lunedì 23 dicembre 2013

Sul problema del male



DIO, L’UOMO E IL MALE
Due risposte della Bibbia


Si Deus, unde malum? E’ questo il problema più conturbante per il credente, tanto che nella Somma Teologica di San Tommaso si trova come una delle due obiezioni contro l’esistenza di Dio (I, 2, 3).


PRINCIPI DI METODO E DI CONTENUTI

A – Gradualità

Quando si dice “storia della salvezza” si intende sia la successione degli eventi salvifici nei secoli, sia il progresso nella comprensione di questi che ci viene offerta dai vari libri della Scrittura della prima e della definitiva alleanza. Ma anche all’interno di un libro si possono trovare  più livelli teologici. Esempio: Siccome leggeremo il cuore del libro di Giobbe, vediamo che nei cc. 3-31 si esprime la teologia tradizionale dei tre amici; nei cc. 38-42 Dio si rivela nella sua vera luce nello scenario grandioso di una teofania.
Solo chi conserva ancora una inveterata comprensione della Bibbia come “dettatura meccanica” da parte di Dio può assumere le mille frasi ivi contenute prescindendo dalle varie culture, dai vari contesti, dalle varie epoche; senza accorgersi delle mille affermazioni contrastanti e contraddittorie che vi si trovano. Questo metodo fondamentalista e letteralista è la negazione dell’ermeneutica e conduce ad eccessi deplorevoli come per es. al rifiuto dell’AT proclamato nel II secolo da Marcione e alla condanna di Galilei nel XVII. La Bibbia non è un monoblocco di marmo che si estrae dalle montagne di Carrara, ma un albero vivente con le sue molte ramificazioni e stagioni. Anzi dobbiamo dire che la “verità” più completa si coglie solo alla fine di ciascun percorso; come  la storia globale di un uomo è leggibile alla sua conclusione. Non dobbiamo quindi assolutizzare gli inizi, la creazione primordiale, ma orientarci all’éschaton, la creazione nuova e definitiva.

B – Due teologie nella Genesi

Nei primi capitoli della Genesi troviamo due “teologie” della creazione complementari, ma diverse.
All’inizio troviamo il primo capitolo (fonte P), scritto per reagire alla forte tentazione che subivano gli ebrei dopo aver visto lo splendore dei culti idolatrici; dove si rende conto della distanza abissale tra tutto il creato e Dio. E’ un messaggio di ottimismo: la creazione è tutta buona.
Il  “racconto” della formazione dell’uomo e della coppia, e del cosiddetto peccato originale (Gen 2-3: fonte J), oltre a non essere il testo unico della Scrittura che ricerca le origini del male (vedi sotto Rm 7-8), deve essere riposizionato in due sensi:
  • non si può collocare alle origini della rivelazione biblica, e quindi all’inizio della storia, essendo un testo “sapienziale” (classificato dai più come “pre-istoria”)
  • deve essere preso in chiave simbolico esistenziale (Gozzelino) come meditazione sull’esistenza concreta di ogni essere umano (l’ebraico adàm significa: uomo), nella duplice dimensione positiva-negativa.
Ciò si fa non per inchinarci alle scoperte delle scienze fisiche e umane, ma per uno sviluppo dei metodi ermeneutici biblici adottati oggi anche dai cattolici, che così devono rileggere le posizioni della tradizione e del magistero dei pastori. Ciò fa comprendere qual è l’essenza del peccato che può essere oggetto di tentazione per ogni uomo non credente di ogni tempo: presumere di sostituirsi in tutto e per tutto a Dio (antropolatria).
E’ utile notare la mancanza nella predicazione di Gesù (e in quasi tutto il resto del NT) di citazioni esplicite di questo “racconto” nella sua dimensione amartologica. (concernente l’hamartìa, il peccato, e hamartàno, pecco).
Così rispondiamo al significativo dilemma: la storia della salvezza trova il suo centro nella salvezza portata da Cristo, o nel peccato commesso dall’uomo? La tradizione patristica prima di Agostino privilegiava la risposta dinamico-escatologica, nei confronti con quella statico-protologica seguita poi da tutta la chiesa latina (Gozzelino).

