LA BIBBIA : PAROLA E VOCE
I
Dobbiamo
individuare un concetto di “ispirazione” che, nello studio della formazione dei
libri biblici da svariate fonti, regga di fronte a tre “inconvenienti”:
a) all’utilizzo
ideologico e isolato di metodi di studio come quello “storico-critico”,
considerando la Bibbia
alla stregua dell’Odissea o dell’Eneide, mentre essa è un messaggio di
illuminazione e salvezza;
b) alla
difficile accettazione di fatti e affermazioni bibliche che non si accordino coi
risultati della ricerca storica, con il buon senso, col concetto recepito di
religione e con la morale comune; e che quindi si mostrino inadatti per una
mentalità raffinata come la nostra (sono innumerevoli le contraddizioni nei
testi legislativi o storici; sono tre i salmi completamente esclusi nella
recente riforma della Liturgia delle Ore…..);
c) la
sorprendente esistenza di diverse riletture di approfondimento di detti e gesti
dei grandi personaggi. Solo chi non ha consuetudine con la Bibbia può per esempio ignorare
la diversità dei contenuti fra i tre vangeli
sinottici (il discorso della montagna, il vangelo dell’infanzia….) e fra questi
e il IV vangelo (la teologia eucaristica, l’esperienza del Getsemani…)
Ragion per cui
diventa una ingenuamente ottimistica proposta quella di mettere la Bibbia in mano a qualsiasi
fedele, di qualsiasi età, livello culturale e formazione spirituale. Ciò
conduce a un uso “pietistico” che si avvicina al miracolistico, chiamando
indebitamente in causa l’azione dello Spirito santo; oppure all’applicazione
della lettura coll’individualistico
“libero esame” che apre l’accesso a contraddittorie interpretazioni.
Evidentemente
è superato da molto tempo il concetto di “dettatura meccanica” o di
“ispirazione verbale”, che conduce a un automatismo poco intelligente
nell’accettare qualsiasi frase della Bibbia, come nel caso dei “creazionisti”
letteralisti che negli Usa combattono una battaglia persa contro le
acquisizioni più evidenti di paleontologia, storia, scienze naturali (si
chiedono per es. come ha fatto Giona a sopravvivere nel ventre del cetaceo). Ma
non sembra che tutti gli operatori pastorali se ne siano veramente accorti.
II
A un primo
approccio possiamo collegare prevalentemente la Parola di Dio alla
rivelazione, e la Scrittura
all’ispirazione
Sappiamo che
il vocabolo ebraico “dabar” assume
due significati: parola ed evento; di modo che raggiunge un’importanza
sconosciuta nelle nostre lingue: è un atto efficace di Dio e uno strumento
esecutivo della sua volontà, è il contenuto dell’anima, è il fondo di una cosa.
Insomma possiamo dire che, all’inizio del IV vangelo, “è Dio nel suo operare, è
Dio che si rivela”. (Queste espressioni sono prese dalla voce “Parola” di B.
Corsani nel NDTB delle edizioni
Paoline)
Teniamo conto
che la Parola
di Dio prototipo e fatta persona è il Verbo incarnato, centro assoluto di ogni
rivelazione e criterio unico per comprendere sinteticamente i due “testamenti”.
III
Non è giusto
partire “a priori” affermando che la
Bibbia è esclusivamente Parola di Dio, e che quindi deve essere
accettata letteralmente, senza ermeneutica. Questo è dovuto al fatto evidente
che la Bibbia
- sul modello Parola/Voce (Agostino) - è sì Parola di Dio, ma espressa nelle parole degli uomini.
Dobbiamo soprattutto
distinguere due cose: le parole e il messaggio
In quelle “parole” che leggiamo, ancorché prese
da fonti o culture profane (chiedendosi se per es. si riscontrino delle
analogie col codice di Hammurapi, per il Codice dell’alleanza; o coll’Inno al
Sole di Amenofi IV, per Sal 104; o se sia utile tener conto della letteratura
di Ugarit, per l’insieme dei Salmi), c’è il “messaggio” che Dio vuol comunicare al suo Popolo, anzi all’umanità,
secondo i ritmi assai lenti della maturazione nel pensiero filosofico-religioso
e nella vita antropologico-morale.
L’agiografo ha
espresso il messaggio con quella concezione teologica che era propria della sua
comunità religiosa, nel suo secolo, nella sua lingua, nella sua cultura (nel
caso dell’ambiente semitico, si deve tener conto dell’importanza alla
narrazione significante e del simbolismo). Questi strati col proprio linguaggio sono rilevati dagli esegeti
e il messaggio è proposto dall’ermeneutica della comunità religiosa che,
nel nostro tempo, legge i testi biblici.
Un esempio
paradigmatico della necessità di separare queste due letture è dato
dall’interpretazione della prima escatologia paolina proposta da Ortensio da
Spinetoli in “Lettere ai tessalonicesi”
(edizioni Paoline): a) al termine di questa esistenza, i fedeli saranno per
sempre col Cristo parusiaco (messaggio rivelato); b) Paolo si serve dei
particolari immaginifici contestualizzanti appresi nella sua formazione
culturale giudaico-rabbinica precedente l’incontro col Cristo (traduzione nel linguaggio
esplicativo dell’apostolo). Si potrebbe sintetizzare questo concetto in due
frasi: l’escatologia esprime la
situazione definitiva dell’uomo e del cosmo / l’apocalittica descrive gli
eventi finali di questa storia (“eone”).
Un esempio
di non superficiale evoluzione dell’insegnamento su un argomento teologico e
morale è lo sviluppo che contrassegna le forme di retribuzione nell’AT e nel NT
(vedi lo studio di Sr. Jeanne d’Arc in AA.VV., Grandi temi biblici, Paoline, Alba 1968, 165-176).
Per questi
motivi la “lettera”, per poter
raggiungere i credenti secondo la comprensione voluta dallo “Spirito/spirito”, ha bisogno della
mediazione della comunità credente (tradizione, magistero) e degli esperti della
materia (biblisti e teologi).
Dobbiamo esser
grati al grande Pontefice Pio XII per aver innovato affermando la necessità del
ricorso ai “generi letterari” nell’esegesi ed ermeneutica. Altro è infatti il
“resoconto” storico (secondo una concezione molto lontana dalla nostra), altro
la sentenza sapienziale e la celebrazione liturgica, altro infine la
predicazione profetica.
IV
Se la Scrittura è la Parola di Dio scritta, a
chi spetta il titolo di suo “autore”? Riprendendo la distinzione
precedentemente dichiarata, possiamo dire – facendo ricorso ai termini usati da
S. Tommaso, Leone XIII e il concilio Vaticano II - che il messaggio è opera di Dio come autore principale, mentre il linguaggio è opera degli uomini, veri autori,
benché secondari.
Portiamo l’esempio
del messaggio che la dottrina cristiana vuol comunicare su Maria SS.ma, sul suo
mistero, sulla sua santità, sulla sua funzione, eccetera.
- sui vari episodi della vita di Maria (Annunciazione, Visitazione, Natale, Presentazione, Cana, al Calvario)
- sviluppando sul Natale, il tempo dell’attesa, la nascita del figlio, le cure materne, l’adorazione dei “magi”…
- ricorrendo alle varie forme artistiche (edificio sacro, affresco, vetrate…)
- esprimendosi secondo le varie epoche della storia delle arti figurative (iconografia delle catacombe o della chiesa d’Oriente, preraffaelliti, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Tiziano…).
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