COME INCONTRARE E
INTERPRETARE GESU’ CRISTO
I
La prima
risposta a questa domanda è evidente: s’interpreta la sua opera, il suo
insegnamento, la sua identità, leggendo i vangeli canonici, in una prospettiva
principalmente conoscitivo-religiosa, e lasciando all’attenzione di altri
quella caritativo-religiosa (come nel “povero”) e quella istituzionale (come nella
“guida” delle comunità famigliare o ecclesiale….); pur senza lasciarsi
abbindolare dal “cappio” totalizzante di quella politica.
Le fonti
scritte cristiane sono eco dell’ambiente nel quale - più o meno nella seconda
metà del primo secolo - riproduce il suo messaggio orale la chiesa apostolica:
sulla base dapprima dell’annuncio fondante (kerygma), e in un secondo periodo
nella riflessione (didaké) nella luce dello Spirito, confrontata con le
espressioni sul Regno e sul Messia sparse nell’Antico testamento. Tutta la storia
della chiesa cristiana rappresenta un ulteriore approfondimento e precisazione
dell’inesauribile messaggio divino suggeritoci dallo Spirito santo, che è
all’opera per tutti i secoli nell’illuminare e corroborare la chiesa, col
duplice ausilio di una tradizione non ramo secco e calcificato, e di un
magistero ecclesiale che, usando i linguaggi propri delle varie culture, indica
l’essenziale e irrinunciabile, e altre volte somministra il controveleno da
opporre alle inevitabili deviazioni dottrinali o pratiche (eresie).
Tenendo conto
che i vangeli non sono l’unica né la prima via di approccio (pensiamo a san
Paolo, alla lettera agli Ebrei, all’Antico testamento, ecc.), è utile chiedersi
cos’è un vangelo. La risposta comune è duplice:
a)
il racconto di una storia ben documentata e
chiara, da leggere in linea di continuità cronologica (vedi il duplice protiro posto all'inizio dei cc. 1 e 3 del vangelo secondo Luca);
b)
l’annuncio contenutistico di verità e proposta
di valori morali[1],
da leggere a pericopi, in privato o nell’azione liturgica.
In ambedue i casi c’è la lettura
del comune credente, cui porta un ausilio la costatazione che la Scrittura è da interpretare nell’alveo ecclesiale nel
quale è stata composta, e che il testo ispirato è quello che oggi abbiamo nelle
nostre mani.
Ma non sarebbe
più semplice e pratico – come si ostina a ripetere qualcuno persino sulla
stampa cattolica - leggere la fusione dei quattro vangeli, come nella storia si
è fatto nel Diatessaron? La costrizione diverrebbe un “letto di Procuste”.
Basti pensare alla diversità non marginale tra temi o punti del messaggio, come
per esempio il discorso della montagna (o della pianura?), le beatitudini, le parole dell’istituzione dell’Eucaristia,
la preghiera del Padre nostro, l’inizio del racconto su Gesù, ….per dover dare
una risposta decisamente negativa. Come pure risulta un impossibile lavoro ad
incastro quello d’inserire come aggiunta di un vangelo quello che gli altri tre avrebbero trascurato (paralipomena).
Ma posso
vedere i vangeli come oggetto dello
studio specialistico dei biblisti o storici[2]. E’
possibile e doveroso qui fare ricorso al “metodo storico-critico” unitamente
alla “scuola delle forme”[3] che
analizza i testi secondo i periodi della
loro composizione (quando sono stati aggiunti i vangeli dell’infanzia?), oppure
secondo le fonti alle quali si è fatto ricorso (la tradizione ecclesiale
precedente gli anni 60, come una premarciana protostoria della Passione, per i sinottici? o quelle della seconda metà del secolo,
come l'integrazione di Q, "Fonte dei logia", operata da Mt-Lc, o l'ipotesi di almeno due-tre fasi redazionali del IV vangelo?). Ci si chiede
ancora: come interpretare la concentrazione degli insegnamenti nei discorsi del
vangelo di Matteo e nel grande viaggio di Luca? Com’è possibile mettere alla
stessa stregua i sublimi discorsi del vangelo di Giovanni con quelli affatto
“popolari” dei sinottici? Come spiegarci, a prescindere dai vangeli dell’infanzia, che nei sinottici
abbia un peso evidentemente maggiore Giovanni il Battezzatore nei confronti di
Maria Madre di Gesù (che rimane “ridotta” nella sua famiglia naturale)? Com’è
che il Gesù galilaico proclama di essere mandato solo alle pecore della casa
d’Israele? E le famose tre predizioni della Passione nei sinottici (vedi in
Marco ai cc. 8; 9; 10), giustificabili coll’esplicitazione dell’ambiente che si
arroventava “salendo" alla "Città che uccide i profeti", come possono essere concluse col richiamo
del risuscitamento, se poi il duro rimprovero di rifiuto della croce cade sul
capo del povero Simone? La storia della comprensione di Cristo inizia
coll’annunciazione dell’angelo a Maria, o col mistero pasqua-pentecostale?
Lo studioso –
diciamo per giungere a una semplice sintesi - attribuisce alla maturazione
della fede del secondo periodo alcune frasi o gesti non riportati da una
cristologia del primo periodo[4]. E' possibile che nelle prime redazioni si tentasse di far dimenticare la "brutta figura" di non aver in precedenza intravisto la qualità messianica di Gesù.
I tipi di lettura possono quindi essere molteplici: semplice, popolare, teologico, spirituale, mistico; dovendo umilmente accettare che la realtà di Dio e del rapporto del “tutto” con lui è sempre e comunque superiore alla nostra capacità mentale, come ci ricordano la teologia apofatica degli orientali e un concilio ecumenico[5].