C – Il linguaggio del mito [1]

La storia della salvezza - che è l’oggetto primario della comunicazione della rivelazione di Dio all’uomo - è costituita da due elementi: fatti e discorsi. Come nel racconto dell’esodo dall’Egitto e nei discorsi di Mosè (Pentateuco); come nel contenuto dei vangeli, “ciò che Gesù fece e insegnò” (At 1,1). Di questi elementi viene comunicato il contenuto (messaggio) attraverso una forma (linguaggio).
Due sono i modi di esprimere la realtà:
- Per la cultura orientale (per esempio quella dei semiti) la realtà profonda è più grande del nostro intelletto e viene espressa con azioni lette in chiave simbolica (come nelle parabole); ciò consente di valutare senza limiti di tempo la realtà della vita individuale e della storia
- La cultura mediterranea (per esempio quella dei greci) ritiene di poter racchiudere la realtà nei concetti elaborati dalla nostra mente (come nella tematizzazione ontologica); ciò comporta un’astrazione dalla vita e dalla storia.
Quindi “mito” per gli orientali è un racconto sapienziale utile per comunicare una realtà perenne e universale così profonda da non essere esauribile dall’intelletto umano (nel linguaggio biblico: mystèrion); per noi occidentali - se seguiamo la diffusa concezione proveniente dal pensiero illuministico-positivista - è un racconto fittizio, privo di nesso con la realtà, come nelle fiabe. Nel primo caso abbiamo il discorso di un antico “filosofo” che pensa (benché in linguaggio simbolico), nel secondo le fantasticherie di un moderno romanziere.
Aggiungiamo alcune esemplificazioni:
- Per gli orientali Dio “consegue sempre il fine” che vuol ottenere; per noi si esprime lo stesso concetto scrivendo che egli è “onnipotente” per essenza
- “In principio era…il dabar (che in ebraico significa azione-evento e parola): a) …l’azione di Dio (Gen 1,1: creò), come sembra abbia inteso il poeta Goethe nel Faust: “In principio era l’Azione”; b) …il Lògos di Dio (Gv 1,1 tenendo conto che il linguaggio qui è mutuato dalla filosofia), come il filosofo Fichte intende l’espressione del connazionale poeta.

D -  Qualche tratto della “teologia” del male.

1 - Col concetto di “male” possiamo intendere due cose:
-         i limiti dell’essere non assoluto, cioè dolore, sofferenza e morte (male fisico)
-         il disordine morale dell’essere libero, cioè il peccato (male morale)
Un problema non facile sorge quando si cerca di individuare il rapporto causale tra le due categorie.

Fatti negativi e condizioni di esistenza dell’uomo, del popolo ebraico e del credente definibili come “male” possono essere: una battaglia perduta, un’invasione subita, la deportazione, il massacro della popolazione, una pestilenza; oppure una malattia, disgrazie e discordie famigliari, impoverimento e miseria, odio e calunnia, morte.

Il problema del male nel creato, nell’umanità, nel singolo uomo o credente ci conduce a chiederci:
-         La creazione è un’opera sbagliata, abortita?
-         Il Dio dell’alleanza è sempre fedele alle sue promesse?
-         La retribuzione dei buoni o dei cattivi ci fa pensare alla bontà e giustizia di Dio?
-         Quale valore assumono la condotta religiosa e morale di un individuo, e la sua preghiera?
-         Quale concetto di Dio e della salvezza poniamo come base per la soluzione di questi problemi?
E’ questo il campo affine alle domande della teodicea.

