la ragione naturale (DV 6), la quale è data a tutti gli uomini quanto all’essenziale.

1a) Qui s’inserisce la conoscenza naturale delle premesse necessarie (praembula fidei), che non sono la definizione teoretica di “chi è Dio”, di “chi è l’uomo”, ma presentano la realtà di un Dio personale, libero di creare e di agire sull’uomo, buono e misericordioso; e inoltre la realtà dell’essere umano personale, libero di accogliere la rivelazione e la volontà di Dio (DV 5), “capax Dei” (Sant’Agostino)

2) Una conoscenza ulteriore (soprannaturale) ci viene data dalla rivelazione ebraico-cristiana (DV 6): “Piacque a Dio….rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà…. mediante il quale  gli uomini per mezzo di Gesù Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi  della divina natura” (DV 2; cfr 5 e 6)

III – Quale funzione ha la filosofia (metafisica) nel rapporto con la fede?

Decenni or sono era in vigore un’acuta polemica che campeggiava per esempio fra due noti filosofi che si professano cristiani e cattolici:
a) Dario Antiseri, enunciava la sua tesi già dal titolo “Perché la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per la fede” Queriniana 1980 (seguito poi da “Gloria o miseria  della metafisica cattolica italiana?", Armando 1987). Il professore presupponeva che la metafisica fosse assunta dai teologi cattolici come base da cui ricavare il contenuto della fede.
b) A lui seccamente rispondeva Vittorio Possenti (ad es. coll’articolo “Ma la metafisica cattolica non è questa”, in Avvenire del 23-04-1987)

A – L’enciclica Fides et ratio, 76 afferma: “Non s’intende con essa (la denominazione “filosofia cristiana”) alludere a una filosofia ufficiale della chiesa, perché la fede non è come tale una filosofia”; cosicché la metafisica aristotelico-tomistica non è l’unica che sia utile ai teologi cattolici per tradurre nel pensiero occidentale, che si esprime per concetti, il messaggio che – eccetto in qualche libro – la Scrittura esprime con i simboli in quella che oserei definire “metafisica dell’azione” dei semiti. - NB. Di passaggio ricordo che ho trattato della necessità di una metafisica, che là chiamavo “dinamica”, nel post “Sull’esistenza di Dio” pubblicato in questo blog il 22-06-2016.
Ritengo insomma che la filosofia abbia due funzioni rispetto alla teologia:
a) enuclea i principi della religione naturale e i connessi “premaboli”, frutto della riflessione umana (ab intra);
b) serve a dare sistemazione concettuale alle affermazioni della teologia  nel contesto delle definizioni che stabiliscono l’argine contro le eresie nei grandi concili del passato (che si esprimevano in chiave ontologica statica di matrice aristotelica)
Ma il prodotto del pensiero umano non può assolutamente formare il piedestallo originante delle affermazioni della fede, che vengono dalla rivelazione (ab extra): “La fede viene dall’ascolto” (Romani 10,17)

B - Questa esposizione (spero) equilibrata ci mette in guardia dall’esagerazione dei Protestanti che parlano di sola fide, escludendo qualsiasi forma di analogia entis (come fa K. Barth, che non è lontano dal famoso “Memoriale” lasciato da B. Pascal).
Con questo prendiamo le distanze anche dalla tendenziosa “vulgata” con cui il pensiero degli storici della filosofia “indifferenti” interpretano il pensiero di I. Kant  - cristiano protestante che seguiva con convinzione la corrente pietista - come rifiuto del discorso filosofico su Dio.






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