Questo “mysterion” è grande!
Questa esclamazione cha Paolo
pronuncia in riferimento al sacramento del Matrimonio (Ef 5,32), si deve
applicare a pieno titolo al sacramento dell’Eucaristia, il motore genetico
della vita della Chiesa cristiana. Nelle sue tre parti-dimensioni essenziali e
impreteribili, che delineiamo schematicamente..
Vedremo inoltre che la successione
dei “luoghi” in cui si rende presente la Chiesa locale eucaristica può far pensare a una
Chiesa processionale, o pellegrina nel tempo.
I
CATTEDRA DELLA PAROLA
Nella quale Dio ci dona la
Fede. Il
celebrante sta di fronte ai fedeli in nome e come “sacramento” (in quanto
esercita sacramentalmente la funzione) di Cristo Maestro.
E lo Spirito è presente e
operante come “istruttore”, che ha ispirato le Scritture.
Il brano di riferimento è il
Discorso del monte (Matteo) o del piano (Luca)
II
MENSA DEL PANE
Nella quale Dio ci dona la Carità.
I fratelli stanno attorno (circumstantes) al celebrante come attorno al Cristo Primogenito,
presente come “archiereus” e col suo
Corpo spezzato e distribuito. Il celebrante è “sacramento” di Cristo Capo e
Signore, che dona tutto se stesso al Padre. Si vive nella Fede-Speranza come un
anticipo del Banchetto del Cielo.
Lo Spirito è l’agente
“santificatore” delle “oblate” conferite dalla comunità umana. Il cristiano sa nella Fede che comunica col Corpo glorificato del Signore.
I brani di riferimento sono i
racconti dell’istituzione nei Sinottici e in Paolo (1Cor) e la lavanda dei
piedi di Gv 13
III
ALTARE DEL SACRIFICIO
Nel quale Dio ci dona la Redenzione dal peccato. Gli oranti sono rivolti verso il Cielo offrendo se stessi come vittima
secondaria nel Sangue[1] della
Grande Vittima.
Qui incontriamo nella figura del
sacerdote la ripresentazione sacramentale, l’attuazione[2] terrena
e l'applicazione comunitaria del gesto escatologico del Cristo, che col suo Corpo
di risorto[3] è
entrato una volta per sempre nel Cielo di Dio (Eb 9,24), come insegna la
cosiddetta Lettera agli Ebrei, che assume come modello l’ingresso del sommo
sacerdote ebraico una volta nell’anno nel Santissimo-Debir, attraversando la prima “tenda” (Eb 9,11s) del Santo-Hekal, per ottenere il Perdono dei
peccati del Popolo (cfr Eb 5,1).
Cristo, vittima e intercessore,
offre al Padre come materia del sacrificio il suo Sangue versato sulla Croce,
cioè tutto se stesso (Eb 7,27; 9,14.26; come in 10,10); per la nostra Redenzione. Inaugurando con
unica oblazione (Eb 10,14) l’alleanza nuova in riferimento a quella celebrata
da Mosè in Es 24 (Eb 8,13; 9,15.20). Dove è “sempre vivente per intercedere per
noi” (Eb 7,25). Il cristiano sa nella Speranza di avere sempre un Intercessore presso il Padre.
Abbiamo così nel Cielo il primo Parakletos[4], Cristo
(cfr 1Gv 2,1), e in terra il secondo Parakeltos
(Gv 14,15), lo Spirito[5].
Come brani di riferimento: per il
Perdono pasquale, l’effusione pasquale per la remissione dei peccati (Gv 20,22s)
e quella di Pentecoste (At 2); per il dono
escatologico dello Spirito (Gv 14-16; cfr At 2,33).
SCHEMA PROCESSIONALE
Prendiamo come base il fondamentale
circolo ben noto A Patre – Per Christum –
In Spiritu – Ad Patrem e scattiamo una foto dall’alto sui “luoghi” nei
quali ci è fatto dono di celebrare l’Eucaristia.