2 - La questione “a chi o a che cosa deve essere imputato il male” ha ricevuto più risposte:
a)      L’archeo- o neo-ateista (o agnostico) risponde: a Dio; il quale, se esiste, deve essere considerato cattivo, o impotente (vedi il famoso paradosso di Epicuro); ma ciò non tiene conto che il male può provenire da libere scelte umane
b)      Il superstizioso risponde senza controllo logico: il male viene dal destino, da elementi “sovra-umani” (astri, magia, ecc.)
c)      Il lettore tradizionale della Scrittura (Gen 3, ma anche di altri testi come Sapienza), per non dover attribuirlo a Dio, risponde: alla ribellione umana (peccato) contro Dio; ma ciò non rende ragione dei mali che non provengono da una scelta libera
d)      Secondo un metodo ermeneutico di leggere la Scrittura, il male è attribuibile al “limite” della creatura; per cui i tre mali emblematici “dolore, peccato, morte” vengono fatti risalire primariamente alla nostra “non perfezione” creaturale o – se definisco la libertà come la capacità di realizzarsi con scelte secondo la propria natura - alla nostra decisione moralmente negativa. Quindi la sofferenza non è primariamente un castigo, conseguenza della colpa.


LE DUE RISPOSTE DELLA PAROLA DI DIO

I due eventi che suddividono la storia della salvezza tematizzata nell’AT sono l’esodo trionfale dall’Egitto – nel quale alcune tribù semitiche sono costituite in popolo e Popolo di Dio - e l’esperienza amara dell’esilio babilonese. Quest’ultima è stata portatrice di una benefica revisione della concezione di Dio, di Popolo, di salvezza, di fede, di credente, di origine del male.

Prima risposta: teologia del pre-esilio

La tesi più popolare, corroborata da un esame che si fa “a prima vista”, molto utilizzata in sede morale ed esortativa dice: i mali sono causati dalla cattiva condotta dell’uomo e vengono mandati da Dio per nostro ammonimento e come invito alla conversione.

A - Prima teologia del libro di Giobbe (soprattutto cc. 3-31) [2]

Sono presentati drammaticamente i dialoghi e il tormento interiore di Giobbe. Di fronte alle  contestazioni dei tre amici si trova stretto in un’alternativa: o ammettere di essere colpevole, e quindi giustamente punibile, o accusare il suo Dio di non bontà, non fedeltà, non giustizia. La sua ribellione  (che poi verrà corretta) si può leggere come un errore morale.
Il suo Dio è paragonabile a un commerciante che tratta coi clienti. La dottrina comune – che pervade molti testi del Pentateuco, dei libri storici e dei Salmi - infatti propendeva per la “teologia della retribuzione” [3], del “do ut des”, in cui Dio si sente obbligato a promettere beni, conquiste e protezione al popolo o al singolo che gli è fedele e osserva la Torà. Benché il profeta abbia anche un non chiaro presentimento che verrà (in un’altra vita?) un “riscattatore” a rendergli giustizia.
Giobbe alla conclusione del suo percorso di purificazione della fede riconoscerà il fallimento della sapienza umana nel suo tentativo disperato di difendere la giustizia di Dio nei confronti della sofferenza del giusto. Vedrà che non esiste parallelismo automatico tra osservanza morale e retribuzione di Dio.

 B - Genesi 2-3 [4]

1 - Il testo si dilunga nel mettere in evidenza gli inconvenienti, lacune e deficienze che connotano l’esistenza dell’uomo: nascita dalla polvere del suolo, necessità della fatica (lavoro), precarietà dell’esistenza terrena e termine della medesima, bisogno di relazionarsi coi propri simili, bisogno dei propri simili per riprodursi. In particolare per la donna: dolori nel parto e soggezione schiavizzante al proprio partner.
In un contesto di retribuzione, i limiti esistenziali sono fatti risalire a una colpa morale, seguita da analoghi castighi.
L’uomo (adàm) è un vassallo in contestazione contro il suo sovrano; è tentato di scrollarsi di dosso i limiti disobbedendo a Dio (errore morale), arrogandosi di essere pari a lui. Con la conseguenza che egli perde la comunione-comunicazione con Dio.

