QUATTRO “INCARNAZIONI” (CONFIGURAZIONI)
DELLA CHIESA CRISTIANA
Principio fondamentale: la Chiesa di Dio entra in
crisi ogni volta che perde la traccia delle sue origini dall’alto, dalla
rivelazione, da Dio (vedi qui sotto Rapporto tra ragione e fede).
Un secondo principio: l’eresia
si annida nel prendere uno solo degli aspetti della realtà della Chiesa come il
tutto.
Quindi ci chiediamo: come si
trova la Paola
di Dio espressa nei linguaggi degli uomini?quale natura e quale fine ha la Chiesa?
I – La chiesa in ambiente culturale semitico, che si fonda sulla
lettura e studio della Bibbia (si pensi al ricorso di S. Ireneo ai testi sacri,
o all’enorme opera biblistica di Origene di Alessandria, nonostante la sua
lettura “allegoristica”).
Tema principale:
“racconto” della missione di Gesù di Nazaret, che annuncia il nuovo Regno, cui
è fedele fino al martirio
Anche per alcune sue scelte teologiche poco chiare, la
chiesa giudeocristiana scomparve, tanto che a Nicea (325) non presenziò alcun
suo vescovo .
II – La chiesa dei grandi concili ecumenici celebrati in Oriente (il
cui insegnamento è accolto dal grande Medioevo) che interpreta le verità con
linguaggio e contenuti della cultura mediterranea greca (si pensi a Nicea e
Calcedonia, a Tommaso d’Aquino). Per cui una frase di un concilio o di un papa diventava
più importante di una frase di san Paolo.
Tema principale: ricerca
dell’identità ontologica di Gesù Cristo (divinità e umanità) e quindi del Dio
Uni-trino
La corrente principale del cristianesimo medievale (come
pure del giudaismo e dell’islamismo) non ha sopportato al suo interno le
“scuole mistiche”, in quanto queste non si fondavano né sulla lettera della
Bibbia né sulle dichiarazioni del magistero, ma si ponevano in totale ascolto
dello Spirito, il “divino sconosciuto” per molti secoli da parte di noi
cattolici (cristomonismo), tanto che lo abbiamo ridotto ad agente
“intimistico”, trascurando la sua funzione essenziale nella Chiesa (istituzione
e costituzione)
III – La Riforma
che elimina la tradizione e il magistero, insistendo sulla Scrittura come unica
fonte di rivelazione divina; e di questa concentra (riduce) il messaggio nel
problema della “giustificazione” contenuto
nelle lettere paoline Galati e Romani
Tema principale:
scoperta del modo con cui Dio ci salva, cioè col sacrificio di croce del Figlio
fatto uomo
Ma questo approccio “individualistico” è diventato
fuorviante quando, al tempo dell’illuminismo, i teologi centro-nordeuropei,
epigoni dei riformatori, hanno applicato un esame ipercritico al testo biblico;
per cui, riducendo la Bibbia
a un libro umano, sono giunti (ironia della storia!) a non vederne l’origine
divina.
Un’altra infelice conseguenza fu quella della Riforma che,
non avendo accolto all’inizio il concetto di “chiesa madre”, si divise nei
secoli in centinaia di chiese o sètte (si pensi al cristianesimo americano).
Anche la
Riforma ha tenuto lontano alcuni movimenti “spirituali” come
quelli del pietismo e metodismo.
IV – In epoca di efficientismo nel vivere, e sincretismo nel credere,
la teologia dell’America latina (e la derivata “teologia popolare”) seleziona
le affermazioni prassistiche e “socioeconomiche” dei vangeli sinottici, riduce
la grande teologia di san Paolo alle esortazioni parenetiche, ignora la grande
tradizione ecclesiale, sottovaluta lo studio dei biblisti e teologi, accettando
in modo acritico e incontrollato il “sensus” fidei”, con tutte le sue (spesso
presenti) distorsioni, lacune ed esagerazioni.
Tema principale:
individuazione della radice del cristianesimo, chiedendosi cioè se esso nasca
dalla rivelazione di Dio oppure dall’analisi della situazione esistenziale
dell’uomo; chiedendosi se la “giustizia” del Regno deve essere presa nel senso
biblico o in quello moderno.
Si corre così il rischio di giungere a questi esiti: la
“lettera” vale più dello ”spirito”, la devozione vale più della fede, il
benessere materiale vale più delle Beatitudini, la “pax marxistica” vale più
della “pax Christi”
Possiamo concludere che la
Chiesa di Cristo:
- non deve chiedersi pirronianamente come Pilato “Quid est veritas?”,
ma mostrare ai popoli che questa è impersonata in Cristo e nello Spirito (Gv
14,6; 1Gv 5,6), che rivelano il Padre;
- non è l’ONU delle religioni in cui si sommano identità ben diverse; e
neppure una FAO che mira a sfamare i popoli; non è neppure miele bensì “sale
della terra” (Bernanos, Maritain).
NOTA
Domande sull’attuale gestione
del potere nella chiesa
Concesso che la forma episcopale di guida è stabilita fin
dalla chiesa apostolica, ci si chiede se sia logico e conseguente un esercizio
“muscoloso” del potere papale, mentre chi lo esercita ci tiene a chiamarsi
semplicemente “vescovo di Roma”.
Che cosa potrebbe suggerire la costatazione che, quando il
Papa per contingenze storiche ha oscurato la funzione dei vescovi (Gregorio
VII, Pio IX….), la vita della chiesa ha subìto un’involuzione?
RAPPORTO TRA RAGIONE E FEDE
1. La fede cammina a un livello superore (ma non contrario!) a quello
della ragione, che è pure un dono di Dio.
La verità e la morale della rivelazione divina non si ricavano dalle
filosofie dell’uomo, o dal buon senso comune, o dall’opinione delle
maggioranze, o dalla situazione esistenziale della gente.
Di fronte alla tendenza di cadere nel “razionalismo” da parte di alcune
superate teologie cattoliche, dobbiamo citare il detto provocatorio di
Tertulliano “Certum est quia impossibile” (che troppo spesso viene proposto
come “Credo quia absurdum”), che significa: le verità di fede sono solide
benché (o proprio perché!) non ricavabili dalla ragione umana. Ma contro quel
possibile “razionalismo” hanno alzato la voce - sempre in clima dialettico che
tende all’esagerazione - pensatori protestanti, quali S. Kierkegaard e K.
Barth, presentando una fede come salto nel vuoto, rifiutando la religione in
quanto si basa sull’ “analogia entis”.
2. Portiamo alcuni esempi riferendoci al cristianesimo.
La vita dopo la morte del’uomo non si ricava facendo ricorso
all’immortalità dell’anima. Vedi (in riferimento alla risurrezione di Gesù)
1Cor 15,12-28; At 17,32
Il Nuovo testamento ci fa camminare “più in alto” quando insegna la
superiorità della nuova legge morale rispetto a quella mosaica (Mt 5,17 –
7,12), o la grandezza (Ef 5,21-33) e
indissolubilità ( Mt 19,2-9) del matrimonio
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