CRISI DI SENSO, CRISI DI OTTIMISMO
Qualche richiamo
letterario per aprire il discorso
Morendo suicida nel
1920 l’anziano filosofo e pedagogista positivista Roberto Ardigò, già canonico
della cattedrale di Mantova, pronunciava la terribile frase, per sé e per
l’umanità: “A che serve la vita?”. La risposta sapiente era già data in “L’Annonce faite à Marie” (1912) del
convertito cristiano Claudel: “Che valore ha il mondo in confronto con la vita?
E quale valore ha la vita se non per donarla?”
Una perla nel film La Strada
(1954) di Fellini è il colloquio de “Il matto” con “Gelsomina”:
“Tutto quello che c’è a questo mondo
serve a qualcosa (…) Prendi quel sasso lì (….) uno qualunque (….) No, non so a
che cosa serva questo sasso io, ma a qualcosa deve servire (…) Anche tu servi a
qualcosa”
Quando frequentavo la
prima classe del liceo classico in seminario portai con me in vacanza un libro
di Padre Riccardo Lombardi, grande predicatore e trascinatore di folle: “La
storia e il suo protagonista” (1942). Dopo le prime pagine capii con sorpresa
che il protagonista non è Dio, ma l’uomo.
Due moduli di domande cruciali
per un uomo che si prepara alla vita possono essere questi:
-
Che ci faccio a questo mondo? O che senso ha la
vita?
-
Dove abita la vera felicità? O cosa posso
sperare per il mio futuro?
Situazione esistenziale (positiva e negativa) dell’uomo
I
L’uomo è una meravigliosa
creatura complessa e ambivalente, che vive tra due estremi:
-
ha ricevuto la vita in germe / la fa progredire
da sé nella libertà / ha in prospettiva futura di riceverla in pienezza
-
è limitato e infinito / è condizionato dal tempo
e aspirante all’immortalità
-
ha aspettative sempre superiori alle concrete
conquiste di realizzazione per la sua vita
-
sembra chiuso in se stesso, nell’incomunicabilità
/ si realizza come persona solo in rapporto con altri (nel simbolo: è dotato di
sistema-apparato nervoso e cardiocircolatorio / di apparato tegumentale e di
organi di senso)
Nel biblico libro dei Salmi si
trova la coscienza di una doppia “sapienziale” lettura della figura dell’uomo.
-
Sal 8,5-6 lo presenta come il capolavoro della
potenza creatrice di Dio: “L’hai fatto poco meno di un ‘dio’ (o angelo)….tutto
hai posto sotto i suoi piedi….”
-
Sal 39,6-7; 62,10 e molti altri esprimono
pessimisticamente la struttura dell’uomo come un “soffio” che passa
Nell’autorealizzazione
l’individuo deve selezionare i veri “valori”: solidarietà, “amore”, capacità di
chinarsi sul bisognoso, sullo sfortunato, sul “peccatore”, sul fallito,
sull’emarginato
I veri valori si riconoscono perché mi aiutano a non vivere
da “gaudenti” (Orazio: “Epicuri de grege porcus”), da arrivisti (carrieristi,
avventurieri) , dominatori (bulli, violentatori)
Devo prendere per valori
-
quelli che non si rivelano non durevoli, ossia
precari
-
quelli che non mi offrono una felicità fasulla
(droga, eccessi superalcolici….)
-
quegli “stati” umani che in breve lasso di tempo
non mi faranno sprofondare nella disillusione.
