CIVILTA’ IN DECLINO
I
Confrontando i
nostri valori fondamentali - vita, persona, famiglia, amore, libertà – con la
concezione dell’Oriente (olismo immanentistico, esoterismo monista, panpsichismo,
annullamento dell’Io nel Sé, metempsicosi) possiamo costatare che stiamo
perdendo il “senso” di orientamento della nostra civiltà. Ma possiamo
aggiungere: della civiltà umana. Se definiamo la natura come il “grado di
essere” di un ente, dobbiamo purtroppo riconoscere che il non rispetto della
“natura” fisico-biologica e della natura umana si rivela sempre più come un
arrecare autolesionisticamente un danno irreparabile al creato.
II
Nella storia
della nostra civiltà possiamo schematizzare quattro successivi gradini in
discesa sui linguaggi e i punti essenziali di riferimento. Col Medioevo la
teologia aveva posti questi ultimi nella rivelazione; coll’Umanesimo e
Illuminismo la filosofia li ha spostati nella ragione; col Positivismo le
scienze sperimentali li hanno trovati nella misurabilità dei fenomeni
“naturali”; coll’età moderna il dominio della tecnica li ha confinati nelle
attitudini pratiche.
Quali sono le
principali sorgenti che originano questa alluvione devastante? L’umanesimo
illuministico nell’ispirazione atea o anticristiana, il positivismo nella sua
forma scientista, un tipo di storicismo per cui il procedere della storia porta
infallibilmente al progresso, il libertarismo e comunitarismo aberranti
(rispettivamente: libertà senza giustizia, e “giustizia” senza libertà),
l’esistenzialismo che, concentrato solo sul presente e sull’individuo come
vuole Sartre (L’enfer, c’est les autres), tende a squalificare ogni metafisica,
l’irrazionalismo nichilistico marcato Nietzsche che riduce l’uomo alla
dimensione dionisiaca.
Abbiamo
nominato più volte l’Illuminismo – intendendo con ciò l’Illuminismo ateo (o
vagamente deista) - perché lo riteniamo la causa principale del capovolgimento
della scala dei valori che si collocano alla base di ogni civiltà umana.
Vediamo il motivo esaminando due concezioni ontologiche (infatti rispondono
alle domande “chi è Dio”, “chi è l’uomo”) nella loro concretizzazione nella
società umana:
1 – Società ideale concepita in
un quadro di trascendenza come Regnum Dei.
Se esiste Dio, i valori umani sono dati stabilmente nella natura di ogni uomo
(realismo); l’universo è “cosmo” ordinato e stabile in cui l’uomo è inserito;
il creatore di tutti gli uomini è Dio, dal quale accolgo globalmente il dono
della mia natura, coi suoi limiti e difetti.
2 – Società concreta concepita in
un quadro di immanenza come Regnum (o
regna) hominis. Se nulla esiste sopra l’uomo, l’individuo si sostituisce a
Dio e i valori sono “creati” diversamente da ciascuno (relativismo); la realtà,
architettata dall’individuo per sé e su propria misura, è eternamente in
evoluzione e l’identità dell’uomo è vissuta diversamente secondo infinite
ideologie. I limiti evidenti della natura umana sono illogicamente usati dagli
atei aggressivi per “dimostrare” l’inesistenza di Dio.
Vedi A. MacINTYRE, Dopo la virtù. Saggio di teologia morale,
Armando, Roma 2007.
III
E’ necessario
chiedersi a quale felice approdo abbiano condotto le tre sbandierate
“conquiste” della rivoluzione illuministica.
Esistono oggi
movimenti di pensiero od organizzazioni di commercio (come ad esempio New Age,
Scientology) che minano l’espressione globale dei valori specificamente umani.
Sono gruppi di potere anti-religiosi, che si oppongono all’espressione della
Chiesa, comunità di Padre e fratelli, alquanto diversa dalla “fraternità” che fa da legame
all’interno della Massoneria; o gruppi anti-etici, che disprezzano e deridono
ogni norma regolatrice dell’amore o della libertà; o gruppi anti-sociali, che
seguendo il profeta Rousseau individuano nella nascita della società civile il
“peccato originale” dell’umanità; o anti-umanistici, che si danno da fare per
nullificare ogni oggettiva distinzione tra noi e gli animali
(spiritualizzazione di questi, abbassamento dell’uomo), tra noi e Dio (delirio
umano di onnipotenza, abbassamento della divinità).
