DIO E’ PADRE PERCHE’
CI SALVA NELL’AMORE
I
Mi si consenta di raccomandare ad
alcuni miei confratelli di essere prudenti nel catechizzare in chiave di un
assoluto “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, chiedendo perché Dio non ferma
la mano dell’assassino e non fa andare le cose come vogliamo noi. E’ questa la
riproduzione del conturbante “Dov’era Dio ad Auschwitz?”. E’ voler assimilare
la legge morale con quella fisica che ha dato Dio alle stelle. Dietro la buona
volontà si può nascondere l’assunzione di una teologia, un tempo troppo
diffusa, che lega indissolubilmente peccato con castigo, ripescata in una
superficiale lettura dei brani sapienziali contenuti nei capitoli 2-3 della
Genesi; oppure di una teologia ingenua dell’onnipotenza divina, che assomiglia
assai alla “theologia gloriae”
giustamente rifiutata da Lutero. Affidiamoci a una più profonda teologia che germina dalla cristologia della
kenosi (svuotamento); teologia cristiana che
trova un inaspettato sostenitore nella “qabbalà” del mistico ebreo J. Luria;
secondo il quale nel creare, Dio si è imposto lo “zimzum” (contrazione) per cui fa posto, nel dare loro origine, ad
altri esseri, che addirittura condividono con Lui la libertà. Così giungeremo a
capire qualcosa del mistero grande del grido di dolore e di speranza di Gesù
sulla Croce, ponendosi in relazione con Dio Padre che si rivela come Colui “che
rifiuta la potenza” (Ch. Duquoc).
Bibliografia
1 . Sulla
contorta storia della soteriologia nella Chiesa latina, vedi:
Christian Duquoc, Christologie. Essai dogmatique, vol. II
(Le Messie), Du Cerf, 1972 (in italiano: i due volumi editi da Queriniana)
Bernard Sesboüé, Gesù Cristo, l’unico mediatore. Saggio sulla
redenzione e la salvezza, vol. I, Paoline, 1991
Hans Urs Von Balthasar, Mysterium paschale, in Mysterium salutis, a cura di Feiner – Löhrer, L'evento Cristo, parte II (vol. 6), Queriniana, 1971, 265-276
2. Sulla
mistica di Luria, vedi:
Gershom Scholem, Creazione dal nulla e autolimitazione di Dio,
Marietti, 1986
Kurt Hruby, Qabbalah, in Grande dizionario delle religioni,
diretto da Paul Poupard, Cittadella-Piemme, 1988, vol. II, 1695-1697
Paolo De Benedetti, Quale Dio? Una domanda dalla storia,
Morcelliana, 1997
II
Proviamo a modificare
l’impostazione di base di questi problemi. Se superiamo l’assolutezza del
concetto più diffuso di sacrificio – privarsi di qualcosa per riparare a
un’ingiustizia da noi commessa – possiamo giungere alla trattazione agostiniana
del tema: movimento “per accostarci a Dio totalmente” come individui ma
soprattutto come comunità”; “qualsiasi opera che compiamo per unirci a Dio in
una santa comunione”. Così comprendiamo più a fondo l’opera di Gesù Cristo:
“Nella forma di servo egli si offrì e continua a venir offerto a Dio perché è per
essa che è mediatore, sacerdote e sacrificio” (De civitate Dei, libro X, cc. 5.6; cfr c. 20)
Vediamo soltanto un testo
classico tra quelli che identificano nell’amore il traguardo della soteria
dell’uomo: “(In Cristo Dio) ci ha scelti…per essere santi e immacolati di
fronte a lui nell’amore (en agàpe) (….)
secondo il disegno d’amore (katà tèn eudokìan)
della sua volontà” (Ef 1,4s). Commenta
con intelligenza - tenendo conto che nei due vv. seguenti come analogo ad amore
si usa due volte chàris (grazia) - Rinaldo Fabris: “Lo scopo ultimo di tutto il
processo salvifico, un’esplosione di amore che solo la parabola umana
padre-figlio può illustrare, è la manifestazione e il riconoscimento della
‘potenza salvifica dell’amore gratuito’ ” (Le
lettere di Paolo, vol. 3, Borla 1980, 219).
Perché l’incarnazione è la prima
tappa della strada che Dio Padre scelse per salvarci dal “peccato del mondo”?
Perché, mandando il suo Unigenito (Gv 3,10), lo costituisce come Primogenito
degli uomini da salvare (Eb 1,6; Rm 8,29). E Cristo accettò questa
“rappresentanza” in perfetta obbedienza filiale al Padre (Eb 10,5-10).
