Lettera pubblicata si Avvenire il
20 novembre 2014
Ha destato scalpore, specialmente
nel grosso pubblico, l’affermazione del prof. Veronesi “Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio
non esiste”. Che lo conduce verso un misto di ateismo e agnosticismo
(“Preferisco il sussurro del ‘Non so”). Precisiamo subito che il cancro è male
fisico, la Shoah
è male morale. Tentiamo di schematizzare in due frasi il percorso della sua
riflessione, dipendente dall’esasperazione dell’illuministica posizione antropomonistica: Se Dio assoluto e perfetto esiste, è
responsabile del male fisico e morale nell’uomo, sua creatura. Se si afferma
che Dio non esiste, l’uomo è l’essere sommo, assoluto e perfetto; che non può
essere toccato dal male.
E’ consigliabile approfondire il
concetto di Dio, di uomo e di male. Dio (per i filosofi greci) è il sommo bene;
l’uomo è un essere finito e capace di fare il male; il sommo male fisico è la
morte (la cifra dell’uomo è “essere-per-la-morte”: Heidegger). La morte per i
credenti è un mistero e segno di “fiducia”, per gli altri un assurdo e segno di
disperazione. “Il mestiere di uomo” è proprio quello di donarsi per lenire il
dolore degli altri. Hanno scritto (e forse meglio del chirurgo) sull’argomento i
grandi pensatori buddhisti, Giobbe, Qohelet, Tommaso. Dostojevskij, Camus, don
Gnocchi e p. Haering. E’ volutamente
ambigua la famosa frase riportata dell’ebreo Wiesel: “(Dio) è appeso lì, a
quella forca….”. Se, sulla traccia del “Servo di JHWH” di Isaia, avesse
riconosciuto il Cristo, avrebbe dovuto scrivere: “E’ lì su quella Croce”. Vale
sempre la distinzione delle “competenze”: essere un ottimo chirurgo non
comporta essere un buon filosofo; come (si direbbe in questi giorni)…essere un
buon sindaco.
Antonio Contri
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