lunedì 5 settembre 2016

"Dov'era Dio....?"

L’esistenza di Dio e il male nella natura e dalla volontà dell’uomo

I – Può il Dio in cui crediamo volere il male?

A - San Tommaso (S. Th. I, q. 2, a. 3) espone i due principali motivi con cui un pensiero superficiale, ma (o: per questo) in ogni epoca molto diffuso,  presume di negare l’esistenza di Dio: l’esistenza del male (Dio manda le disgrazie, e non impedisce i crimini) e l’inutilità dell’ipotesi (gli eventi del mondo possono essere attribuiti alle cause seconde).
Ma è sufficiente sottoporre ad un buon esame le prime due affermazioni per attribuirle a una teologia che non è certamente cristiana:  Dio non è onnipotenza assoluta ma gli dobbiamo riconoscere una “debolezza” (1Cor 1,25), né un tiranno intollerante, mentre lo riconosciamo come “padre di grande misericordia” (1Pt 1,3). L’ ultima affermazione ci mette al riparo da una visione ‘categoriale’ che proclama “Non si muove foglia che Dio non voglia” (che trova il suo ambiente di cultura nella Bibbia ebraica e nel Corano), la quale attribuisce a Dio un intervento sempre immediato negli eventi mondani; molto lontana da una visione ‘trascendentale’, per cui Dio rende partecipe del suo essere e del suo agire la creatura (per il quale motivo i genitori vengono chiamati procreatori).
Commette un errore di questo genere chi si ostina a leggere la Bibbia senza l’ausilio del metodo storico-critico. Portiamo solo qualche esempio: “Io faccio il bene e provoco la sciagura, io il Signore” (Is 54,7); “Avviene forse nella città una sventura che non sia causata dal Signore?” (Am 3,6); “Vi ho pure rifiutato la pioggia…facevo piovere su una città e non sull’altra” (Am 4,7). Dato che siamo in tema, dirò che sono pessimi meditatori della Bibbia coloro che la riconoscono come Parola di Dio, ma non tengono conto che tale Parola è come un capace contenitore che elargisce “riduttivamente” il suo liquido come nell’irrigazione a goccia nell’arsura del Negev.(= deserto).
Il grido “Dov’era Dio nei Lager o nei Gulag?” deve essere valutato come l’esplosione di un dolore indicibile e di una fede ferita, ma l’unica risposta sarebbe: “Dio era al suo posto, come Dio!”. Come era al suo posto Dio Padre quando Il Figlio incarnato moriva su una croce, con quel grido “inarticolato” che resta per sempre il megafono di ogni tragedia e assurdo sofferti dall’umanità.

B - Abbiamo visto così che vanno distinte (distingue semper!) la realtà del male-dolore nella natura infraumana (non spirituale) da quella provocata dalla persona cosciente e libera.
I – Solo “perfectus” (pienamente in atto) è Dio: in contrapposizione al “migliore dei mondi possibili” (del filosofo protestante Leibniz), il creato nel quale viviamo è segnato fontalmente dal ‘male metafisico’ che è la ‘finitudine’ creaturale (che Leibniz “prende” da Agostino). Nel linguaggio dell’escatologia cristiana il creato è  il “mondo (‘eone’) vecchio”, misto di bene e di male, segnato tragicamente dall’inconsistenza (mataiòtes); mondo che noi possiamo migliorare, riparare, compensare con la solidarietà. Mentre ci proiettiamo verso il “parto” del “mondo nuovo”, quello della seconda creazione, dello Spirito di Dio (vedi Rm 8).
II – Solo Dio è “santo” (conforme alla sua natura trascendente), e il nostro  “uomo vecchio” è creato per configurarsi - solo coll’aiuto soprannaturale della Grazia – “a immagine-somiglianza” di Elohim-elohim, che è spirito e libertà. Ma per ottenere questo deve sapere scegliere il suo bene oggettivo secondo i dettami di quel DNA morale che è la coscienza, e di quel messaggio “ex auditu” che è la rivelazione cristiana. Per questo il modello unico e irripetibile (escatologico) di “uomo nuovo” (éschatos adàm) è  il Cristo risuscitato dalla potenza di Dio Padre, nello Spirito.

