domenica 24 giugno 2018

"Servitori della Parola" (Lc 1,2)

                                      CHE COSA DOBBIAMO PREDICARE
                     
                                   "Cristo mi ha mandato ad annunciare il Vangelo"; 
                                        "Guai a me se non annuncio il Vangelo!" 
                                                       (1Cor 1,17; 9,16)

          A distanza di oltre 50 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, la maggioranza dei cattolici non ha ancora compreso che il massimo grado di sicurezza raggiungibile dalla mente umana, per sua natura limitata, nella comprensione della Parola di Dio si può avere nella Scrittura adeguatamente interpretata nella tradizione di tutta la Chiesa.
           La Parola di Dio nel duplice significato di “dabar” infatti si presenta  in due forme:
 - una “extentior” in cui “la Chiesa trasmette integralmente tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede”; e perciò (comprendendo anche il magistero) rappresenta il tramite “umano” in quanto contenuto storico-istituzionale della vita della Chiesa;
- un’altra “excelsior” che “è espressa in modo speciale nei libri ispirati”; e perciò costituisce l’elemento “divino”, portatore del collegamento carismatico-veritativo della Rivelazione.
         Il primo evento, iniziato nel Nuovo Testamento coll’annuncio della venuta del Regno di Dio da parte di Gesù, trova il suo compimento nel Mistero pasqua-pentecostale; il secondo evento, iniziato con quel Mistero, trova la sua più alta realizzazione nell’ispirazione delle Scritture operata dalla Spirito.
       Il Concilio conclude così: “La sacra Tradizione e la sacra Scrittura, scaturendo dalla stessa divina sorgente, confluiscono come in una sola realtà e tendono allo stesso fine” e “costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa”. (Vedi, anche per le frasi precedentemente citate, il capitolo II della costituzione “Dei verbum”).
                  Cosicché possiamo vedere, pur tenendo conto della diversità del tenore e del fine dei due discorsi, quale grado maggiore di autorità possa avere  un'affermazione della Scrittura in confronto con una, anche solenne, del magistero: "In religioso ascolto della Parola di Dio (....) il sacro Concilio....."; "Il magistero  non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve....." (Dei verbum, n. 1 e 10). Cfr Is 40,8; 1Pt 1,25.


                    A questo punto sorgono alcuni problemi

               Nei 73 libri dell’antica e nuova Alleanza (o Testamento) accettati dalla Chiesa orientale e dalla cattolica è possibile individuare diverse “correnti” teologiche. Per esempio: sulla teologia della retribuzione, cioè dei criteri con cui Dio viene presentato come retributore del bene e del male operati dagli uomini.
a) Nel nuovo Testamento una corrente principale è fondata sull’evento irripetibile di Cristo attraverso la tradizione apostolica; una seconda invece è apertamente orientata alle novità future dello Spirito effuso su tutta l’umanità.
b) Nella nostra predicazione possiamo partire dal "vangelo" del Regno annunciato dal Gesù terreno, oppure dal "vangelo" cristocentrico del Mistero pasquale, ricevuto e predicato da san Paolo.
               Nella stesura della teologia sistematica abbiamo una forma adatta al popolo e da lui gradita, con contenuti prevalentemente etici, ma pure un’altra che coglie il significato recondito del mistero, accettabile dalle élites indifferenti ed anche dai non cristiani.
Probabilmente per venire incontro a quest'ultima problematica, il teologo K. Rahner, seguace del filosofo Heidegger, ha proposto la distinzione fra una teologia “categoriale”, che si esprime coi concetti della tradizione cattolico-ortodossa, e una “trascendentale”, che si avvale di ulteriori strumenti culturali di approfondimento. Quest’ultima, è apprezzata dai protestati, un po’ meno da Barth; un solo cattolico, che io ricordi, Von Balthasar, l’ha esaminata bene e su di essa avanza forti riserve perché essa può condurre alla discutibile teoria del “cristianesimo anonimo”, per cui ogni uomo, anche buddhista o ateo, è inconsapevolmente cristiano e possiede la Grazia.
Quindi ci chiediamo se la formula "categoriale/trascendentale" sia applicabile alla rivelazione, alla salvezza, alla cristologia, alla grazia, eccetera.

           E’ utile addurre alcuni esempi d’interpretazione del dato biblico, in cui appare fondamentale la comprensione con cui ci avviciniamo al concetto di Dio. Perché nella mentalità dei semiti antichi (quindi ebrei e anche arabi) Dio non è concepito nella sua trascendenza, non è causa prima che lascia spazio alle cause seconde e interviene direttamente nella nostra storia.
a) Dio dice: “Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo” (Isaia 45,7); “Avviene forse nella città una sciagura che non sia causata dal Signore?” (Amos 3,6). L’adagio una volta diffuso “Non si muove foglia che Dio non voglia” non ha paragoni nella Bibbia, ma si trova con varie espressioni nel Corano.
b) E’ Dio che agisce come guerriero contro i nemici; “Eppure io ho sterminato davanti a loro l’Amorreo” (Amos 2,9). E’ Dio che manda il “messia” Ciro (Deuteroisaia). Dio manda la peste al Popolo per punire la superbia di Davide che ha voluto il censimento (2 Samuele 24,15).
c) Ma su un caso particolarmente delicato ritengo opportuno addurre l’autorità di uno dei tanti teologi cattolici (K. Rahner, A. Marranzini, M. Flick – Z. Alszeghy….) che hanno risolto il problema affermando, seppur in prospettiva moderna, il creazionismo anche sull’origine dell’anima di ogni uomo: “Sbaglierebbe chi pensasse ad un’azione di Dio posta sullo stesso piano dell’azione dell’uomo, essa pure categoriale come la sua; e perciò a una lottizzazione di parti per cui metà uomo (anima)  provenga da Dio e metà (corpo) dai genitori. (…..) (Questo errore) non tiene conto della natura trascendentale del concorso divino. L’operazione divina fa tutto non già emarginando la creatura bensì abilitandola a far tutto essa stessa” (G. GOZZELINO, Vocazione e destino dell’uomo in Cristo, Elle Di Ci, Leumann, 1985, p. 185)
           Ma non dimentichiamo che almeno durante il nostro medioevo si praticava l’ordalia, o giudizio di Dio, pratica giuridica con cui si pensava di provare l’innocenza attraverso una prova dolorosa (fuoco) o un duello.
                   

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