I tipi di lettura possono quindi essere molteplici: semplice, popolare, teologico, spirituale, mistico; dovendo umilmente accettare che la realtà di Dio e del rapporto del “tutto” con lui è sempre e comunque superiore alla nostra capacità mentale, come ci ricordano la teologia apofatica degli orientali e un concilio ecumenico[5].
II
Qualcuno
potrebbe rimanere disturbato di fronte alla “freddezza” dell’esposizione
precedente di tipo metodologico-critico nel chiedersi, per esempio, quale
rapporto si deve riconoscere tra il contenuto di Gv 13-17 e le conversazioni
che Gesù intrattenne durante l’Ultima cena.
E’ opportuno
ribadire che i libri biblici sono opere di annuncio, di catechesi, di liturgia,
di teologia, molto più che di narrazione
storica, come potrebbe essere un saggio sullo sbarco in Normandia durante la
seconda guerra mondiale. La
Bibbia è stata scritta in quasi un millennio, da uomini di
ogni periodo storico e di ogni cultura (linguaggio) e affidata alla custodia di
una comunità credente. Il messaggio è
stato “calibrato” nei vari momenti della composizione (es. prossimità o non
della parusia) ed è recepito secondo diversi periodi della vita della comunità
(es. prima o dopo l’esilio babilonese). Se mi limito a ricercare la storia,
perdo il frutto di una lettura religioso-spirituale.
I vangeli sono
veicolo di rivelazione di Dio non per una dettatura meccanica, ma in forza di quel
carisma che si chiama ispirazione. Non avendo Gesù lasciato nulla di scritto, quei
sacri libri sono stati scritti alcuni decenni dopo gli eventi, sulla traccia di
diverse tradizioni ecclesiali. Né possiamo dimenticare che le stesse biografie
dell’antichità non riferiscono quasi mai il pensiero intimo dei personaggi (il
nostro discusso psicologismo era ancora da venire).
Questo nostro discorso
si fonda sul concetto del verbo “credere”: ritenere per vero senza avere prove
“sperimentali”, per intima e libera persuasione, fondata sulla fiducia concessa
al messaggero, con tutta l’attenzione rivolta al “centro” della cosa o
messaggio (anche trascendente, futuro). Come quando dico: “Credo che diverrà un
matematico”, “Credo che sia partito ieri”, “Credo che tu mi ami”, “Il cuore mi
dice che ci rivedremo presto” (fra Cristoforo, in I promessi sposi, cap. 8).
Possiamo dire che i due massimi "profeti" del NT ci fanno ammirare due vette della nostra fede. San Paolo, nelle
lettere maggiori, vuol trasmetterci il disegno divino sull’opera redentrice
del Cristo crocifisso e risorto, che supera la cronaca di un’esecuzione capitale, e viene
completata nella comunione della salvezza alle chiese. Nei sublimi discorsi e nella preghiera filiale dell’Ultima cena che Giovanni ci tramanda
troviamo - sulla griglia classica della grande liturgia: "a Patre, per Filium, in Spiritu, ad Patrem" - la rivelazione che Dio vuol farci conoscere, oltre la storia-cronaca, dell’identità personale e dell’opera di Gesù, che nella promessa dello Spirito, secondo "paraclito", giunge a darci la
visione escatologica dell’intervento trinitario nella storia.
[1] Un’opera esemplare che si applica all’approfondimento di questa dimensione è costituita dai due volumi di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI : Gesù di Nazaret (coll’appendice contenuta in un terzo: L’infanzia di Gesù), Rizzoli-LEV
[2]
Due soli esempi: Rinaldo Fabris, Gesù di
Nazareth, Cittadella; Giorgio Jossa,
La verità dei vangeli, Carocci.
[3]
Vedi l’istruzione della PCB Sancta Mater
Ecclesia, del 21-4-1964 (Enchiridion Vaticanum, vol. 2, 151-161), Concilio
Vaticano II, costituzione Dei verbum,
del 18-11-1965, par. 19 (E V, vol 1,
901); l’istruzione della PCB L’interpretazione
della Bibbia nella chiesa, del 15-4-1993 (E V, vol.13, 2846-3150);
l’istruzione della PCB Ispirazione e
verità della Sacra Scrittura, del 24-2-2014, Libreria Editrice Vaticana
(anche in vatican.va).
[4]
Se le precedenti domande possono produrre un rigetto nel cristiano semplice,
tradizionalista, più servo del sentimento e del devozionismo, dobbiamo
chiederci: di chi è la colpa? Chi ha offerto al credente assetato della Paola
di Dio la possibilità di assaggiare la schiuma (apparizioni, visioni, mondo
interiore caleidoscopio fondato sulle fantasticherie pirotecniche dell’apocalittismo
più morboso) sottraendogli la coppa che contiene la birra dissetante?
Diametrale responsabilità si addosserebbe chi, senza gradualità alcuna, volesse
far “saltare” con alcune battute infelici il piedestallo di quella “statua” coi
piedi di argilla. (cfr Daniele c. 2). Un'ultima critica la riservo a chiunque propone senza aiuti di sorta alle persone più impreparate come sufficiente una lettura, anche la più estemporanea e "allegra" della Bibbia (miracolismo perfetto!).
[5]
Concilio Lateranense IV dell’anno 1215, il quale ammonisce che tra Creatore e
creatura esiste “maior dissimilitudo” (Denzinger-Huenermann, Enchiridion
symbolorum, n. 806).
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