UNA METAFISICA PER LA TEOLOGIA ?
I tipi di
rapporto della teologia con la filosofia sono:
- uno precedente, propedeutico:
mi pongo con la sola ragione alcuni questi su Dio, come sulla sua esistenza e
personalità, sua dotazione di intelletto e volontà, sua bontà…(che richiamano i
cosiddetti praeambula fidei)
- uno concomitante, strutturale,
proprio della teologia sistematica: che è l’esposizione del dato di fede
rivelato e accettato dalla Chiesa cristiana, che ha per base un “sistema”
concettuale, qual è una metafisica, logicamente
ordinato, appartenente a un determinato mondo culturale.
I
Può esser
utile richiamare l’etimologia di “conoscere”,
da cum-nosco, cui corrisponde (syg)gignòsko = com-prendo, capisco,
riconosco, sono conscio; dove è facilmente individuabile il concetto di
globalità, di “agire con”. Tanto che la meta-fisica potrebbe essere
interpretata come trattazione sull’hypò-stasis,
che per le cose significa essenza, base, fondamento, ciò che sta sotto (sub-stantia), e per l’essere umano significa
invece persona (ontologicamente). Cicerone nel “De natura deorum” I, 37 ha questo inciso: “…ut deus quem mente noscimus…nusquam prorsus
(direttamente) appareat”. E Agostino
nel “De fide rerum quae non videntur” I, 2 dice qualcosa di analogo (ma nell’ordine
psicologico): “Chiunque tu sia, tu che non vuoi credere se non ciò che vedi, tu
vedi con gli occhi del corpo i corpi
presenti, e vedi con l’animo….le tue volontà e i tuoi pensieri del momento….”
Questo
rapporto fra manifestazione ed essenza è rinvenibile nella storia del pensiero:
in Eracilito che vede la realtà con la lente del “panta rhei” e in Parmenide che si basa sull’essere delle cose (e
siamo grati a E. Severino per avercelo, a modo suo, richiamato); lo troviamo
nella prima e nella seconda navigazione di Platone. In Descatres possiamo
vedere un cambio di registro fra il “cogito”
e il sum” (ma noi rimproveriamo all’iniziatore della filosofia
moderna di porre a base di tutto l’azione e la conoscenza, e non l’essere).
Ogni storico
del pensiero cristiano conosce il passaggio culturale che è avvenuto nella teologia cristiana dei primi secoli,
quando la lettura semitica della Scrittura è stata “tradotta” in
categorie greche. Per esempio basta leggere Gv 10,30 “Io e il Padre
siamo uno (neutro)” - che nella mentalità semitica indica “un’unità di potenza
e di azione” (R. E. Brown) – per vedere che coi primi concili trinitari (Nicea
I e Costantinopoli I) passa a significare uguaglianza di ousìa (essenza, sostanza); vocabolo quest’ultimo che a Nicea viene
considerato sinonimo di hypòstasis.
Allargava all’impiego di altri termini la lettera sinodale inviata nel 382 dal
Costantinopolitano ai vescovi occidentali; per cui Efeso (nell’approvazione
della seconda lettera di Cirillo a Nestorio) userà physis (natura) e i due sinonimi hypòstasis/pròsopon (persona), cosicché nella sintesi cristologica
di Calcedonia si farà ricorso a tutti i quattro termini che abbiamo indicato.
Persino il “Catechismo
della dottrina cristiana” di Pio X ha risentito di questa transizione sul
concetto di Dio: da “Amore fedele” nella storia dell’alleanza (così mi sembra
di poter riassumere testi come Es 20,5s; 34,6s, Sal 31,6; 86,15; Gv 3,16; 1Gv
4,8.16) a “Essere perfettissimo Creatore” (linguaggio ontologico su una realtà
metastorica).
II
Ma uno dei
segni preoccupanti del decadimento del pensiero occidentale è il rifiuto della
metafisica; e siamo felici e contenti perché la favola bella del progresso
indefinito ci ha regalato la bolla di sapone del “pensiero debole” o la colossale
trappola del “pensiero unico”. Ciò è dovuto a un’indebita riduzione del
significato di questa parte della filosofia, operata seguendo il pensiero
positivistico-materialistico proprio dello scientismo, o del sensismo, o
dell’empirismo, o del pragmatismo, che conduce ad affermare: è reale solo ciò
che è controllabile, misurabile, visibile, divisibile in parti.