2 - Troviamo l’albero come elemento fondamentale del simbolo:
- Due alberi: 2,9
- Un albero: 3,3 (in mezzo al giardino).6.11s.17
- Albero della conoscenza: 2,9.17
- Albero della vita: 2,9 (in mezzo al giardino); 3,22.24

E’ interpretabile questo come un unico albero significante due “riserve” che Dio si attribuisce:
  • quale luce di Verità, dotato di “conoscenza del bene e del male” (cioè del possesso di tutta la verità-realtà, in particolare di quella morale);
  • quale fonte della Vita, dotato di una esistenza che non ha fine (“albero della vita”).
Esiste quindi un profondo nesso tra il peccato e la morte, intuibile sotto la scambiabilità tra il primo e il secondo albero.

L’uomo in prometeica opposizione a Dio,
  • varca il confine della Verità, attribuendosi l’autonomia conoscitiva-morale
  • benché gli sia interdetto il possesso della Vita (cfr Gen 3,22).

3 - Nell’eschaton l’uomo nuovo, creato sul modello del Cristo risorto - che è Verità e Vita - sarà dotato per grazia del massimo di Verità e di Vita che sia possibile ad una creatura che riconosce di essere figlio di Dio, benché soltanto adottivo nello Spirito: filus in Filio. Perché Cristo, uomo preesistente alla creazione di tutto [5], è il prototipo di ogni uomo. A lui come “primogenito dei risuscitati” ognuno è destinato finalmente a conformarsi (Rm 8,29; 1Cor 15,49; Fil 3,21; Col 1,15-18).
L’uomo peccatore che aveva preteso di “essere come Dio” verrà fatto “partecipe della natura divina” (2Pt 1,4), dotato di visione beatifica e di vita immortale.

NOTA 1 – L’insinuazione del serpente (3,5: “Sarete come elohìm” (parola che si può intendere: Dio, dèi, esseri divini; cfr 3,22) ci introduce a comprendere dove si colloca l’essenza del peccato di ogni adàm: nel non riconoscere la giusta relazione con l’altro che ci sta sopra, alla pari, al di sotto:
- Si abbassa Dio creatore e normatore a livello della creatura, o lo si riduce a insignificanza
- Si riducono gli altri uomini a oggetti strumentalizzabili, o complici dei nostri misfatti
- Si misconosce e si sfrutta egoisticamente il mondo infraumano, o lo si erige a idolo.

NOTA 2 – Collocando l’evento tentazione-peccato alle origini della storia umana (ordine cronologico), l’autore biblico ha inteso insegnare che la lotta tra il bene e il male sta alle radici della creatura libera (ordine ontologico-esistenziale). Dal testo classico di Gen 3,15 apprendiamo che
-          il Signore Dio creatore metterà un’ostilità tra il serpente e la donna e tra le rispettive discendenze;
-          lungo la storia la discendenza della donna colpirà il serpente alla testa, e il serpente colpirà (uguale verbo rispetto al precedente) al tallone la discendenza della donna.
Di modo che la lotta avrà una conclusione ottimistica, ma durerà per tutto il corso della storia. Aveva intuito bene Dostoevskij affermando che la lotta tra Satana e Dio avviene quotidianamente nel campo di battaglia che è il cuore di ogni uomo.

NOTA 3 – L’espressione della tradizione spirituale cristiana che descrive il peccato come “morte (o malattia) dell’anima” può forse farci comprendere il nesso di analogicità che unisce queste due realtà:
- Il peccato è l’interruzione delle relazioni con Dio e coi fratelli nell’ordine morale
- La morte è l'interruzione delle relazioni del “sinolo” fisico-spirituale col “mondo” [6] e all’interno del sinolo stesso.