II – Con quale metafisica possiamo accostare il dato rivelato?

Da una lettura corretta del rapporto Dio-male – ricavata con un’accorta ermeneutica delle Scritture specialmente della prima alleanza (AT) - dipende anche il tipo della nostra concezione “popolare” di Dio. Premettiamo che non è lecito confondere l’affermazione oggettiva “C’è un unico Dio per tutti”, con quella “culturale”: c’è un Dio “cristiano” (che è “padre”, che ama) e un Dio “islamico” (“che non ha generato né è stato generato”: Corano CXII, 3; che ha messo ogni cosa a disposizione dell’uomo: Corano XVI, 10-18)…..

A – Impostazione classica
 L’idea di Dio corrente nella tradizionale teologia cristiano-cattolica d’un tempo era più tributaria di un’irrorazione della filosofia pagana dei greci classici che del messaggio della rivelazione nello Spirito. Può sembrare una provocazione se qui richiamiamo le decina di qualificazioni che il Catechismo della Dottrina Cristiana di Pio X (1912) elencava nelle “Prime nozioni della fede cristiana”: Dio è perfettissimo, bontà infinita, creatore dal nulla, padrone assoluto, immenso, eterno, onnisciente, onnipotente, giustizia infinita e sapienza infinita. Avevano dimenticato, guarda caso, l’immutabilità!  Ma ogni cattolico che avesse letto il NT poteva chiedersi, più seriamente: “Perché mancano due sostantivi essenziali: Padre e Amore?”. Basta una lettura popolare della Bibbia ebraica e cristiana per accorgersi che Dio crea liberamente (quindi non emana), cambia propositi, si adira, ama (elementi che si cercava di neutralizzare definendoli troppo facilmente antropomorfismi), ma soprattutto che in Cristo s’incarna, soffre e muore ed è risuscitato dal Padre.
Nei troppi secoli di un’adesione ‘meccanica’ alla tradizione, si dimenticava che l’Ebraismo-Cristianesimo era nato in ambiente culturale quasi esclusivamente semitico, e che nei concili ecumenici del primo millennio esso ha dovuto indossare a fatica la pelle della cultura greco-romana. Basti ricordare che le parole ricorrenti nelle ‘definizioni’ di quei concili (ousìa, hypòstasis, physis, pròsopon) provenivano dal linguaggio della cultura greca.
Ma già il pensiero ellenistico aveva prodotto il ‘paradosso’ di Epicuro a proposito dell’eliminazione del male da parte di Dio con tre proposizioni: se Dio vuole ma non può eliminare il male non è onnipotente; se può ma non vuole, non è buono; se non può né vuole, è impotente e cattivo.

B – Necessità di assumere un’ontologia emergente dal panorama culturale contemporaneo
Intendiamo parlare di una metafisica non immutabilista, che ha superato la servitù alla teoria fisica di Newton, capace di sintetizzare essere con agire (ricordiamo le antiche piste parallele di Eraclito col suo “panta rei”, e di Parmenide col suo ‘essere’ uno e immutabile) come avviene per es. non in una montagna, ma solo nell’essere bidimensionale spirituale-fisico che è l’uomo.
Alcune caratteristiche di questa visione sono: accettazione di una ‘storicità’ anche nel Dio della vita (dove c’è vita e personalità non c’è storia?), dimensione essenziale almeno paritetica di essere e agire, immanenza nel mondo quando il Dio trascendente entra nella storia (o cediamo al mitologismo, al docetismo?), relazionalità costitutiva in Dio (non sono ‘relazioni sostanziali’ le divine Persone?).