Cerchiamo
quindi di rivisitare le tappe storiche
per le quali si è giunti a classificare la metafisica tra gli strumenti
inconsistenti, vacui, inutili, e perciò superati; oppure tra le disquisizioni
che formano la gioia dei superdotti, ma sfuggono alla comprensione dell’uomo
comune. Come si è giunti a ridurre l’ambito del conoscere definito “scientifico”
alla verifica dell’osservazione sensitiva, del calcolo matematico?
A - Possiamo
prendere come un inizio indicativo un pensiero di Leonardo, che non nega
l’anima, ma lascia gli incontrollabili discorsi su di essa alla “mente de li
frati, li quali per ispirazione sanno tutti li segreti”. Analogamente Telesio ritiene
che l’anima non serva a spiegare gli aspetti naturali (fisici) dell’uomo, ma
solo quelli che trascendono la sua naturalità.
Sono
individuabili tre gradini nella storia della rivoluzione culturale della
modernità.
- Il primo
livello è quello della rivoluzione scientifica,
che annovera i grandi “sperimentatori” e scopritori Copernico, Keplero, Brahe,
Galileo, Newton.
- Il ponte tra
questo livello e quello seguente è rappresentato da F. Bacone, che dà una prima
lettura filosofica della rivoluzione scientifica. Secondo lui il sapere deve
produrre frutti nella pratica, deve essere utile; l’uomo è il ministro della
natura nelle sue varie forme; le elucubrazioni (filosofiche) dei Greci sono
equiparabili al pensiero infantile.
- Con Cartesio
si giunge al livello della rivoluzione filosofica.
Il pensiero dà la conoscenza delle realtà immediatamente presenti nella
coscienza di sé, cioè degli oggetti (res
extensa) e dell’io che li conosce (res cogitans). Attribuisco a me stesso
(autocoscienza) la conoscenza dell’oggetto. Quindi l’io è qualcosa, è una
realtà. Ma il pensatore francese cerca invano di superare la contrapposizione tra
le due realtà indicando nella ghiandola pineale la sede dell’io.
Lo schema di questa
dichiarazione cartesiana di aporia si ritroverà analogo in Lessing, per il
quale s’interpone un fossato invalicabile tra le verità “storiche” e i concetti
metafisici e morali; idea che spianerà la strada alla rivoluzione kantiana.
Ritengo
possibile una duplice lettura del “Cogito
ergo sum”
1 – Cogito: io agisco (azione)
Sum:
quindi esisto (agente); per cui si trova
l’essere
2 – Cogito: agisco comprendendo
Sum:
quindi sono persona; per cui si
qualifica l’essere, come a dire che conosco cosa fa il soggetto ma anche cos’è
il soggetto.
Cosicché dallo
strumento di produzione di un effetto possiamo riconoscere la natura del
soggetto, come nel caso della costruzione di un tipo di diga da parte del
castoro, e della costruzione di un altro tipo da parte dell’ingegnere. Così
pure vediamo che l’uomo produce liberamente una cultura, mentre lo scimpanzé
vive seguendo col peso del determinismo la traccia dei suoi istinti. Per
portare un altro esempio, distinguiamo una quercia da una pianticella di
frumento dai diversi “frutti” che esse producono.
Osserviamo un’altra derivazione del
pensiero di Cartesio: imboccando una via in discesa, il pensiero moderno a
lungo termine poteva giungere, contro le intenzioni del pensatore francese, al
rischio d’impaludarsi nell’appiattimento di una visione assolutistica che
possiamo chiamare egomonismo, cioè
alla comprensione dell’individuo uomo come chiuso ad ogni relazionalità che non
sia controllabile “sperimentalmente”
a) Chiusura che può ostruire la via orizzontale e diventare egoismo.