C - Rm 5,12-21

A San Paolo occorreva un chiaro esempio di applicazione del principio semitico della “personalità corporativa” per mostrare che in Cristo capo tutti siamo stati salvati.
A questo punto della sua lettera più importante egli esprime un’intelligenza della salvezza in Cristo come riparazione del peccato. Fa questo usando una serie di paralleli antitetici ricavati dalla meditazione sul “racconto” genesiaco:
a) peccato, morte, caduta, giudizio, disobbedienza
b) grazia, dono, giustificazione, obbedienza.
Applica poi con decisione una figura di comparazione: tra abbondanza della caduta e sovrabbondanza della grazia.

Nella Chiesa latina il discorso è stato cristallizzato dal pensiero pessimistico - che passò per tre diverse e tormentate soluzioni (Gozzelino) - del grande Sant’Agostino;.il quale si fidava della traduzione “in quo omnes peccaverunt” di Rm 5,12. Poi è stato ulteriormente estremizzato da Martin Lutero, con le affermazioni dialetticamente contrapposte del concilio di Trento. Nello stesso versetto si trova “per peccatum mors”, che quasi tutti gli studiosi interpretano come detto della morte spirituale.
La Chiesa greca in soteriologia ha invece seguito la traccia ottimistica della divinizzazione (theopòiesis).

NOTA 1 – Col Vaticano II, abbiamo abbandonato l’idea che tutta la verità è contenuta nella tradizione cattolico-romana e che gli altri cristiani devono solo battersi il petto e ritornare alla “casa del padre”. Il decreto Unitatis redintegratio ai nn. 14-18 trattando degli orientali riconosce che “alcuni aspetti del mistero rivelato sono stati talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall’uno che non dall’altro”; e che molte cose abbiamo preso dalle chiese orientali. La costituzione Lumen gentium al n. 8 dichiara che “al di fuori del suo (Chiesa cattolica guidata dal successore di Pietro) organismo si trovano parecchi elementi…di verità che….spingono verso l’unità cattolica”.
Adduco soltanto alcuni esempi. In Oriente
- è stata meglio interpretata la funzione salvifica fondamentale della Risurrezione di Cristo, un tempo esclusa dai nostri “misteri principali della fede”;
- è sempre stato interpretato il “mistero” (che rimane sempre tale!) dello Spirito Santo sottolineando la sua funzione genetica ecclesiale; mentre noi gli abbiamo riservato un cantuccio nella vita interiore del credente;
- si ricava l’ecclesiologia dalla matrice sacramentaria (Eucaristia, episcopato), mentre per noi essa spesso sconfinava nel diritto canonico;
- si ricava la mariologia dalla grande Tradizione liturgica, mentre noi volentieri ci affidavamo alle devozioni e mini-rivelazioni.

NOTA 2 - La pietra di confronto non è la teologia cattolica, ma la rivelazione di Dio; che non può essere ristretta in formule pietrificate. La Scrittura, fonte eminente della multiforme Parola di Dio, non è dettata meccanicamente; va interpretata nel vero significato delle sue lingue e generi letterari e tenendo conto degli sviluppi nel tempo al suo interno. L’interpretazione tradizionale è legata all’ambiente culturale e storico che la riceve; è opera di tutte le chiese e di ciascuna nella sua totalità, tenuto conto della progressione delle posizioni degli studiosi (teologi) e delle decisioni dei pastori. (vescovi).

NOTA 3 – La diversità delle linee teologiche si può notare anche nella concezione del Battesimo, il sacramento che ha maggiori addentellati col “peccato originale”.
Leggendo i vangeli, si distingue nettamente
- il “battesimo di Giovanni” ricevuto anche da Gesù (ciò che è messo in ombra dal IV evangelista)
- il seguente “mistero” che si manifesta nell’apertura dei cieli, nella discesa dello Spirito e nella voce del Padre che proclama Gesù suo Figlio. Sarà Gesù che battezzerà in Spirito e toglierà il peccato del mondo.
Il Battesimo cristiano avrà quindi due aspetti:
- sarà immersione nella Morte di Gesù, come prolungamento della Passione salvatrice (Bouyer), sepoltura della nostra dimensione “di carne”
- attraverso il Risuscitamento di Gesù, sarà il nostro rivestimento di Cristo e la conformazione a lui, la recezione della vita nuova per mezzo dell’effusione dello Spirito, l’ingresso nel Regno-Chiesa, nel Popolo di Dio, che vive nel nuovo “eone-eucaristia” (Evdokimov).
Storicamente la Chiesa latina ha sottolineato il primo di questi due aspetti, mentre quella greca ha approfondito il secondo.

