RIFLETTENDO SU UN COMANDAMENTO
I
Mi ha fatto pensare, anche
criticamente, un articolo pubblicato su una rivista di pastorale da una teologa
siciliana, col seguente titolo: “Il peccato non è nel sesso”. D’impulso ho confrontato
questo discorso sul sesto comandamento e mi sono chiesto: potrei dire riguardo
al settimo “Il peccato non è nel denaro”? Mi sembra che si confonda uso con
abuso (come dire: polmone con polmonite, matrimonio con adulterio, vento che
spinge il natante con uragano che devasta….). E’ nel cattivo uso che si
nasconde il peccato.
I guai nascono dall’opinione
corrente, che identifica “dogmaticamente” amore con sesso, o con
passione. E rimango sorpreso perché trovo che nell’articolo non compare mai la
parola “amore”.
La sessualità deve essere
interpretata come una triplice manifestazione:
1 – Manifestazione dell’istinto, nella linea “dionisiaca”, come
realizzazione delle potenzialità fisiologiche del vivente animale,dove prevale
il ricevere. Suo fine è ottenere un piacere dal contatto coll’altro come
“corpo”. Questa formalità, riguardando esclusivamente l’atto presente, rimane
inconsapevole dell’insita finalità generativa; il suo ambiente è la natura.
2 – Manifestazione dell’ordine razionale, nella linea “apollinea”,
come realizzazione delle potenzialità fisico-spirituali di quell’esistente “al
limite di due mondi” che è l’uomo. Suo fine è l’attuazione unitiva reciproca di
due “individui”, nella logica dello scambio paritetico (do ut des; “ci vogliamo bene”).
Questa formalità, che comprende la duplice finalità relazionale e generativa da
realizzarsi nella successione nel tempo.
3 – Manifestazione dell’amore oblativo, che realizza pienamente due “persone”, ciascuna delle
quali ha a cuore la felicità dell’altro (amare vuol dire: ti voglio bene;
io sono proteso alla tua realizzazione personale), nella logica del dare.
Sua finalità è il raggiungimento dell’ideale del secondo comandamento cristiano
“Amerai il prossimo tuo come te stesso”,
a immagine speculare dell’amore per Dio (“Amerai il Signore tuo Dio”); il quale
Dio è Amore che si dona nella creazione e nella redenzione. Tutto ciò rientra nella
logica delle fede che è “affidarsi a un altro”, riconoscendolo come più
importante di sé. La morale cristiana non è maliziosamente architettata per
chiuderci in un’insopportabile gabbia, ma tende a raggiungere la realizzazione
massima dell’amore in questa vita.
II
Perché devono esistere regole
morali sull’uso di un mirabile dono che Dio ci ha dato? Una pulsione può essere assecondata quando
non supera gli steccati; come l’acqua del fiume quando non straripa.
L’uomo è un essere insicuro tanto
da non riconoscere i doveri, tanto da dover misurare la sua etica sulla volontà
di Dio; tanto fragile da non sentirsi in grado di attuare quei precetti e da
dover fare ricorso all’aiuto superiore quando le proprie forze non bastano.
Queste “lacune” dell’uomo nel linguaggio della tradizionale teologia cristiana
possono essere chiamate conseguenze del “peccato originale”; che nel suo
significato profondo e universale è il limite esistenziale della creatura che
si arroga di essere Dio! Mi sembra svuotato il comandamento in questione quando lo si consideri privo di significato
(“evoca un terreno neutro, indifferente”), tanto da trovare questo soltanto
nella cornice degli altri comandamenti.
La sessualità non è un assoluto
isolato come una torre d’avorio al centro di una pianura sconfinata, ma una
pietra angolare che concorre a realizzare la costruzione dell’intera vita
dell’uomo.
Mi sembra che l’autrice, volendo
difendere la femminilità, usi come manganello il femminismo: due realtà che
sono ben differenti (come razza e razzismo). Questo secondo può essere innalzato come una bandiera di
battaglia ideologica; la prima fu scoperta in un’estasi di gioia dal prototipo
dell’uomo (Gen 2,23: “Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia
carne”).
III
Su questo argomento ho mandato ad
“Avvenire” una lettera (pubblicata il 23 agosto 2013) che qui di seguito
riproduco:
Valori della
sessualità
Anche su qualche periodico cattolico si combatte talvolta contro i mulini a
vento individuando nella sessuofobia, deprecabile eccesso che una volta
concepiva l’uso del corpo sessuato esclusivamente per la fecondità, il “peccato
originale” della morale cristiana.
Le regole etiche non rappresentano un ostracismo della sessualità, ma una
guida prudenziale ad evitarne i facili abusi e a metterne in evidenza i valori
positivi. Vogliono creare un’apertura alla comunione vera; la quale comporta la
fondazione di una comunità di amore, che è la famiglia, necessaria per
assicurare alcuni valori: il vero altruismo che esclude l’egoistico possesso
dell’altro quando vediamo che poco ottiene la repressione, la donazione
paritetica totale e reciproca da persona a persona, il dovere della cura dell’
altro anche nei periodi meno felici, la stabilità del rapporto quando sappiamo
per esperienza che l’amore “compulsivo” dura al massimo pochi anni, la
continuità nel tempo della cellula genetica della società, l’educazione al ben
operare delle future generazioni. Cose tutte che…stanno a cuore ai mezzi di
comunicazione, d’intrattenimento e d’informazione.
Perché allora i due comandamenti relativi sono espressi in forma negativa? Le
regole del pudore (se non è fuori moda parlarne) sono come un parapetto esterno
di un cavalcavia, dato che una delle pulsioni (passioni, istinti) più naturali
è controllabile con molta fatica e con diuturna formazione, come un’autovettura
che procede a velocità sostenuta. La negatività non sta nel motore, ma nell’
incapacità di autoregolarsi del conducente.
Antonio Contri - Verona
Anche su qualche periodico cattolico si combatte talvolta contro i mulini a
vento individuando nella sessuofobia, deprecabile eccesso che una volta
concepiva l’uso del corpo sessuato esclusivamente per la fecondità, il “peccato
originale” della morale cristiana.
Le regole etiche non rappresentano un ostracismo della sessualità, ma una
guida prudenziale ad evitarne i facili abusi e a metterne in evidenza i valori
positivi. Vogliono creare un’apertura alla comunione vera; la quale comporta la
fondazione di una comunità di amore, che è la famiglia, necessaria per
assicurare alcuni valori: il vero altruismo che esclude l’egoistico possesso
dell’altro quando vediamo che poco ottiene la repressione, la donazione
paritetica totale e reciproca da persona a persona, il dovere della cura dell’
altro anche nei periodi meno felici, la stabilità del rapporto quando sappiamo
per esperienza che l’amore “compulsivo” dura al massimo pochi anni, la
continuità nel tempo della cellula genetica della società, l’educazione al ben
operare delle future generazioni. Cose tutte che…stanno a cuore ai mezzi di
comunicazione, d’intrattenimento e d’informazione.
Perché allora i due comandamenti relativi sono espressi in forma negativa? Le
regole del pudore (se non è fuori moda parlarne) sono come un parapetto esterno
di un cavalcavia, dato che una delle pulsioni (passioni, istinti) più naturali
è controllabile con molta fatica e con diuturna formazione, come un’autovettura
che procede a velocità sostenuta. La negatività non sta nel motore, ma nell’
incapacità di autoregolarsi del conducente.
Antonio Contri - Verona
Nessun commento:
Posta un commento