C – Verifica dell’adattabilità di questo schema all’antropologia
Dato che l’uomo è in grado di essere “modello” di tutte le cose (Protagora), proviamo a vedere che esso sa sfuggire al dualismo platonico-cartesiano per arrivare alla sua comprensione come “sinolo” (insieme + tutto) di entità diverse, come c’invitano a fare l’antropologia semitica della Bibbia (evidentemente cara all’ebreo Spinoza) e i tentativi di San Tommaso di “catechizzare” Aristotele.
Nell’uomo, sintesi di finito e infinito, abbiamo la sorpresa di scoprire una reciproca trascendenza tra i due elementi del “sinolo”, la spiritualità e la corporeità. In lui lo spirituale è immanente nel fisico, ma anche lo trasforma e lo qualifica “umanamente”. Si dà una mutazione sostanziale tra l’esistente fisico dei primi anni di vita e la creatività dell’essere maturo nell’intelletto, volontà e autocoscienza. Dopo la morte, è lo spirito che assicura l’unità con la corporeità della “nuova creazione”.
Recependo quanto c’è di positivo nel movimento filosofico personalista (E. Mounier, M. Buber, A. Carlini, L. Stefanini) possiamo dire che la personalità non è segno di divisione nel tempo e di mutamento (e quindi di non immobilità), come ritenevano gli antichi, ma elemento creante individuazione di ciò che è uno e non consente confusioni, elemento infine segnato dalla struttura di relazione.

D – Ambiente storico-filosofico in cui si è fatta strada una nuova dimensione non assoluta della metafisica.
Una corrente di pensiero – bisognosa, in quanto pagana, di alcune amputazioni - che parte dal platonismo (“anima mundi” creata dal Demiurgo), ma che poi si dirama in molti ruscelli, a cominciare dal neoplatonismo  (Plotino: ancòra l’anima che può trovarsi tutta-in-tutto ed è uno-e-molti, orientata verso l’intelligibile ed ugualmente verso il mondo; che crea il mondo fisico, dal quale poter fare ritorno all’Uno). Percorso studiato con entusiasmo nel M.E e oltre: Guglielmo di Conches (scuola di Chartres), card. Cusano (tutte le cose sono in Dio e sono Dio in Dio; “contrazione” di Dio nell’universo; uomo microcosmo, che è un Dio umano, e che sta sul confine coll’eternità), J. Luria, M. Ficino, G. Bruno, T. Campanella, B. Spinoza.
Per sfuggire alle sabbie mobili del panteismo (tutto è Dio!), alcuni contemporanei pensatori non lontani dal cristianesimo suggeriscono di ricorrere al panenteismo (il tutto è in Dio, e viceversa). Dio è trascendente, ma come creatore immanente partecipa in continuazione (e non saltuariamente) ai processi di sviluppo del mondo. Dio è tutto, quindi è eterno, ma non al di fuori del tempo perché agendo in esso è immanente al mondo. Il mondo è contenuto nella divinità, come il corpo è contenuto nella mente. E, data l’analogia che i biblisti vedono tra lo spirito (ruach) di Dio e quello dell’uomo, non si potrebbe ipotizzare una qualche relazione di reciproca immanenza tra i due?
San Paolo (1Cor 15,28) ci sollecita per la strada che ci interessa rivelando che alla fine della nostra storia “quando tutto gli sarà sottomesso, allora anche il Figlio si sottometterà a Colui che tutto gli ha sottomesso, affinché Dio sia tutto in ogni cosa (= pan.en-teismo)”. (Il protestante Moltmann arriva a parlare di subordinazionismo escatologico!). Alla fine il mondo avrà esaurito la sua missione: di visibilità delle prima creazione.

Ero titubante nel proporre queste idee, che rimuginavo da tempo (e che ho sviluppato in molte guise nel mio Blog), ma ho trovato un efficace sostegno e incoraggiamento nello studiare il denso lavoro di un Autore che mi era stato utile suggeritore nel mio approccio alle nuove religiosità e sètte, Giovanni Filoramo, Ipotesi Dio. Il divino come idea necessaria, Il Mulino 2016.

III – Possiamo escludere la “via a Dio” dei ragionatori?