Seconda risposta: teologia del post-esilio

Il credente è fatto consapevole che il mistero del dolore è decisamente superiore alle facoltà della sua comprensione e che trova una sistemazione provvisoria nella fede in un Dio-amore, in attesa dell’ultima e definitiva rivelazione che quel Dio ci gratificherà nell’éschaton

A - Seconda teologia del libro di Giobbe (soprattutto cc. 38-42)

Il profeta che esce dall’incontro col Dio teofanico - che si presenta nel contesto di un uragano - è completamente cambiato.
Ha compreso che il giusto soffre, indipendentemente dalla sua condotta morale, per la sua costituzione di creatura limitata. Ora Giobbe si sente un nulla di fronte al Creatore e raggiunge la verità piena e profonda su di lui.
Il suo precedente peccato era stato un errore teologico, contro la fede:  presumere di giudicare Dio, arrogandosi di essere a lui pari. Troveremo un equivalente di questa albagia nell’insinuazione diabolica “…sareste come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gen 3,5).

Se nella prima teologia l’uomo si riconosceva come una libertà che può peccare (errore morale), qui è considerato come una creatura che ha dei limiti essenziali. E' ciò che, con linguaggio semitico, insegnano le molte pagine che confrontano il Dio onnipotente e onnisciente con la piccolezza dell'uomo. Il male fisico viene dal limite creaturale, non certo dalla colpa.
Non capisce alcunché di Dio chi applica al suo operato i canoni della giustizia umana. Gb 42,5 è il versetto chiave in cui Giobbe si confessa: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”
Il male rimane un mistero. Ma Giobbe ha la certezza rassicurante che i giudei nell’esilio fruivano della “presenza” del Signore.

B - Genesi 1

Il più tardivo “racconto” (Presbiterale) della creazione è attribuito al tempo del post-esilio
Analogamente alla teologia della creazione - espressa con magnificenza dal Deutero Isaia contro la tentazione dei giudei che avevano ammirato le splendide liturgie degli idoli mesopotamici - l’autore presenta Dio creatore di tutto come trascendente.
L’uomo è la più perfetta delle creature, non uguale al Dio vero, ma fatto a sua somiglianza. A lui Dio concede persino la facoltà di pro-creare (Gen 1,28; cfr 5,1-3). Di lui si predica lo splendore, ma i suoi “difetti” vengono sottaciuti, in quanto evidentemente attribuibili alla sua creaturalità.
In un primo tempo, gli ebrei agivano come se la sorte di Dio fosse legata a quella di Israele. A questo livello della rivelazione, gli ebrei hanno capito che il loro essere “Popolo eletto” non è un privilegio di cui vantarsi, ma un dono dato a loro per la diffusione del culto del vero Dio presso tutti i popoli.

C – Romani 7 - 8

1 - Nel tragico capitolo Rm 7  San Paolo ci dice che il male proviene dalla costituzione naturale imperfetta dell’uomo; che è calamitato dal male e non è libero (vedi vv. 5.11.14-21.23-25). Quindi non ha bisogno di un’alleanza di reciprocità, ma di un dono divino promesso e concesso.
Probabilmente questa è la prima tavola del dittico che si deve intendere dell’uomo “secondo la carne” (e rimane tale anche sotto la Legge, perché nemmeno l’osservanza di questa può salvare); mentre la seconda tavola presenta l’uomo “secondo lo Spirito”.

