lunedì 22 luglio 2013

Crisi dell'antropologia valoriale



CIVILTA’ IN DECLINO

I
Confrontando i nostri valori fondamentali - vita, persona, famiglia, amore, libertà – con la concezione dell’Oriente (olismo immanentistico, esoterismo monista, panpsichismo, annullamento dell’Io nel Sé, metempsicosi) possiamo costatare che stiamo perdendo il “senso” di orientamento della nostra civiltà. Ma possiamo aggiungere: della civiltà umana. Se definiamo la natura come il “grado di essere” di un ente, dobbiamo purtroppo riconoscere che il non rispetto della “natura” fisico-biologica e della natura umana si rivela sempre più come un arrecare autolesionisticamente un danno irreparabile al creato.

II
Nella storia della nostra civiltà possiamo schematizzare quattro successivi gradini in discesa sui linguaggi e i punti essenziali di riferimento. Col Medioevo la teologia aveva posti questi ultimi nella rivelazione; coll’Umanesimo e Illuminismo la filosofia li ha spostati nella ragione; col Positivismo le scienze sperimentali li hanno trovati nella misurabilità dei fenomeni “naturali”; coll’età moderna il dominio della tecnica li ha confinati nelle attitudini pratiche.
Quali sono le principali sorgenti che originano questa alluvione devastante? L’umanesimo illuministico nell’ispirazione atea o anticristiana, il positivismo nella sua forma scientista, un tipo di storicismo per cui il procedere della storia porta infallibilmente al progresso, il libertarismo e comunitarismo aberranti (rispettivamente: libertà senza giustizia, e “giustizia” senza libertà), l’esistenzialismo che, concentrato solo sul presente e sull’individuo come vuole Sartre (L’enfer, c’est les autres), tende a squalificare ogni metafisica, l’irrazionalismo nichilistico marcato Nietzsche che riduce l’uomo alla dimensione dionisiaca.
            Abbiamo nominato più volte l’Illuminismo – intendendo con ciò l’Illuminismo ateo (o vagamente deista) - perché lo riteniamo la causa principale del capovolgimento della scala dei valori che si collocano alla base di ogni civiltà umana. Vediamo il motivo esaminando due concezioni ontologiche (infatti rispondono alle domande “chi è Dio”, “chi è l’uomo”) nella loro concretizzazione nella società umana:
1 – Società ideale concepita in un quadro di trascendenza come Regnum Dei. Se esiste Dio, i valori umani sono dati stabilmente nella natura di ogni uomo (realismo); l’universo è “cosmo” ordinato e stabile in cui l’uomo è inserito; il creatore di tutti gli uomini è Dio, dal quale accolgo globalmente il dono della mia natura, coi suoi limiti e difetti.
2 – Società concreta concepita in un quadro di immanenza come Regnum (o regna) hominis. Se nulla esiste sopra l’uomo, l’individuo si sostituisce a Dio e i valori sono “creati” diversamente da ciascuno (relativismo); la realtà, architettata dall’individuo per sé e su propria misura, è eternamente in evoluzione e l’identità dell’uomo è vissuta diversamente secondo infinite ideologie. I limiti evidenti della natura umana sono illogicamente usati dagli atei aggressivi per “dimostrare” l’inesistenza di Dio.
Vedi A. MacINTYRE, Dopo la virtù. Saggio di teologia morale, Armando, Roma 2007.

III
E’ necessario chiedersi a quale felice approdo abbiano condotto le tre sbandierate “conquiste” della rivoluzione illuministica.
Esistono oggi movimenti di pensiero od organizzazioni di commercio (come ad esempio New Age, Scientology) che minano l’espressione globale dei valori specificamente umani. Sono gruppi di potere anti-religiosi, che si oppongono all’espressione della Chiesa, comunità di Padre e fratelli, alquanto diversa dalla “fraternità” che fa da legame all’interno della Massoneria; o gruppi anti-etici, che disprezzano e deridono ogni norma regolatrice dell’amore o della libertà; o gruppi anti-sociali, che seguendo il profeta Rousseau individuano nella nascita della società civile il “peccato originale” dell’umanità; o anti-umanistici, che si danno da fare per nullificare ogni oggettiva distinzione tra noi e gli animali (spiritualizzazione di questi, abbassamento dell’uomo), tra noi e Dio (delirio umano di onnipotenza, abbassamento della divinità).
I motivi che giustificano le scelte aberranti possono essere per esempio l’istinto demolitorio delle forme associative stabili e costruttive, perché impegnative per l’individuo; o incalcolabili interessi economici, facilmente occultabili da note “sovranazionali”; o il bisogno di dominare i propri simili, giustificabile con lo strombazzato culto del “popolo” (si ricordi il paradiso realizzato dal “Grande Padre” Stalin). Dov’è andata a cacciarsi l’agognata “uguaglianza”? I mezzi di questa diffusione globale sono costituiti da tutte le forme, vecchie e nuove, di “mezzi di comunicazione”; che oggi sono diventati non solo “suasori”, ma anche dominatori occulti, con la forza della parola e delle immagini che disabitua a ragionare e saggiamente valutare. E ci chiediamo: dov’è andata a finire la “libertà”, teorizzata economicamente nell’utilitarismo alla Bentham e Stuart Mill, oppure stigmatizzata fin dal suo inizio coll’esclamazione di M.me Roland in cammino verso la ghigliottina: “Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!”?

