E' quindi opportuno inserire al riferimento (1) : introdotte a partire dal XVI secolo
L’enorme attenzione suscitata
dall’intervista a Papa Francesco invita a proporre tre ordini di idee, in un
mare di confusioni e strumentalizzazioni.
E’ superfluo richiamare la lunga
elencazione delle precedenti restrizioni, riduzioni e chiusure (1) nei campi più
disparati del vissuto cattolico: liturgia, diritto (specialmente in rapporto
alla Curia romana), morale, educazione, storia della Chiesa e della teologia, ermeneutica
biblica, teologia (addirittura “una” alternativa alle altre). Atteggiamenti di
pensiero, graditi ai conservatorismi (ad esempio dei lefebvriani), che mirano a
stabilire formalisticamente la supremazia del particolare.
Si fanno sempre più chiare le
prese di posizione di questi primi mesi di pontificato: riviviscenza dei contenuti obliati del
Vaticano II, come la Chiesa
sempre in riforma (mai in rivoluzione), la Chiesa locale, la collegialità, la normatività
della coscienza; l’affermazione che la radice prima della Tradizione è la Chiesa apostolica, che il
primato del Vangelo deve essere più importante di quello pontificio, che tra
noi e Dio, come diceva il Lateranense IV, “maior dissimilitudo”, che la volontà
di Dio assume un “restringimento” (zimzum) nel passare alle leggi umane, anche ecclesiali.
Il Papa invita a escludere le esagerazioni, non ad abolire le norme. Questo
lavoro, che distingue bene essenziale da marginale (Unitatis redintegratio, n.
11), esige evidentemente una decisiva scarica di energia nell’incidere su inveterate
cortecce particolarmente resistenti.
Quest’opera necessaria e urgente
purtroppo è presentata con la solita parzialità e con ambigui espedienti dai
mezzi di comunicazione che si abbeverano all’agnosticismo (e derivati): si
prendono le affermazioni più delicate fuori contesto, con frasi sforbiciate,
con titoloni depistanti; si confonde comprensione con approvazione della
deviazione morale (S. Agostino esortava a combattere il peccato e amare
l’errante); si trascura che, se c’è un peccatore che dobbiamo curare, esiste la
sua malattia; si ignora che l’adultera di Gv 8 non è giudicata ma è anche
rimandata col “non più peccare”, e che i profeti dell’AT esortano i devianti a
ritornare a Dio perché egli ritorni a loro. Purtroppo questi pennaioli
sentenzianti non hanno alcuna conoscenza del pensiero cristiano (come uno che
scrive di economia senza conoscerne i fondamentali principi). I rimanenti guai
sono opera della malafede di alcuni. Questi critici devono capire che non è
cambiata la dottrina della Chiesa, ma il modo di aggiornarla e porgerla che
devono adottare gli uomini di chiesa.
Mons.
Antonio Contri
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