A - E’ conveniente prendere in visione un’obiezione che ci si può muovere: voi trattate astrattamente del Dio dei filosofi (via rationis), mentre si crede nel  Dio vivente (via cordis). E si cita il famoso intimo memoriale trovato dopo la morte negli indumenti di B. Pascal e pubblicato in seguito nella collezione dei Pensieri: “Fuoco. Dio di Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti (…. ) Dio di Gesù Cristo (…) Non lo si trova se non tramite le vie insegnate nel Vangelo”. Notiamo che se avesse voluto significare la via dell’intelligenza, avrebbe detto: Luce; ma ha detto: Fuoco (che sarà richiamato in Es 3,2) per indicare la via del vissuto e dell’azione.
L’interpretazione allora indiscutibilmente accettata è ora superata dalla grande maggioranza degli studiosi della Bibbia. Presentiamo in succinto alcune note sul capitolo 3 dell’Esodo, che tradotto al v. 14 con “Ego sum qui sum”  (Vulgata, come già la LXX) costringerebbe – come si è fatto per secoli - a seguire la traccia della metafisica assoluta aristotelica: e tomistica (Ipsum Esse Subsistens)
-    Dio si presenta così: “Sono disceso per liberarlo (il popolo)…” (Es 3,8). Cioè è il Dio che libera, che salva.
-          Oggi si traduce Es 3,14 con “Io sono qui con voi, per liberarvi” (Si può pure notare che Matteo 1,23 attribuisce a Cristo il titolo “Dio con noi”)
-          Il “mi ha mandato a voi per liberarvi” ha per soggetto “Io sono “ (v. 14) e ugualmente “il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo….” (v. 15)., cioè il Dio della vostra storia precedente.

B - Nella storia della filosofia cristiana la corrente secondaria, benché la più amata, affermata da Agostino, da Bonaventura, da Pascal…., fa leva sull’intuizione, sull’interiorità, sull’esperienza di vita, sul senso comune, sull’affettività, sulle esigenze morali, sul bisogno di senso…..Ma ci permettiamo di notare che Agostino, prima di aderire alla fede, dovette superare gli steccati delle filosofie del paganesimo occidentale. Pur prendendo atto che si tratta della “via” seguita dalla grande maggioranza del credenti, non possiamo persistere nel somministrare all’uomo d’oggi più acculturato il latte di cui parlava san Paolo (1Cor 3,2; Eb 5,12s); né condannare il cristiano comune ai complessi d’inferiorità, riconoscendo questi di poter credere soltanto se ignora le problematiche della ragione, che una classe di intellettuali mal formati e mal riusciti sbandiera contro il profanum vulgus dei credenti (lo sapete che Umberto Veronesi ha scritto un articolo affermando che il cancro è la prova che Dio non esiste?)
In un articolo (Avvenire 10-VIII-2016) il prof. Andrea Vaccaro c’informa che è nata una sottospecie della miscredenza: il neuro-ateismo. E cita studi che affermano: il pensiero analitico promuove l’ateismo, atei e agnostici sono più analitici dei credenti. Mentre il pensiero intuitivo, olistico e creativo si addice al livello mentale del credente. Mi vien voglia di credere che gli “esperti” nostrani, ossequienti alle correnti di pensiero del mondo anglosassone, confondano logica (o teoresi) scientifica con pensiero filosofico analitico.
Che possiamo rispondere a chi ci accusa di aver abbandonato la mentalità dei semplici fedeli per adottare in pratica le categorie del pensiero deista del razionalismo? Se si parla della fiducia nella preghiera (cfr Mt 7,7-11, dove però “cose buone” viene sostituito nel parallelo di Luca con “Spirito santo”), si consideri che l’espressione è fatta per invitare all’affidamento incondizionato al Padre. Se si parla della provvidenza divina, si deve riconoscere a Dio la capacità di programmare piani strategici a lungo periodo. E se si parla di miracoli, si deve riconoscergli la facoltà di derogare eccezionalmente dalle leggi generali.

IV – Possiamo ridurre il NT alla “via dei semplici”?

Quella in cui Dio ci ha chiamati a vivere in Cristo può essere classificata come “religione”? Premetto questa domanda non superflua perché esistono dei cattolici che, molto attenti alle posizioni protestanti (vedi K. Barth), ritengono che si debba prendere in considerazione esclusivamente il moto discendente, chiamato anche “promessa”, per cui Dio ci dà incondizionatamente la verità e la grazia, rifiutando come apporto “pagano” o “pelagiano” la necessità della risposta ascendente dell’uomo che crede e opera nella via di Dio. Ma sia l’AT che il NT non si chiamano libri di un’alleanza? Quale effetto avrebbero avuto la promessa di Dio ad Abramo, o la vocazione di Paolo, se questi due capifila non avessero dato una risposta affermativa?