2 - Nella stessa lettera San Paolo affronta il problema in prospettiva del tutto nuova. Nel centrale capitolo 8 mette in raffronto il limite esistenziale della creaturalità (prima creazione) coll’intervento che Dio opera, nello Spirito Santo, concedendoci come dono di grazia l’implementazione della filiazione col farci raggiungere per partecipazione il livello della natura divina (nuova creazione).
La risposta di Paolo – come in 2Cor 5,1-5 dove si distingue un’abitazione terrena da una nei cieli - è espressa in chiave apocalittica. Nel testo abbiamo una dualità: carne / spirito (Spirito).
V. 7: la “carne” è ciò che non si sottomette a Dio, perché non ne ha la capacità; esprime l’uomo “naturale”, senza la grazia di Dio (Precisiamo: non ha il diritto di averla, ma è orientato e chiamato a riceverla come dono gratuito)
V. 11: lo Spirito di Dio risusciterà coloro che erano “carne”
V 19: le cose create sono in attesa della filiazione manifestata (cfr 1Gv 3,2); alludendo a Gen 3, 5 dice che, pur non diventando Dio, saremo figli di Dio sul modello del Cristo risorto.
V. 20s: la prima creazione è stata sottoposta alla negatività (caducità, inconsistenza, o vanità: vedi mataiòtes nel Qoelet e nei Salmi) da Dio creatore, nella speranza della liberazione; il vero “figlio” sarà obbediente (sottoposto) come controfigura della ribellione del primo adàm (Barbaglio). NB. Sembra che una tradizione teologica abbia voluto evitare di correre il temuto pericolo di attribuire l’origine dei mali (che realmente sono limiti!) a Dio, ipotizzando che chi ha sottomesso la creazione alla mataiòtes sia stato il diavolo.
V. 22: la creazione si trova oggi come nelle doglie del parto; cioè in passaggio da una situazione preparatoria ad un’altra superiore e definitiva (già e non ancora)
V. 23s: anche noi, benché già possediamo le primizie dello Spirito, siamo in una situazione di passaggio; siamo salvati in speranza
V. 26: lo Spirito ci è di aiuto nella nostra debolezza; in quanto non sappiamo se sia meglio chiedere la continuazione di questa vita “nella carne” (cfr Fil 1,22-24; 2Cor 5,8)
Vv. 28-30: promessa della “gloria” e sua realizzazione
V. 38s: nessuna cosa creata potrà impedire che veniamo realizzati pienamente nell’Amore.
La sintesi che sta alla base di questa ultima pagina di teologia paolina comporta una visione cristocentrica della creazione e dell’uomo: preesistenza di Cristo al creato (“il vero primo Adamo è il Cristo”), creazione in Cristo per conseguire la filiazione (vedi anche le lettere ai Colossesi e agli Efesini); nei tre passaggi: elevazione / grazia / gloria (Gozzelino).


CONFRONTO SINTETICO E CONCLUSIONE

1 - Le due teologie che abbiamo incontrato pervadono tutto l’AT [7]

Teologia dell’Alleanza. E’ bidirezionale in quando un patto può esse stipulato fra almeno due persone o gruppi, che sono tra di loro almeno sostanzialmente alla pari: esercitano con fedeltà un dovere nel duplice scambio. La loro relazione può essere paragonata a un processo, a una sentenza (cfr Dt 30, alcuni profeti e molti salmi)
Si fonda sulla libertà dell’uomo e suppone una fiducia reciproca, che conduce alla solidità del rapporto. Esempio: Is 7,9 che può avere questa traduzione: “Se non crederete, non resterete saldi” (o “non sussisterete). Abbiamo qui una teologia del compenso.

Teologia della Promessa. E’ unidirezionale in quanto chi assicura un bene deve averlo, a differenza del recettore. I due in verità sono distanti essenzialmente (trascendenza del primo). La loro relazione, essendo un dono di amore, è paragonabile con un matrimonio (cfr Osea).
Si fonda sulla liberalità di Dio e comporta un affidamento incondizionato al principio. Esempio Is 51,1; cfr Dt 32,18: “Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati”. Abbiamo qui una teologia dell’Amore

La storia della salvezza nel primo caso è amartocentrica (guarda al peccato dell’uomo), nel secondo antropocentrica (guarda alla costituzione stessa dell’uomo). Il peccato consiste là nel voler infrangere i limiti esistenziali, qui i limiti ontologici.