Tra le varie ermeneutiche
bibliche che i Sinottici forniscono del
“grido inarticolato” emesso da Gesù al momento della Morte, ci offre maggior
luce quella di Lc 23,46: “Padre, nelle tue mai consegno il mio spirito”; mentre
Mc e Mt cercavano nella citazione del Salmo 22 la non facile giustificazione
della buia situazione del giusto che muore assassinato. Gesù non è tanto la
sostitutiva vittima sacrificale per le colpe commesse da altri, quanto il nuovo
“slancio di comunione” che egli, costituito coll’incarnazione Primogenito di
tutti gli uomini, innalza al Padre
dell’amore.
Perché è impossibile accettare la
soluzione che - comprendendo con inadatta ermeneutica le icastiche espressioni
soteriologiche di san Paolo (ad esempio: Gal 3,13; 2Cor 5,21) – produce
un’immagine di Dio che passa attraverso la punizione del peccato come
insubordinazione contro l’Onnipotente, la giustizia penale, la vendetta di un
Dio che certamente non è “padre”?. E’
molto più “comprensiva” – dobbiamo convenire - la soteriologia della Chiesa
orientale che parla di “divinizzazione” del cristiano; che, invece di
tematizzare con dotte diatribe la
Grazia (creata), focalizza l’attenzione sullo Spirito Santo.
Se invece partiamo dal concetto
di peccato come lesione alla fedeltà all’alleanza, come mancanza umana di
affidamento (cioè di “fede”) a Dio Padre, offriamo la possibilità di vedere:
a)
che il “figlio di Dio” (biblicamente: il
“messia”), che è Gesù, nella Morte viene rifiutato e deprivato della sua vita umana
dagli uccisori e, ancora nella Morte, offre l’esempio massimo della piena Fede;
mentre Dio Padre nel Risuscitamento lo approva, lo accoglie e lo “genera” (Rm
1,4; At 2,36; 13,33) conferendogli il dono di una vita divina e quindi “eterna”
b)
che così Gesù nel Mistero pasquale di Morte e
Risuscitamento si rivela come il Figlio che totalmente si sente dipendente dal
Padre, e insieme Dio si rivela come il Padre che comunica la sua vita naturale
al Figlio.
Il sacramento del Mistero
pasquale è la sua ripresentazione somma nell’Eucaristia: la Chiesa offre pane-vino e
Dio crea la “nuova comunione” offrendo Corpo-Sangue del suo Unigenito. E’
questa la “nuova ed eterna alleanza”.
Ritengo per questi motivi
indovinata la nuova espressione che l’associazione “Apostolato della preghiera”
ha trovato per parlare del “sacramento della comunione”: “In unione col tuo
Figlio Gesù Cristo che continua ad offrirsi a Te (Padre) nell’Eucaristia per la
salvezza del mondo. Lo Spirito Santo (aggiungo: che è la comunione) che ha
guidato Gesù sia la mia guida e la mia forza oggi affinché io possa essere
testimone del Tuo amore”.
APPENDICE
Dal discorso di Benedetto XVI al campo di concentramento di
Auschwitz 28-05-2006
Brano centrale
Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di
nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto?
Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci
vengono in mente le parole delSalmo 44,
il lamento dell'Israele sofferente: “…Tu ci hai abbattuti in un luogo di
sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore? Déstati, non
ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra
miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è
steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!”
(Sal 44,20.23-27). Questo
grido d'angoscia che l'Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema
angustia, è al contempo il grido d'aiuto di tutti coloro che nel corso della
storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità
e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi.
Un pensiero di
commento
Il salmo riflette la forma antropomorfica della domanda di
un teologo che si affida – senza alcuna possibilità di sviluppo - soltanto ad
un concetto ‘assoluto’ di un Dio onnipotente, assimilabile a un despota
orientale. Ma non è questa la formulazione definitiva della Bibbia sulla
risposta al terribile problema ‘Dio/male (morale)’. La risposta è contenuta nel
tragico silenzio del Padre di fronte alla domanda di Gesù morente: “Dio mio,
perché mi hai abbandonato?” (alla morte irrogatami dai miei persecutori). In
fondo alla meditazione si deve giungere a quella Morte unica come massima prova
di fede e di amore che è la causa della nostra salvezza. In Giovanni Gesù
pronuncia l’ultima parola “E’ compiuto” per dire in massima sintesi che egli “è
venuto….per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).
Domandando “Dov’era Dio ad Auschwitz?”, potremmo immaginare
la sua risposta, che è una contro-domanda: “Avrei dovuto sospendere la libertà
dell’uomo, massimo dono nella mia creazione?”. Ciò che avrebbe sconvolto la
divina “oikonomia”.
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