A - Ma la nostra religione è un gesuanesimo, o è un cristianesimo?
Anche ottimi studiosi ebrei accettano molta parte di quello che ha insegnato Gesù, ma si distanziano da noi quando facciamo partire il “tutto essenziale” dal Mistero pasquale di Morte-Risuscitamento. Deve allora prevalere l’illusorio “dialogo” di moda sull’affermazione della verità che capisce anche un ragazzo della scuola media?
La lettura dei vangeli sinottici col metodo storico-critico, individuando una certa sedimentazione di strati e accettando Marco come più “vergine”, ci permette di abbozzare (non certo con prove sicure e accettate da molti) il progetto di un profeta itinerante della Galilea che annuncia la venuta vicina di un nuovo modello del Regno di Dio,  ma non per un intervento “apocalittico” (come intendeva Giovanni il Battezzatore); ideale al quale tesero, senza arrivarci, generazioni di ebrei e giudei. Evitando così il pericolo di giustificare il facile ricorso di cristiani antichi o recenti che fanno una distillazione delle frasi riportate dai sinottici, accuratamente selezionate secondo la propria ideologia di supporto, senza tener conto delle “contraddizioni” (Agostino: Concordia discors)
Il progetto di Gesù può essere stato quello di rivitalizzare la teologia giudaica nel segno  di un Regno di Dio apolitico, religioso, realizzato tra i poveri ed emarginati, aperto anche ai peccatori e lontani, soggetto all’unica direzione di Dio che è “padre”, nel quale si deve porre la dedizione, l’affidamento (fede) sul modello dei bambini, come ad esempio nella preghiera.
Nell’incomprensione dei parenti anche prossimi, nell’abbandono dei pochi discepoli, il progetto si concluse col rifiuto totale delle autorità religioso-politiche giudaiche, che lo portava alla morte; mediante l’intervento della potenza dell’impero romano, che di lì a quattro decenni schiaccerà il brandello di potenza rimasto in mano a quelle autorità. Il progetto quindi si sciolse come neve al sole con lo smacco di una sconfitta.
Dobbiamo comunque prestare attenzione a paletti costituiti da frasi di ebrei moderni come queste: “La fede di Gesù ci unisce, ma la fede in Gesù ci divide”  (Ben Chorin), “Gesù ci unisce fra ebrei e cristiani, ma Cristo ci divide” (David Flusser).

B - Il cristianesimo nacque quando i discepoli che lo avevano abbandonato, e soprattutto il fariseo della diaspora Sàulos (italianizzato in Saulo, dall’ebraico Saul), lo riconobbero vivente di una nuova vita concessagli, nella grazia dello Spirito Santo, da Dio Padre che riconosce il Figlio e approva il suo messaggio. Di modo che, mentre il predicatore galileo ‘annunciava’ il Regno, la Chiesa formata di discepoli ‘proclamava’ Gesù il Messia-Cristo e Signore (cfr At 2,36), Figlio di Dio (inteso poi sempre più ontologicamente); che si manifesterà (‘parusia’) come giudice di tutti, a conclusione di questa storia. Ma anche molti gesti e frasi attribuiti al Gesù terreno riceveranno nella redazione sinottica quell’interpretazione esplicitante e arricchente che sarà in seguito ottenuta con la prassi liturgica, con la rimeditazione dell’AT, ma soprattutto con la luce dello Spirito della verità che “introduce in tutta intera la verità” (cfr Gv 16,13)
Si ebbe così una sintesi trasformatrice fra il movimento con cui il profeta di Nazaret ha iniziato la sua missione, e la conclusione negativa della sua vicenda terrena: il Regno di Dio è stato escatologicamente anticipato in questa storia dal Regno di Cristo manifestato sulla Croce (Regnavit a Ligno Deus), e la Morte del Messia è stata trasformata in una morte di fedeltà e d’amore, che dal Dio “ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6) ci ottiene la salvezza promessa.

La dottrina totale del cristianesimo – contenuta soprattutto nella metà degli scritti del NT che vengono in vari gradi attribuiti a san Paolo – riceverà un continuo allargamento e approfondimento attingendo anche alla cultura filosofica dei greci; e la Chiesa cristiana (già da allora chiamata cattolica, cioè universale) si diffonderà in tutto il mondo conosciuto, attingendo per la formazione delle sue strutture alla “prudentia” pratica dell’impero romano.

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