In questo capoverso, come nel prossimo, richiamiamo qualche citazione dalla
Bibbia ebraica:
“Il Signore disse a Caino: Dov’è Abele,
tuo fratello? Egli rispose: Non lo so; sono forse io il custode di mio
fratello?” (Gen 4,9)
“Essi calpestano come la polvere
della terra la testa dei poveri….”; “Ascoltate questo voi che calpestate il
povero e sterminate gli umili del paese…..” (Am 2,7; 8,4)
“Quale diritto avete di schiacciare
il mio popolo, di pestare la faccia ai poveri?…” (Is 3,15)
E’ escluso quindi il dovere di
accettare norme societarie, di esercitare la giustizia…
b) Chiusura che può ostruire la via verticale e diventare immanentismo
“Tu pensavi nel tuo cuore: Salirò in
cielo, sopra le stelle di Dio….nella vera dimora divina….; mi farò uguale
all’Altissimo” (Is 14,13s)
“Poiché il tuo cuore si è
insuperbito e hai detto: Io sono come un dio…hai reso il tuo cuore come quello
di Dio” (Ez 28,2)
E’ escluso quindi il dovere di
accettare una norma superiore, di dedicarsi alla preghiera…
B - Da Pascal ci viene proposto il duplice
piano dello spirito di geometria (o matematico) che riguarda le cose tangibili,
e lo spirito di “finesse”; parola
che, secondo i commentatori (P. Serini, D. Antiseri….), si può intendere come
“intuizione”. E giustamente, perché il grande filosofo-scienziato ritiene che i
principi “geometrici” siano “netti”, “tangibili” e “grossolani”, mentre le
realtà scientificamente indimostrabili sono accessibili a uno spirito che
semplicemente contempla con occhio sereno i grandi principi: “Nello spirito di
finezza i principi sono di uso comune e sotto gli occhi di tutti (…) Li si vede
appena; più che vederli si sentono; si fa una fatica infinita a farli sentire a
chi non li sente da sé”, (e si raggiungono) “senza poterli dimostrare come in
geometria”. Le conoscenze intuitive sono più semplici non perché infantili, ma
perché percepibili a tutti coloro che le vogliono accettare. Quelle
“scientifiche” non sono più sicure, ma esigono un percorso di ricerca più complicato.
C - In linea
con affermazioni di Cartesio e di Pascal, un pensiero di Kant – non ancora ammaliato dalla sua conquista “copernicana” -
sull’esistenza di Dio, che pochi citano, è questo: la Provvidenza non ha voluto legare una conoscenza così
importante a sottili ragionamenti, ma “alla naturale conoscenza degli uomini”.
E’ necessario
rivedere la troppo facilmente accettata lettura parziale della teoria di Kant
sulla conoscenza: il noumeno (“Io penso”) deve esistere, ma non lo comprendo né
posso dimostrarlo “scientificamente”, cioè con gli strumenti della “ragion
pura”. Egli voleva trovare un fondamento scientifico (cioè di scienza della
natura) alla metafisica, della quale confessava di essere irresistibilmente
innamorato.
Il noto
studioso di storia della filosofia Dario Antiseri individua il punto di partenza
del pensiero “riduttivo” kantiano “nel radicato pregiudizio ‘scientistico’ che
lo portava ad ammettere come
‘conoscenza’ pleno iure solo quella
di tipo matematico-geometrico e quella di tipo galileiano-newtoniano”. E
avverte che in campo morale il “noumeno” diviene accessibile alla ragione pratica,
cui il filosofo attribuiva decisamente il primato sulla ragione pura.
La conclusione
della “Critica della ragion pratica” ci riserva un gioiello: “Due cose
riempiono l’animo di ammirazione….: il cielo stellato sopra di me e la legge
morale in me….Il primo comincia dal luogo che io occupo nel mondo sensibile
esterno….La seconda comincia dalla mia invisibile identità, la personalità….”. Quindi
voler dare una deterministica regola al mondo dello spirito non conduce a
conferirgli solidità, ma a restringere l’apertura verso l’infinito di un essere
personale, dotato di libertà e realizzantesi nella storia. Lo aveva già
affermato Pascal in un pensiero scultoreo: “L’uomo è solo una canna, la più
fragile della natura, ma una canna che pensa”.