I motivi che
giustificano le scelte aberranti possono essere per esempio l’istinto
demolitorio delle forme associative stabili e costruttive, perché impegnative
per l’individuo; o incalcolabili interessi economici, facilmente occultabili da
note “sovranazionali”; o il bisogno di dominare i propri simili, giustificabile
con lo strombazzato culto del “popolo” (si ricordi il paradiso realizzato dal
“Grande Padre” Stalin). Dov’è andata a cacciarsi l’agognata “uguaglianza”? I mezzi di questa
diffusione globale sono costituiti da tutte le forme, vecchie e nuove, di
“mezzi di comunicazione”; che oggi sono diventati non solo “suasori”, ma anche
dominatori occulti, con la forza della parola e delle immagini che disabitua a
ragionare e saggiamente valutare. E ci chiediamo: dov’è andata a finire la “libertà”, teorizzata economicamente
nell’utilitarismo alla Bentham e Stuart Mill, oppure stigmatizzata fin dal suo
inizio coll’esclamazione di M.me Roland in cammino verso la ghigliottina: “Oh
Liberté, que de crimes on commet en ton nom!”?
IV
Ci chiediamo
chi e che cosa è stato danneggiato da questa epocale deriva. Possiamo esemplificare
con la morte della tradizione (L’imagination au pouvoir), col fallimento della
famiglia (Il Matrimonio è la morte dell’amore), che non riesce a educare i figli,
predisponendo così l’avvento di altri disadattati; con la delegittimazione di
ogni autorità (Vietato vietare); con l’eliminazione della vita del più debole
(Il diritto di aborto, si dice, è una conquista della nostra società);
coll’abbandono del coniuge più indifeso o nei momenti delle massime difficoltà
(Non si può imporre l’amore coi carabinieri); con la turlupinatura del diritto
dei semplici ad essere onestamente informati (mentre la pubblicità è spesso un
insulto all’intelligenza). Domandiamoci se questa splendente deriva, che dura
da secoli, ci ha fatto raggiungere, oltre un claudicante benessere, la vera
felicità.
Nell’intento
di ovviare a questi disordini, le autorità civili propongono spesso rimedi che
privilegiano la repressione (perché non disturba i “poteri forti”) ed evitano
il faticoso impegno di eradicare il male dalla sua “preparazione”. Per esempio
riteniamo che sarebbe saggio prevenire il femminicidio educando i giovani a
capire che l’amore non s’identifica automaticamente col sesso, e che non esiste
il diritto di assoggettare l’altro considerato come una “cosa” di proprietà.
V
Poiché la
misura delle cose è di solito riferita al parametro “uomo”, possiamo
individuare due concezioni della nostra giusta relazione con la realtà al di
fuori di noi:
1 - Una chiusa, piatta, egocentrata, che vede l’individuo come un assoluto,
dominatore di tutta la realtà; che prepara di fatto la strada alle ideologie
ateistiche e non personalistiche conducenti a un totalitarismo della materia o
dello Stato.
2 - Un’altra concezione che si apre in direzione personalistica verso
il basso, ritenendo gli animali a noi simili solo nella biologia, e riconoscendo
verso l’alto la relazione fondamentale col superiore Tu divino, a noi simile
nella qualità di persona autocosciente e libera; mentre si apre in orizzontale
a un dialogo paritetico coi i Tu degli uomini.
E’ utile la lettura di alcuni
saggi dei filosofi dell’ambito personalista, come E. Mounier. M. Buber, M.
Scheler, J. Maritain, G. Marcel, R. Guardini.
Le due concezioni
si manifestano nella considerazione di due valori tra quelli sopra nominati,
che possono essere visti nella loro espressione globale continuativa, ma anche
in quella impoverita e parziale. Sulle orme del dannunziano Andrea Sperelli (Il
Piacere) si tende sempre più a ridurre l’amore
umano a un fenomeno travolgente e puntuale, che normalmente conduce al
succedersi di rapporti limitati nel tempo, rifuggendo da qualsiasi stabilità.
Ma la natura umana rettamente interpellata ci orienta verso un amore che sia
connotato da impegni durevoli in una vita serena e costruttiva, normalmente
realizzata in una famiglia che non abiti come i sognati “due cuori in una
capanna”. L’individuo pretende di dare sfogo a qualsiasi pulsione anche
distruttiva, appellandosi a una libertà
concepita come indipendenza dell’individuo da ogni norma naturale, o sociale o
religiosa; che conduce fatalmente all’anomia o anarchia, magari imposte con
sistemi mediaticamente o politicamente totalitari. Ma la concezione sana della
libertà parla di una capacità di realizzarsi reciprocamente come esseri umani
con scelte personali.
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