giovedì 20 aprile 2017

Pensare al Matrimonio nell'epoca del post-pensiero

CRISI DI SENSO, CRISI DI OTTIMISMO


Qualche richiamo letterario per aprire il discorso

Morendo suicida nel 1920 l’anziano filosofo e pedagogista positivista Roberto Ardigò, già canonico della cattedrale di Mantova, pronunciava la terribile frase, per sé e per l’umanità: “A che serve la vita?”. La risposta sapiente era già data in “L’Annonce faite à Marie” (1912) del convertito cristiano Claudel: “Che valore ha il mondo in confronto con la vita? E quale valore ha la vita se non per donarla?”
Una perla nel film La Strada (1954) di Fellini è il colloquio de “Il matto” con “Gelsomina”:
“Tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa (…) Prendi quel sasso lì (….) uno qualunque (….) No, non so a che cosa serva questo sasso io, ma a qualcosa deve servire (…) Anche tu servi a qualcosa”
Quando frequentavo la prima classe del liceo classico in seminario portai con me in vacanza un libro di Padre Riccardo Lombardi, grande predicatore e trascinatore di folle: “La storia e il suo protagonista” (1942). Dopo le prime pagine capii con sorpresa che il protagonista non è Dio, ma l’uomo.

Due moduli di domande cruciali per un uomo che si prepara alla vita possono essere questi:
-          Che ci faccio a questo mondo? O che senso ha la vita?
-          Dove abita la vera felicità? O cosa posso sperare per il mio futuro?

Situazione esistenziale (positiva e negativa) dell’uomo

            I
L’uomo è una meravigliosa creatura complessa e ambivalente, che vive tra due estremi:
-          ha ricevuto la vita in germe / la fa progredire da sé nella libertà / ha in prospettiva futura di riceverla in pienezza
-          è limitato e infinito / è condizionato dal tempo e aspirante all’immortalità
-          ha aspettative sempre superiori alle concrete conquiste di realizzazione per la sua vita
-          sembra chiuso in se stesso, nell’incomunicabilità / si realizza come persona solo in rapporto con altri (nel simbolo: è dotato di sistema-apparato nervoso e cardiocircolatorio / di apparato tegumentale e di organi di senso)

Nel biblico libro dei Salmi si trova la coscienza di una doppia “sapienziale” lettura della figura dell’uomo.
-          Sal 8,5-6 lo presenta come il capolavoro della potenza creatrice di Dio: “L’hai fatto poco meno di un ‘dio’ (o angelo)….tutto hai posto sotto i suoi piedi….”
-          Sal 39,6-7; 62,10 e molti altri esprimono pessimisticamente la struttura dell’uomo come un “soffio” che passa

Nell’autorealizzazione l’individuo deve selezionare i veri “valori”: solidarietà, “amore”, capacità di chinarsi sul bisognoso, sullo sfortunato, sul “peccatore”, sul fallito, sull’emarginato
I veri valori  si riconoscono perché mi aiutano a non vivere da “gaudenti” (Orazio: “Epicuri de grege porcus”), da arrivisti (carrieristi, avventurieri) , dominatori (bulli, violentatori)
Devo prendere per valori
-          quelli che non si rivelano non durevoli, ossia precari
-          quelli che non mi offrono una felicità fasulla (droga, eccessi superalcolici….)
-          quegli “stati” umani che in breve lasso di tempo non mi faranno sprofondare nella disillusione.