1.
La
Chiesa terrena
Il Popolo fedele nel quale è
presente invisibilmente il secondo Parakletos,
lo Spirito Santo. Questa “porzione”[6] della
Chiesa è il Corpo di Cristo vivente in questa storia (eone). Ha un suo grado di
partecipazione al “mistero”
2. La Mensa-Altare
Su cui è presente visibilmente il
primo Parakletos, Cristo, nel suo
Corpo e Sangue, col suo “sacramento”, che è il Celebrante ministeriale. Abbiamo
qui il “ponte” di passaggio tra le due Chiese
Proprio trattando della preghiera
liturgica, Paolo (o un suo discepolo) ci dà un principio non obliabile: “Uno
solo è Dio e uno solo anche il mediatore
fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in
riscatto per tutti” (1Tm 2,5s)
3.
La
Chiesa celeste
Qui si dividono le due concezioni
dello spazio liturgico in cui si celebra. Nella chiesa basilicale della Grande
Tradizione, fortemente segnata dal trono che sta sotto l’abside, segno della
definitività della “tappa” del Padre, a questa conducono le due tappe del
Popolo e della Mensa-Altare. Nella chiesa cristocentrica, venuta in uso negli
ultimi decenni, la “tappa” definitiva è il Cielo, in cui siede invisibile il
Padre, origine archetipa di ogni dono di luce e di grazia (cfr 1Tm 6,15s; Gc
1,17), come fa intendere la complessa teologizzazione della Lettera agli Ebrei[7]
Ai Pastori e al Popolo fedele
spetta evidentemente l’incombenza di non contrapporre polemicamente l’una
visione all’altra, quando ambedue convergono nell’unico Omega.
[1] Mensa e Altare sono “unum”; ma ci dovrebbe far penare che sia 1Cor sia Lc nel racconto
dell’istituzione collocano il Calice “dopo aver cenato” (corrispondeva al terzo
calice del Seder)
[2] Contrariamente a qualche subdolo tentativo, il latino “exercetur” è tradotto bene con “si compie l’opera” nell’Orazione sulle
offerte della Seconda domenica del tempo ordinario
[3] Secondo la migliore interpretazione, quella di A.
Vanhoye
[4] La traduzione “consolatore” è più adatta agli scritti
di Paolo. La traduzione per l’opera giovannea offre diverse possibilità, come
mostra R. E. Brown alla fine della sua opera monumentale, Giovanni, Cittadella editrice. Nel linguaggio comune noi lo attribuiamo solo allo Spirito, che Tertulliano (De Praescr. 28) si spinge fino a chiamare "Christi vicarius". Secondo B. Maggioni, le due funzioni
principali dello Spirito sono: l’insegnamento e la testimonianza.
[5] Quasi tutti gli autori negano l’interpretazione
eucaristica a Eb 13,10: “Noi abbiamo un altare….”. Ma la Traduction Oecuménique de la Bible lascia aperta la porta: “Questo
versetto allude all’eucaristia? o piuttosto al sacrificio sulla croce?”
[6] Nella mia tesi di laurea “La Chiesa locale nelle attuali
discussioni teologiche”, discussa a Roma nel 1972, ho proposto di usare il
concetto di “portio”, piuttosto che “pars”, il quale porta a una concezione essenziale
di presenza divisiva nell’unico “mysterium
Ecclesiae”, che renderebbe vuota di senso l’ecclesiologia locale.
[7] Nel saggio Il
nuovo popolo di Dio (ed. Queriniana; originale del 1969), quel grande
innamorato della storia liturgica che è J. Ratzinger, citando J. A. Jungmann ,
mostrava invece una certa preferenza per la chiesa ad anello aperto, versus Orientem, del Conversi ad Dominum, nei confronti del
modello a circolo, che sottolinea la dimensione del convito, anche perché questa
può favorire la chiusura della comunità in se stessa, non lasciando posto al
Signore. Quod Deus avertat!
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