venerdì 27 settembre 2013

La linea tenuta da Papa Francesco

NOTA. Un quotidiano al quale ho inviato questa lettera - suppongo per timore che il secondo paragrafo alludesse a una mia disistima del pontificato di Benedetto XVI - lo ha soppresso nella pubblicazione. Mentre io mi riferivo al modo di insegnare e vivere della Chiesa degli ultimi secoli. Assicuro che ritengo papa Ratzinger - al cui magistero ho abbondantemente e proficuamente attinto nella mia docenza teologica e nelle mie pubblicazioni - uno dei più grandi pontefici della storia.

                E' quindi opportuno inserire al riferimento (1) : introdotte a partire dal XVI secolo

L’enorme attenzione suscitata dall’intervista a Papa Francesco invita a proporre tre ordini di idee, in un mare di confusioni e strumentalizzazioni.

E’ superfluo richiamare la lunga elencazione delle precedenti restrizioni, riduzioni e chiusure (1) nei campi più disparati del vissuto cattolico: liturgia, diritto (specialmente in rapporto alla Curia romana), morale, educazione, storia della Chiesa e della teologia, ermeneutica biblica, teologia (addirittura “una” alternativa alle altre). Atteggiamenti di pensiero, graditi ai conservatorismi (ad  esempio dei lefebvriani), che mirano a stabilire formalisticamente la supremazia del particolare.

Si fanno sempre più chiare le prese di posizione di questi primi mesi di pontificato:  riviviscenza dei contenuti obliati del Vaticano II, come la Chiesa sempre in riforma (mai in rivoluzione), la Chiesa locale, la collegialità, la normatività della coscienza; l’affermazione che la radice prima della Tradizione è la Chiesa apostolica, che il primato del Vangelo deve essere più importante di quello pontificio, che tra noi e Dio, come diceva il Lateranense IV, “maior dissimilitudo”, che la volontà di Dio assume un “restringimento” (zimzum) nel passare alle leggi umane, anche ecclesiali. Il Papa invita a escludere le esagerazioni, non ad abolire le norme. Questo lavoro, che distingue bene essenziale da marginale (Unitatis redintegratio, n. 11), esige evidentemente una decisiva scarica di energia nell’incidere su inveterate cortecce particolarmente resistenti.

Quest’opera necessaria e urgente purtroppo è presentata con la solita parzialità e con ambigui espedienti dai mezzi di comunicazione che si abbeverano all’agnosticismo (e derivati): si prendono le affermazioni più delicate fuori contesto, con frasi sforbiciate, con titoloni depistanti; si confonde comprensione con approvazione della deviazione morale (S. Agostino esortava a combattere il peccato e amare l’errante); si trascura che, se c’è un peccatore che dobbiamo curare, esiste la sua malattia; si ignora che l’adultera di Gv 8 non è giudicata ma è anche rimandata col “non più peccare”, e che i profeti dell’AT esortano i devianti a ritornare a Dio perché egli ritorni a loro. Purtroppo questi pennaioli sentenzianti non hanno alcuna conoscenza del pensiero cristiano (come uno che scrive di economia senza conoscerne i fondamentali principi). I rimanenti guai sono opera della malafede di alcuni. Questi critici devono capire che non è cambiata la dottrina della Chiesa, ma il modo di aggiornarla e porgerla che devono adottare gli uomini di chiesa.

                                                                                              Mons. Antonio Contri

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