Quando io (mi) dono, non impoverisco, ma mi realizzo come persona, nell’equilibrio delle sue “relazioni” costitutive (orizzontali e verticali)
Può chiedere “amore” soltanto chi dà all’altro il “vero” amore (quello oblativo, non possessivo)

    II
Esiste una lettura individualistica dell’uomo  - proveniente alla post-modernità dall’antropologia illuministica (che contrasta con la visione essenzialmente relazionale della “persona”):
-          che porta all’egocentrismo assoluto (non vedere l’alto)
-          che porta a una visione riduzionistica (e pessimistica) degli altri
Sul rigo di questa, l’uomo
-          non comprende l’altruismo gratuito, disinteressato
-          comprende gli altri come servi da assoggettare, come avversari da fronteggiare, come vili oggetti dai quali si spreme il massimo piacere

 Tre “intromissioni” si presentano nel pensiero di chi discute sulla libertà dell’uomo e di chi assorbe acriticamente l’imponente messaggio imposto dai mezzi di comunicazione
1. Si esprime un concetto utopico della libertà vista come dimensione assoluta e indiscutibile, senza accorgersi che una società umana senza norme di qualsiasi tipo equivale oggettivamente alla giungla. Adduco solo un esempio, semplice ma paradigmatico: quello di chi, di fronte al freddo dell’inverno, rifiuta di indossare vestiti perché li considera strumento limitativo di oppressione, invece che necessari mezzi comunemente accettati a protezione dalla dispersione del calore corporeo
2. Più complesso è il problema dei molti stimoli che giungono soprattutto alla vista del grande pubblico. Perché, per esempio, uno spettacolo cinematografico che presenti la vita normale di una famiglia altrettanto normale non attrarrebbe alcuno spettatore e non sarebbe proiettato da alcuna sala: sarebbero graditi i contenuti spruzzati di morbosità, di sensazionalismo, di violenza e sangue, con ricorso a straordinari casi strappalacrime o pietosi. Lasciatemi portare una conferma dal mio amato Manzoni: si lamentano alcuni perché, superati gl’impedimenti noti (cessate la peste e la guerra, superata la rivolta, morto don Rodrigo), gli ultimi due capitoli del romanzo sono “fiacchi” e inutili! Il guaio è per un adolescente che ha visto cinquanta film con famiglie disgregate per l’adulterio e si fa un’opinione che tutte le famiglie del mondo si trovano, magari nascostamente, in quella situazione. Il messaggio deleterio dei mezzi di comunicazione diventa allora come una folata di aria gelida su un malato di polmonite durante un glaciale inverno.
            3. Che dire di chi ironizza sul Matrimonio, presentandolo come un “relitto” del passato da rifiutare? Per superficialità o per inconfessabile calcolo, non si rende conto che esso è naturale e fondamentale in qualsiasi comunità umana che voglia parlare di società civile non barbarica, di unità di preparazione dei futuri uomini alla vita.

Apriamo il discorso all’imprescindibile dimensione religiosa (verticale)

Perché alcuni, specialmente tra i giovani, si sentono in partenza “falliti”? Perché, forse istintivamente, rifiutano l’Altro (Dio) e gli altri (le creature dotate di spiritualità)

Solo un “dio” può pretendere di godere di valori inestinguibili, perenni, eterni. E un Dio è vero se in se stesso è il “fondante” dei valori umani (benché, in noi, limitati)

Oggi la virtù che maggiormente latita è la Speranza (aspirazione a un futuro stabilmente “felice”, in questa vita e nella futura)
-          che si fonda sulla Fede (affidarsi a Dio, che è il Padre)
-          che si attua nella Carità (= Amore) del Padre e dei fratelli

La religione “cristiana” apporta importanti sviluppi e precisazioni:
-          Da un concetto, tutto metafisico, di Dio come Padrone assoluto, si progredisce verso un Dio che “esiste per gli altri” (Padre; perché “padre” è un concetto relativo ad altri, a lui pari nella dimensione di “personalità”)
-          Da un concetto di “Comandamenti” come diktat imposti da un Dio Onnipotente, a itinerari proposti per realizzarci (con la sua azione e con la nostra) come figli di un Dio che è Amore
-          Cristo, il Figlio eterno fatto uomo, non considerato come l’Essere divino in assoluto, ma come colui che ex-sistit (da “pre-esistenza” nell’essere, a “pro-esistenza” nel donarsi)
-          Un Cristo che non è venuto per intrupparci in una “Chiesa”, ma per salvarci dai/coi nostri limiti esistenziali e morali (Salvatore e Redentore)




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