venerdì 22 luglio 2016

Salvati per amore (cfr Ef 2,5) con appendice sul grido di Auschwitz

DIO E’ PADRE PERCHE’ CI SALVA NELL’AMORE

            I
Mi si consenta di raccomandare ad alcuni miei confratelli di essere prudenti nel catechizzare in chiave di un assoluto “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, chiedendo perché Dio non ferma la mano dell’assassino e non fa andare le cose come vogliamo noi. E’ questa la riproduzione del conturbante “Dov’era Dio ad Auschwitz?”. E’ voler assimilare la legge morale con quella fisica che ha dato Dio alle stelle. Dietro la buona volontà si può nascondere l’assunzione di una teologia, un tempo troppo diffusa, che lega indissolubilmente peccato con castigo, ripescata in una superficiale lettura dei brani sapienziali contenuti nei capitoli 2-3 della Genesi; oppure di una teologia ingenua dell’onnipotenza divina, che assomiglia assai alla “theologia gloriae” giustamente rifiutata da Lutero. Affidiamoci a una più profonda teologia che germina dalla cristologia della kenosi  (svuotamento); teologia cristiana che trova un inaspettato sostenitore nella “qabbalà” del mistico ebreo J. Luria; secondo il quale nel creare, Dio si è imposto lo “zimzum” (contrazione) per cui fa posto, nel dare loro origine, ad altri esseri, che addirittura condividono con Lui la libertà. Così giungeremo a capire qualcosa del mistero grande del grido di dolore e di speranza di Gesù sulla Croce, ponendosi in relazione con Dio Padre che si rivela come Colui “che rifiuta la potenza” (Ch. Duquoc).
                                                                                                         
Bibliografia
1 . Sulla contorta storia della soteriologia nella Chiesa latina, vedi:
Christian Duquoc, Christologie. Essai dogmatique, vol. II (Le Messie), Du Cerf, 1972 (in italiano: i due volumi editi da Queriniana)
Bernard Sesboüé, Gesù Cristo, l’unico mediatore. Saggio sulla redenzione e la salvezza, vol. I, Paoline, 1991
Hans Urs Von Balthasar, Mysterium paschale, in Mysterium salutis, a cura di Feiner – Löhrer, L'evento       Cristo, parte II (vol. 6), Queriniana, 1971, 265-276

2. Sulla mistica di Luria, vedi:
Gershom Scholem, Creazione dal nulla e autolimitazione di Dio, Marietti, 1986
Kurt Hruby, Qabbalah, in Grande dizionario delle religioni, diretto da Paul Poupard, Cittadella-Piemme, 1988, vol. II, 1695-1697
Paolo De Benedetti, Quale Dio? Una domanda dalla storia, Morcelliana, 1997

            II

Proviamo a modificare l’impostazione di base di questi problemi. Se superiamo l’assolutezza del concetto più diffuso di sacrificio – privarsi di qualcosa per riparare a un’ingiustizia da noi commessa – possiamo giungere alla trattazione agostiniana del tema: movimento “per accostarci a Dio totalmente” come individui ma soprattutto come comunità”; “qualsiasi opera che compiamo per unirci a Dio in una santa comunione”. Così comprendiamo più a fondo l’opera di Gesù Cristo: “Nella forma di servo  egli si offrì  e continua a venir offerto a Dio perché è per essa che è mediatore, sacerdote e sacrificio” (De civitate Dei, libro X, cc. 5.6; cfr c. 20)

Vediamo soltanto un testo classico tra quelli che identificano nell’amore il traguardo della soteria dell’uomo: “(In Cristo Dio) ci ha scelti…per essere santi e immacolati di fronte a lui nell’amore (en agàpe) (….) secondo il disegno d’amore (katà tèn eudokìan)  della sua volontà” (Ef 1,4s). Commenta con intelligenza - tenendo conto che nei due vv. seguenti come analogo ad amore si usa due volte chàris (grazia)  - Rinaldo Fabris: “Lo scopo ultimo di tutto il processo salvifico, un’esplosione di amore che solo la parabola umana padre-figlio può illustrare, è la manifestazione e il riconoscimento della ‘potenza salvifica dell’amore gratuito’ ” (Le lettere di Paolo, vol. 3, Borla 1980, 219).

Perché l’incarnazione è la prima tappa della strada che Dio Padre scelse per salvarci dal “peccato del mondo”? Perché, mandando il suo Unigenito (Gv 3,10), lo costituisce come Primogenito degli uomini da salvare (Eb 1,6; Rm 8,29). E Cristo accettò questa “rappresentanza” in perfetta obbedienza filiale al Padre (Eb 10,5-10).