Quando io (mi) dono, non
impoverisco, ma mi realizzo come persona, nell’equilibrio delle sue “relazioni”
costitutive (orizzontali e verticali)
Può chiedere “amore” soltanto chi
dà all’altro il “vero” amore (quello oblativo, non possessivo)
II
Esiste una lettura
individualistica dell’uomo - proveniente
alla post-modernità dall’antropologia illuministica (che contrasta con la
visione essenzialmente relazionale della “persona”):
-
che porta all’egocentrismo assoluto (non vedere
l’alto)
-
che porta a una visione riduzionistica (e
pessimistica) degli altri
Sul rigo di questa, l’uomo
-
non comprende l’altruismo gratuito,
disinteressato
-
comprende gli altri come servi da assoggettare,
come avversari da fronteggiare, come vili oggetti dai quali si spreme il
massimo piacere
Tre “intromissioni” si presentano nel pensiero
di chi discute sulla libertà dell’uomo e di chi assorbe acriticamente
l’imponente messaggio imposto dai mezzi di comunicazione
1. Si esprime
un concetto utopico della libertà vista come dimensione assoluta e
indiscutibile, senza accorgersi che una società umana senza norme di qualsiasi tipo
equivale oggettivamente alla giungla. Adduco solo un esempio, semplice ma
paradigmatico: quello di chi, di fronte al freddo dell’inverno, rifiuta di
indossare vestiti perché li considera strumento limitativo di oppressione,
invece che necessari mezzi comunemente accettati a protezione dalla dispersione
del calore corporeo
2. Più
complesso è il problema dei molti stimoli che giungono soprattutto alla vista
del grande pubblico. Perché, per esempio, uno spettacolo cinematografico che
presenti la vita normale di una famiglia altrettanto normale non attrarrebbe
alcuno spettatore e non sarebbe proiettato da alcuna sala: sarebbero graditi i
contenuti spruzzati di morbosità, di sensazionalismo, di violenza e sangue, con
ricorso a straordinari casi strappalacrime o pietosi. Lasciatemi portare una
conferma dal mio amato Manzoni: si lamentano alcuni perché, superati
gl’impedimenti noti (cessate la peste e la guerra, superata la rivolta, morto
don Rodrigo), gli ultimi due capitoli del romanzo sono “fiacchi” e inutili! Il
guaio è per un adolescente che ha visto cinquanta film con famiglie disgregate
per l’adulterio e si fa un’opinione che tutte le famiglie del mondo si trovano,
magari nascostamente, in quella situazione. Il messaggio deleterio dei mezzi di
comunicazione diventa allora come una folata di aria gelida su un malato di
polmonite durante un glaciale inverno.
3.
Che dire di chi ironizza sul Matrimonio, presentandolo come un “relitto” del
passato da rifiutare? Per superficialità o per inconfessabile calcolo, non si
rende conto che esso è naturale e fondamentale in qualsiasi comunità umana che
voglia parlare di società civile non barbarica, di unità di preparazione dei
futuri uomini alla vita.
Apriamo il discorso all’imprescindibile dimensione religiosa (verticale)
Perché alcuni, specialmente tra i
giovani, si sentono in partenza “falliti”? Perché, forse istintivamente, rifiutano
l’Altro (Dio) e gli altri (le creature dotate di spiritualità)
Solo un “dio” può pretendere di
godere di valori inestinguibili, perenni, eterni. E un Dio è vero se in se
stesso è il “fondante” dei valori umani (benché, in noi, limitati)
Oggi la virtù che maggiormente
latita è la Speranza
(aspirazione a un futuro stabilmente “felice”, in questa vita e nella futura)
-
che si fonda sulla Fede (affidarsi a Dio, che è
il Padre)
-
che si attua nella Carità (= Amore) del Padre e
dei fratelli
La religione “cristiana” apporta
importanti sviluppi e precisazioni:
-
Da un concetto, tutto metafisico, di Dio come
Padrone assoluto, si progredisce verso un Dio che “esiste per gli altri” (Padre;
perché “padre” è un concetto relativo ad altri, a lui pari nella dimensione di
“personalità”)
-
Da un concetto di “Comandamenti” come diktat
imposti da un Dio Onnipotente, a itinerari proposti per realizzarci (con la sua
azione e con la nostra) come figli di un Dio che è Amore
-
Cristo, il Figlio eterno fatto uomo, non
considerato come l’Essere divino in assoluto, ma come colui che ex-sistit (da “pre-esistenza”
nell’essere, a “pro-esistenza” nel donarsi)
-
Un Cristo che non è venuto per intrupparci in
una “Chiesa”, ma per salvarci dai/coi nostri limiti esistenziali e morali
(Salvatore e Redentore)
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