In questo
ripensamento della critica kantiana mi sento confortato da L. Messinese che, riferendo un pensiero del filosofo K. Jaspers, afferma: “criticando la possibilità di
una ‘metafisica come scienza’ Kant, ha finalmente reso possibile la meta-fisica come orientamento del pensiero a ciò che
trascende gli oggetti della conoscenza empirica e scientifica”.
Noi quindi,
superato il riduzionismo kantiano, vediamo che la conoscenza sovrasensibile non
è data dall’imposizione di uno schema prefissato a priori (una specie di maschera di ferro) su quella sensibile, ma
da una lettura profonda di quest’ultima realtà. Contro il tentativo di ridurre il
principio di causalità a una categoria imposta dal nostro intelletto, possiamo
portare l’esempio del mattutino sorgere del sole: nessuno dirà che questo è la
causa (piuttosto che l’occasione) dell’apertura delle finestre delle case.
D – Con gli
ultimi epigoni dell’Illuminismo “a senso unico” immanentistico siamo passati a
un altro modo di pensare. Se ammettiamo, già seguendo Cartesio, che la
filosofia non è più scienza dell’essere, bensì gnoseologia, dottrina della
conoscenza, approviamo la tesi che vede nell’uomo il “creatore” di tutta la
realtà. Con la conseguenza morale del rifiuto di ogni norma etica o giuridica
che comprima la libertà individuale, di modo che ogni desiderio diventa un
diritto. Siamo caduti così nel pensiero unico – vera “dittatura del
relativismo” (Joseph Ratzinger) e dell’individualismo - che non si sente
obbligato a giustificarsi né tollera nessuna diversa visone della realtà (Paola
Ricci Sindoni).
III
Nella realtà dobbiamo riconoscere una duplice
dimensione:
- la sua
manifestazione, che ce la rende conoscibile (aspetto epifanico, dinamico),
- e il dato
base, senza del quale non si avrebbe quella manifestazione (aspetto ontologico,
statico). Cosicché anche oggi possiamo parlare di una metafisica, purché sia
dinamica, qual è una comprensione profonda, anche storica, della realtà; ossia,
come dice il filosofo A. Carlini, sostituire una metafisica critica ad una
dogmatica.
Nel momento epifanico,
giunge ai nostri sensi l’attività dell’esistente e ci viene conferita la
possibilità di procedere più oltre ponendo la domanda della sua essenza; nel
momento ontologico individuiamo - con strumenti che procedono oltre
quelli della dimostrabilità “matematica” - la struttura di fondo, il grado di
essere, la qualifica di genere dell’esistente, l’essenza, la base per cui
possiamo risalire alla dinamica.. Nel primo siamo alla ricerca dell’esistente,
nel secondo troviamo l’ente. Nel primo movimento, analitico, prendiamo contatto
con un oggetto o fatto esterni al soggetto conoscente, chiedendoci: che fa?,
come agisce? cosa produce? Nel secondo movimento, sintetico, interpretiamo i
dati che ci sono stati forniti, rispondendo alla domanda: cos’è? chi è? Con
questo ci apriamo alla domanda dell’ermeneutica: che senso ha?
Quindi
dobbiamo operare un sintesi
- tra il concetto di metafisica
regalatoci dai greci, cioè il concetto di una natura universale e immutabile, base
unica della considerazione della realtà,
- e l’apporto migliore del
pensiero moderno, che tiene conto della singolarità delle persone (evitando
però l’estremizzazione che conduce all’individualismo e soggettivismo) e della
pluralità delle culture (evitando il rischio di cadere nel relativismo e
storicismo).
Queste
riflessioni non sono vacue e inutili, perché ci fanno entrare nella vera
comprensione globale della realtà (“Il
vero è l’intero” diceva Hegel). E’ proprio il momento in cui vediamo la realtà
(come nel caso di un filmato) che ci fa conoscere la consistenza dell’oggetto
che le è sottostante (come nel caso del “fermo immagine”).
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