mercoledì 26 giugno 2013

Messaggio e linguaggi nella Bibbia



LA BIBBIA : PAROLA E VOCE

I
Dobbiamo individuare un concetto di “ispirazione” che, nello studio della formazione dei libri biblici da svariate fonti, regga di fronte a tre “inconvenienti”:
a) all’utilizzo ideologico e isolato di metodi di studio come quello “storico-critico”, considerando la Bibbia alla stregua dell’Odissea o dell’Eneide, mentre essa è un messaggio di illuminazione e salvezza;
b) alla difficile accettazione di fatti e affermazioni bibliche che non si accordino coi risultati della ricerca storica, con il buon senso, col concetto recepito di religione e con la morale comune; e che quindi si mostrino inadatti per una mentalità raffinata come la nostra (sono innumerevoli le contraddizioni nei testi legislativi o storici; sono tre i salmi completamente esclusi nella recente riforma della Liturgia delle Ore…..);
c) la sorprendente esistenza di diverse riletture di approfondimento di detti e gesti dei grandi personaggi. Solo chi non ha consuetudine con la Bibbia può per esempio ignorare la diversità dei contenuti  fra i tre vangeli sinottici (il discorso della montagna, il vangelo dell’infanzia….) e fra questi e il IV vangelo (la teologia eucaristica, l’esperienza del Getsemani…)
Ragion per cui diventa una ingenuamente ottimistica proposta quella di mettere la Bibbia in mano a qualsiasi fedele, di qualsiasi età, livello culturale e formazione spirituale. Ciò conduce a un uso “pietistico” che si avvicina al miracolistico, chiamando indebitamente in causa l’azione dello Spirito santo; oppure all’applicazione della lettura coll’individualistico  “libero esame” che apre l’accesso a contraddittorie interpretazioni.
Evidentemente è superato da molto tempo il concetto di “dettatura meccanica” o di “ispirazione verbale”, che conduce a un automatismo poco intelligente nell’accettare qualsiasi frase della Bibbia, come nel caso dei “creazionisti” letteralisti che negli Usa combattono una battaglia persa contro le acquisizioni più evidenti di paleontologia, storia, scienze naturali (si chiedono per es. come ha fatto Giona a sopravvivere nel ventre del cetaceo). Ma non sembra che tutti gli operatori pastorali se ne siano veramente accorti.

II
A un primo approccio possiamo collegare prevalentemente la Parola di Dio alla rivelazione, e la Scrittura all’ispirazione
Sappiamo che il vocabolo ebraico “dabar” assume due significati: parola ed evento; di modo che raggiunge un’importanza sconosciuta nelle nostre lingue: è un atto efficace di Dio e uno strumento esecutivo della sua volontà, è il contenuto dell’anima, è il fondo di una cosa. Insomma possiamo dire che, all’inizio del IV vangelo, “è Dio nel suo operare, è Dio che si rivela”. (Queste espressioni sono prese dalla voce “Parola” di B. Corsani nel NDTB delle edizioni Paoline)
Teniamo conto che la Parola di Dio prototipo e fatta persona è il Verbo incarnato, centro assoluto di ogni rivelazione e criterio unico per comprendere sinteticamente i due “testamenti”.

III
Non è giusto partire “a priori” affermando che la Bibbia è esclusivamente Parola di Dio, e che quindi deve essere accettata letteralmente, senza ermeneutica. Questo è dovuto al fatto evidente che la Bibbia - sul modello Parola/Voce (Agostino) - è sì Parola di Dio, ma espressa nelle parole degli uomini.
Dobbiamo soprattutto distinguere due cose: le parole e il messaggio
In quelle “parole” che leggiamo, ancorché prese da fonti o culture profane (chiedendosi se per es. si riscontrino delle analogie col codice di Hammurapi, per il Codice dell’alleanza; o coll’Inno al Sole di Amenofi IV, per Sal 104; o se sia utile tener conto della letteratura di Ugarit, per l’insieme dei Salmi), c’è il “messaggio” che Dio vuol comunicare al suo Popolo, anzi all’umanità, secondo i ritmi assai lenti della maturazione nel pensiero filosofico-religioso e nella vita antropologico-morale.
L’agiografo ha espresso  il messaggio con quella concezione teologica che era propria della sua comunità religiosa, nel suo secolo, nella sua lingua, nella sua cultura (nel caso dell’ambiente semitico, si deve tener conto dell’importanza alla narrazione significante e del simbolismo). Questi strati col proprio linguaggio sono rilevati dagli esegeti e il messaggio è proposto dall’ermeneutica della comunità religiosa che, nel nostro tempo, legge i testi biblici.
Un esempio paradigmatico della necessità di separare queste due letture è dato dall’interpretazione della prima escatologia paolina proposta da Ortensio da Spinetoli in “Lettere ai tessalonicesi” (edizioni Paoline): a) al termine di questa esistenza, i fedeli saranno per sempre col Cristo parusiaco (messaggio rivelato); b) Paolo si serve dei particolari immaginifici contestualizzanti appresi nella sua formazione culturale giudaico-rabbinica precedente l’incontro col Cristo (traduzione nel linguaggio esplicativo dell’apostolo). Si potrebbe sintetizzare questo concetto in due frasi: l’escatologia  esprime la situazione definitiva dell’uomo e del cosmo / l’apocalittica descrive gli eventi finali di questa storia (“eone”).
Un esempio di non superficiale evoluzione dell’insegnamento su un argomento teologico e morale è lo sviluppo che contrassegna le forme di retribuzione nell’AT e nel NT (vedi lo studio di Sr. Jeanne d’Arc in AA.VV., Grandi temi biblici, Paoline, Alba 1968, 165-176).
Per questi motivi la “lettera”, per poter raggiungere i credenti secondo la comprensione voluta dallo “Spirito/spirito”, ha bisogno della mediazione della comunità credente (tradizione, magistero) e degli esperti della materia (biblisti e teologi).
Dobbiamo esser grati al grande Pontefice Pio XII per aver innovato affermando la necessità del ricorso ai “generi letterari” nell’esegesi ed ermeneutica. Altro è infatti il “resoconto” storico (secondo una concezione molto lontana dalla nostra), altro la sentenza sapienziale e la celebrazione liturgica, altro infine la predicazione profetica.

IV
Se la Scrittura è la Parola di Dio scritta, a chi spetta il titolo di suo “autore”? Riprendendo la distinzione precedentemente dichiarata, possiamo dire – facendo ricorso ai termini usati da S. Tommaso, Leone XIII e il concilio Vaticano II - che il messaggio è opera di Dio come autore principale, mentre il linguaggio è opera degli uomini, veri autori, benché secondari.
Portiamo l’esempio del messaggio che la dottrina cristiana vuol comunicare su Maria SS.ma, sul suo mistero, sulla sua santità, sulla sua funzione, eccetera.
  • sui vari episodi della vita di Maria (Annunciazione, Visitazione, Natale, Presentazione, Cana, al Calvario)
  • sviluppando sul Natale, il tempo dell’attesa, la nascita del figlio, le cure materne, l’adorazione dei “magi”…
  • ricorrendo alle varie forme artistiche (edificio sacro, affresco, vetrate…)
  • esprimendosi secondo le varie epoche della storia delle arti figurative (iconografia delle catacombe o della chiesa d’Oriente, preraffaelliti, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Tiziano…).

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