IV
Ci chiediamo chi e che cosa è stato danneggiato da questa epocale deriva. Possiamo esemplificare con la morte della tradizione (L’imagination au pouvoir), col fallimento della famiglia (Il Matrimonio è la morte dell’amore), che non riesce a educare i figli, predisponendo così l’avvento di altri disadattati; con la delegittimazione di ogni autorità (Vietato vietare); con l’eliminazione della vita del più debole (Il diritto di aborto, si dice, è una conquista della nostra società); coll’abbandono del coniuge più indifeso o nei momenti delle massime difficoltà (Non si può imporre l’amore coi carabinieri); con la turlupinatura del diritto dei semplici ad essere onestamente informati (mentre la pubblicità è spesso un insulto all’intelligenza). Domandiamoci se questa splendente deriva, che dura da secoli, ci ha fatto raggiungere, oltre un claudicante benessere, la vera felicità.
Nell’intento di ovviare a questi disordini, le autorità civili propongono spesso rimedi che privilegiano la repressione (perché non disturba i “poteri forti”) ed evitano il faticoso impegno di eradicare il male dalla sua “preparazione”. Per esempio riteniamo che sarebbe saggio prevenire il femminicidio educando i giovani a capire che l’amore non s’identifica automaticamente col sesso, e che non esiste il diritto di assoggettare l’altro considerato come una “cosa” di proprietà.

V
Poiché la misura delle cose è di solito riferita al parametro “uomo”, possiamo individuare due concezioni della nostra giusta relazione con la realtà al di fuori di noi:
1 - Una chiusa, piatta, egocentrata, che vede l’individuo come un assoluto, dominatore di tutta la realtà; che prepara di fatto la strada alle ideologie ateistiche e non personalistiche conducenti a un totalitarismo della materia o dello Stato.
2 - Un’altra concezione che si apre in direzione personalistica verso il basso, ritenendo gli animali a noi simili solo nella biologia, e riconoscendo verso l’alto la relazione fondamentale col superiore Tu divino, a noi simile nella qualità di persona autocosciente e libera; mentre si apre in orizzontale a un dialogo paritetico coi i Tu degli uomini.
E’ utile la lettura di alcuni saggi dei filosofi dell’ambito personalista, come E. Mounier. M. Buber, M. Scheler, J. Maritain, G. Marcel, R. Guardini.
Le due concezioni si manifestano nella considerazione di due valori tra quelli sopra nominati, che possono essere visti nella loro espressione globale continuativa, ma anche in quella impoverita e parziale. Sulle orme del dannunziano Andrea Sperelli (Il Piacere) si tende sempre più a ridurre l’amore umano a un fenomeno travolgente e puntuale, che normalmente conduce al succedersi di rapporti limitati nel tempo, rifuggendo da qualsiasi stabilità. Ma la natura umana rettamente interpellata ci orienta verso un amore che sia connotato da impegni durevoli in una vita serena e costruttiva, normalmente realizzata in una famiglia che non abiti come i sognati “due cuori in una capanna”. L’individuo pretende di dare sfogo a qualsiasi pulsione anche distruttiva, appellandosi a una libertà concepita come indipendenza dell’individuo da ogni norma naturale, o sociale o religiosa; che conduce fatalmente all’anomia o anarchia, magari imposte con sistemi mediaticamente o politicamente totalitari. Ma la concezione sana della libertà parla di una capacità di realizzarsi reciprocamente come esseri umani con scelte personali.

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