Quale Dio ci viene presentato?
Nel primo caso: un sovrano esigente, della fedeltà all’alleanza del quale si è tentati qualche volta a dubitare (vedi l’ardita accusa di Sal 89,40: “Hai rotto l’alleanza col tuo servo”)
Nel secondo facciamo affidamento incrollabile al Dio che è “Amore fedele” (cfr Es 34,6: “Ricco di amore e di fedeltà”).

Riferendoci al Cristo, possiamo dire che nella prima impostazione (prevalente nella teologia occidentale) è colui che con la Croce ci redime dal male, nella seconda (preferita nella teologia orientale) è colui che, nello Spirito, ci completa nella filiazione.

2 – La Scrittura considera l’uomo un “unicum” vivente in due condizioni esistenziali:
- L’uomo è “carne”, concetto teologico che significa una forza del male, debolezza peritura, sede del peccato ed esistenza votata alla morte, piccolezza davanti a Dio [8]
- E’ “spirito”, concetto teologico del dono divino specifico dell’era escatologica (vedi Gl 3).

L’uomo, unica creatura visibile libera,
-         non è assoluto, cioè libero da legami; qui il riferimento corre all’albero della “conoscenza” (dominio) di bene-male.
-         non è perfetto, cioè completamente realizzato; qui il riferimento va all’albero della “vita” (pienezza di esistenza).
L’uomo sarà stabile e realizzato definitivamente da Dio solo nell'éschaton. E durante questa storia terrena? Sta come chi non vede nella Luna quella sua faccia a noi sempre nascosta; che comunque riceve sempre la luce del Sole che la illumina e riscalda.

In conclusione: la fede ebraico-cristiana dà una soluzione al problema del male? La soluzione definitiva sarà dono di Dio nella nuova vita.
- Al problema del peccato: esiste il male morale perché hai usato male della tua libertà. Ma nella vita eterna “non entrerà in essa (Gerusalemme celeste) nulla d’impuro, né chi commette orrori e falsità” (Ap 21,27).
- Al problema del male fisico: i mali sono limiti connaturali alla tua creaturalità. Ma il Dio che (nella seconda parte di Isaia e di Giobbe) è presentato come Creatore “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21,4).


[1] Ad un credente “tradizionale” che rimanesse perplesso per quello che in seguito diremo consiglio la lettura di un’esauriente e chiara trattazione di un biblista che è diventato cardinale: G. BETORI, Mito, in Nuovo dizionario di teologia biblica, Ed. Paoline, Cinisello B. 19893, pp. 993-1012.
[2] Vedi l’Introduzione a Giobbe nella Traduzione ecumenica della Bibbia  (nell’edizione originale TOB-AT del 1975, 1443-1451)
[3] Vedi SR. JEANNE D’ARCH, La retribuzione, in AA. VV., Grandi temi biblici, Ed. Paoline, Alba 1968, 163-176.
[4] Su questo argomento rilevante e oggetto di molte riletture e diatribe, è utile la consultazione del più volte citato testo documentato, chiaro ed equilibrato: G. GOZZELINO, Vocazione e destino dell’uomo in Cristo, Elle Di Ci, Leumann 1985.
[5] Vedi il mio studio “La preesistenza di G:C. Uomo-Dio alla creazione e alla sàrkosis” in Euntes Docete 3/1974, 266-310.
[6] Vedi il mio studio “E’urgente annunciare all’uomo d’oggi la risurrezione dei morti”, in Euntes Docete 3/1985, 299-309.
[7] P. SACCHI, Storia del secondo tempio, SEI, Torino 1994, soprattutto pp. 9-12.
[8] Vedi la nota a Rm 7,5 in La Bibbia di Gerusalemme

Nessun commento:

Posta un commento