Tra le varie ermeneutiche bibliche che i Sinottici  forniscono del “grido inarticolato” emesso da Gesù al momento della Morte, ci offre maggior luce quella di Lc 23,46: “Padre, nelle tue mai consegno il mio spirito”; mentre Mc e Mt cercavano nella citazione del Salmo 22 la non facile giustificazione della buia situazione del giusto che muore assassinato. Gesù non è tanto la sostitutiva vittima sacrificale per le colpe commesse da altri, quanto il nuovo “slancio di comunione” che egli, costituito coll’incarnazione Primogenito di tutti gli uomini,  innalza al Padre dell’amore.

Perché è impossibile accettare la soluzione che - comprendendo con inadatta ermeneutica le icastiche espressioni soteriologiche di san Paolo (ad esempio: Gal 3,13; 2Cor 5,21) – produce un’immagine di Dio che passa attraverso la punizione del peccato come insubordinazione contro l’Onnipotente, la giustizia penale, la vendetta di un Dio che  certamente non è “padre”?. E’ molto più “comprensiva” – dobbiamo convenire - la soteriologia della Chiesa orientale che parla di “divinizzazione” del cristiano; che, invece di tematizzare con dotte diatribe la Grazia (creata), focalizza l’attenzione sullo Spirito Santo.

Se invece partiamo dal concetto di peccato come lesione alla fedeltà all’alleanza, come mancanza umana di affidamento (cioè di “fede”) a Dio Padre, offriamo la possibilità di vedere:
a)      che il “figlio di Dio” (biblicamente: il “messia”), che è Gesù, nella Morte viene rifiutato e deprivato della sua vita umana dagli uccisori e, ancora nella Morte, offre l’esempio massimo della piena Fede; mentre Dio Padre nel Risuscitamento lo approva, lo accoglie e lo “genera” (Rm 1,4; At 2,36; 13,33) conferendogli il dono di una vita divina e quindi “eterna”
b)     che così Gesù nel Mistero pasquale di Morte e Risuscitamento si rivela come il Figlio che totalmente si sente dipendente dal Padre, e insieme Dio si rivela come il Padre che comunica la sua vita naturale al Figlio.

Il sacramento del Mistero pasquale è la sua ripresentazione somma nell’Eucaristia: la Chiesa offre pane-vino e Dio crea la “nuova comunione” offrendo Corpo-Sangue del suo Unigenito. E’ questa la “nuova ed eterna alleanza”.

Ritengo per questi motivi indovinata la nuova espressione che l’associazione “Apostolato della preghiera” ha trovato per parlare del “sacramento della comunione”: “In unione col tuo Figlio Gesù Cristo che continua ad offrirsi a Te (Padre) nell’Eucaristia per la salvezza del mondo. Lo Spirito Santo (aggiungo: che è la comunione) che ha guidato Gesù sia la mia guida e la mia forza oggi affinché io possa essere testimone del Tuo amore”.


APPENDICE

Dal discorso di Benedetto XVI al campo di concentramento di Auschwitz 28-05-2006

Brano centrale

Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole delSalmo 44, il lamento dell'Israele sofferente: “…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore? Déstati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!” (Sal 44,20.23-27). Questo grido d'angoscia che l'Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d'aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi.

Un pensiero di commento

Il salmo riflette la forma antropomorfica della domanda di un teologo che si affida – senza alcuna possibilità di sviluppo - soltanto ad un concetto ‘assoluto’ di un Dio onnipotente, assimilabile a un despota orientale. Ma non è questa la formulazione definitiva della Bibbia sulla risposta al terribile problema ‘Dio/male (morale)’. La risposta è contenuta nel tragico silenzio del Padre di fronte alla domanda di Gesù morente: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (alla morte irrogatami dai miei persecutori). In fondo alla meditazione si deve giungere a quella Morte unica come massima prova di fede e di amore che è la causa della nostra salvezza. In Giovanni Gesù pronuncia l’ultima parola “E’ compiuto” per dire in massima sintesi che egli “è venuto….per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).

Domandando “Dov’era Dio ad Auschwitz?”, potremmo immaginare la sua risposta, che è una contro-domanda: “Avrei dovuto sospendere la libertà dell’uomo, massimo dono nella mia creazione?”. Ciò che avrebbe sconvolto la divina “oikonomia”.





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