mercoledì 2 maggio 2018

De Eucharistia numquam satis



Questo “mysterion” è grande!

Questa esclamazione cha Paolo pronuncia in riferimento al sacramento del Matrimonio (Ef 5,32), si deve applicare a pieno titolo al sacramento dell’Eucaristia, il motore genetico della vita della Chiesa cristiana. Nelle sue tre parti-dimensioni essenziali e impreteribili, che delineiamo schematicamente..
Vedremo inoltre che la successione dei “luoghi” in cui si rende presente la Chiesa locale eucaristica può far pensare a una Chiesa processionale, o pellegrina nel tempo.

I
CATTEDRA DELLA PAROLA
Nella quale Dio ci dona la Fede. Il celebrante sta di fronte ai fedeli in nome e come “sacramento” (in quanto esercita sacramentalmente la funzione) di Cristo Maestro.
E lo Spirito è presente e operante come “istruttore”, che ha ispirato le Scritture.
Il brano di riferimento è il Discorso del monte (Matteo) o del piano (Luca)

II
MENSA DEL PANE
Nella quale Dio ci dona la Carità. I fratelli stanno attorno (circumstantes) al celebrante come attorno al Cristo Primogenito, presente come “archiereus” e col suo Corpo spezzato e distribuito. Il celebrante è “sacramento” di Cristo Capo e Signore, che dona tutto se stesso al Padre. Si vive nella Fede-Speranza come un anticipo del Banchetto del Cielo.
Lo Spirito è l’agente “santificatore” delle “oblate” conferite dalla comunità umana. Il cristiano sa nella Fede che comunica col Corpo glorificato del Signore.
I brani di riferimento sono i racconti dell’istituzione nei Sinottici e in Paolo (1Cor) e la lavanda dei piedi di Gv 13

III
ALTARE DEL SACRIFICIO     
Nel quale Dio ci dona la Redenzione dal peccato. Gli oranti sono rivolti verso il Cielo offrendo se stessi come vittima secondaria nel Sangue[1] della Grande Vittima.
Qui incontriamo nella figura del sacerdote la ripresentazione sacramentale, l’attuazione[2] terrena e l'applicazione comunitaria del gesto escatologico del Cristo, che col suo Corpo di risorto[3] è entrato una volta per sempre nel Cielo di Dio (Eb 9,24), come insegna la cosiddetta Lettera agli Ebrei, che assume come modello l’ingresso del sommo sacerdote ebraico una volta nell’anno nel Santissimo-Debir, attraversando la prima “tenda” (Eb 9,11s) del Santo-Hekal, per ottenere il Perdono dei peccati del Popolo (cfr Eb 5,1).
Cristo, vittima e intercessore, offre al Padre come materia del sacrificio il suo Sangue versato sulla Croce, cioè tutto se stesso (Eb 7,27; 9,14.26; come in 10,10);  per la nostra Redenzione. Inaugurando con unica oblazione (Eb 10,14) l’alleanza nuova in riferimento a quella celebrata da Mosè in Es 24 (Eb 8,13; 9,15.20). Dove è “sempre vivente per intercedere per noi” (Eb 7,25). Il cristiano sa nella Speranza di avere sempre un Intercessore presso il Padre.

Abbiamo così nel Cielo il primo Parakletos[4], Cristo (cfr 1Gv 2,1), e in terra il secondo Parakeltos (Gv 14,15), lo Spirito[5].
Come brani di riferimento: per il Perdono pasquale, l’effusione pasquale per la remissione dei peccati (Gv 20,22s) e quella di Pentecoste  (At 2); per il dono escatologico dello Spirito (Gv 14-16; cfr At 2,33).

SCHEMA PROCESSIONALE

Prendiamo come base il fondamentale circolo ben noto A Patre – Per Christum – In Spiritu – Ad Patrem e scattiamo una foto dall’alto sui “luoghi” nei quali ci è fatto dono di celebrare l’Eucaristia.

1.      La Chiesa terrena
Il Popolo fedele nel quale è presente invisibilmente il secondo Parakletos, lo Spirito Santo. Questa “porzione”[6] della Chiesa è il Corpo di Cristo vivente in questa storia (eone). Ha un suo grado di partecipazione al “mistero”

      2. La Mensa-Altare         
Su cui è presente visibilmente il primo Parakletos, Cristo, nel suo Corpo e Sangue, col suo “sacramento”, che è il Celebrante ministeriale. Abbiamo qui il “ponte” di passaggio tra le due Chiese
Proprio trattando della preghiera liturgica, Paolo (o un suo discepolo) ci dà un principio non obliabile: “Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore  fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5s)

3.      La Chiesa celeste
Qui si dividono le due concezioni dello spazio liturgico in cui si celebra. Nella chiesa basilicale della Grande Tradizione, fortemente segnata dal trono che sta sotto l’abside, segno della definitività della “tappa” del Padre, a questa conducono le due tappe del Popolo e della Mensa-Altare. Nella chiesa cristocentrica, venuta in uso negli ultimi decenni, la “tappa” definitiva è il Cielo, in cui siede invisibile il Padre, origine archetipa di ogni dono di luce e di grazia (cfr 1Tm 6,15s; Gc 1,17), come fa intendere la complessa teologizzazione della Lettera agli Ebrei[7]
Ai Pastori e al Popolo fedele spetta evidentemente l’incombenza di non contrapporre polemicamente l’una visione all’altra, quando ambedue convergono nell’unico Omega.



[1] Mensa e Altare sono “unum”; ma ci dovrebbe far penare che sia 1Cor sia Lc nel racconto dell’istituzione collocano il Calice “dopo aver cenato” (corrispondeva al terzo calice del Seder)
[2] Contrariamente a qualche subdolo tentativo, il latino “exercetur” è tradotto bene con  “si compie l’opera” nell’Orazione sulle offerte della Seconda domenica del tempo ordinario
[3] Secondo la migliore interpretazione, quella di A. Vanhoye
[4] La traduzione “consolatore” è più adatta agli scritti di Paolo. La traduzione per l’opera giovannea offre diverse possibilità, come mostra R. E. Brown alla fine della sua opera monumentale, Giovanni, Cittadella editrice. Nel linguaggio comune noi lo attribuiamo solo allo Spirito, che Tertulliano (De Praescr. 28) si spinge fino a chiamare "Christi vicarius". Secondo B. Maggioni, le due funzioni principali dello Spirito sono: l’insegnamento e la testimonianza.
[5] Quasi tutti gli autori negano l’interpretazione eucaristica a Eb 13,10: “Noi abbiamo un altare….”. Ma la Traduction Oecuménique de la Bible lascia aperta la porta: “Questo versetto allude all’eucaristia? o piuttosto al sacrificio sulla croce?”
[6] Nella mia tesi di laurea “La Chiesa locale nelle attuali discussioni teologiche”, discussa a Roma nel 1972, ho proposto di usare il concetto di “portio”, piuttosto che “pars”, il quale porta a una concezione essenziale di presenza divisiva nell’unico “mysterium Ecclesiae”, che renderebbe vuota di senso l’ecclesiologia locale.
[7] Nel saggio Il nuovo popolo di Dio (ed. Queriniana; originale del 1969), quel grande innamorato della storia liturgica che è J. Ratzinger, citando J. A. Jungmann , mostrava invece una certa preferenza per la chiesa ad anello aperto, versus Orientem, del Conversi ad Dominum, nei confronti del modello a circolo, che sottolinea la dimensione del convito, anche perché questa può favorire la chiusura della comunità in se stessa, non lasciando posto al Signore. Quod Deus avertat!

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