martedì 16 aprile 2013

Divina filiazione e verginità


PERENNE VERITA’ E NUOVE FORMULAZIONI SULL’ORIGINE DI GESU’ CRISTO

Antonio Contri

I – Domande e dubbi di partenza

1 - Alla conclusione pel percorso teologico-magisteriale di comprensione del dato rivelato, la riflessione si è posta una duplice domanda:
  • Come possiamo unire le due affermazioni “Gesù Figlio di Dio e figlio di Maria” e  “unica persona.”?
  • Il concepimento verginale ha una funzione essenziale nell’affermazione della filiazione divina?

Una riposta tanto semplice quanto comune dice
            * che Gesù è Figlio naturale di Dio, in quanto è Dio, generato dall’eternità
            * che è figlio di Maria in quanto uomo, creato da Dio e generato da lei in un preciso momento della storia.
Il fedele comune può comprendere l’affermazione come se il divin Padre si fosse sostituito biologicamente alla funzione di un padre terreno. Invece il discorso è ontologico e teologico.

2 - Facciamo cenno all’opinione di qualche teologo il quale ritiene che Maria non propriamente genera Gesù, ma lo riceve in quanto madre[1]. Dio lo crea donandolo e la Madre lo genera accogliendolo. Anzi si precisa che Gesù ha origine per creazione. Ma obiettiamo:
  • che la creazione sarebbe una produzione “ex nihilo”; mentre Maria è sempre chiamata madre, quindi generatrice
  • che Gesù proviene “ex Maria virgine” e non passa “per” Maria, come dicevano doceti e proto-gnostici. Con la generazione umana Gesù deriva dal genere umano e s’inserisce in esso.  Cfr Eb 2,11.14: “Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine”; “Poiché i figli hanno in comune la carne e il sangue, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe”.


II – Principi filosofici e teologici

A – FILOSOFICI

Dobbiamo comprendere nel profondo il concetto di “creazione”: più che “dare inizio a un nuovo essere”, esso consiste nell’affermare la “dipendenza totale nell’essere” del creato dal donatore[2].
Dio inoltre può partecipare la sua virtù produttiva ad altri esistenti, come nei casi della generazione naturale di ogni nuovo essere umano (che per i genitori[3] si chiama appunto pro-creazione), o della creazione evolutiva.

Mentre creare è partecipare l’essere ad una natura diversa, generare è far partecipare alla natura del generante
Esistono due modi d’intendere l’azione di Dio in relazione a quella dell’uomo:
  • Causalità categoriale: Dio interviene direttamente ad intervalli nelle vicende del creato come una causa all’interno della serie delle cause seconde e accanto ad esse
  • Causalità trascendentale: Dio attua interamente il tutto; causa lo stesso operare della creatura e rende possibile la sua operazione; eleva dall’interno l’azione della  creatura  a fare ciò che naturalmente essa non è in grado di operare[4].

B – TEOLOGICI

Il donatore totale è evidentemente sempre Dio; l’uomo invece è sempre strumento, o cooperatore, che viene elevato a produrre (per partecipazione) un effetto superiore all’azione propria della natura umana. Questa impostazione è comunemente accettata nell’argomento dell’ispirazione biblica, quando si afferma che Dio è l’autore principale e l’uomo l’autore secondario. Infatti Pio XII afferma che “l’agiografo nello scrivere il libro sacro è organo, ossia strumento, dello Spirito Santo”[5]

Le azioni del Dio Trino e Uno possono essere distinte in:
  • azioni “ad intra” (per es. la generazione del Figlio)
  • azioni “ad extra” (per es. la creazione del mondo)
Queste ultime, secondo la teologia tradizionale, sono comuni alla tre divine Persone. Però vedremo che, sulla generazione di Gesù, il discorso può essere modulato in forma diversa.

San Tommaso insegna che la “missione” riveste un duplice aspetto:
a)      essa comporta la “processione” da un principio;
b)      ne determina il termine temporale [6]
Quindi la “missione” può includere la “processione” eterna coll’aggiunta dell’effetto temporale, oppure essere solo temporale.


III – Come la teologia recente presenta il mistero della generazione del Figlio dal Padre e del concepimento verginale di Gesù da parte della Madre

A – AFFERMAZIONI BIBLICHE

E’ necessario porre in confronto e dipendenza due testi famosi, uno dell’AT e l’altro del NT.

I - Duplice origine dell’uomo secondo le due visioni teologiche nella Genesi

            1° - L’uomo creato a immagine (eikòn) del Creatore (fonte P)

1,26-27              Creato a immagine e somiglianza di Dio; cioè della sua non materialità e della sua fecondità
               (trascurando il discorso sulla morte)
1,28        “signore” del creato
Nota. In 2Cor 4,4; Col 1,15 Cristo è detto eikòn di Dio.

            2°- L’uomo formato in distinzione esistenziale e in libera opposizione a Dio (fonte J)

2,7          uomo vivente, tratto dalla polvere del  suolo
2,21-23   donna a somiglianza dell’uomo, ricavata dal suo corpo
2,8          Dio crea un nuovo ambito antropologico, significato dal “gan” (coll’albero della vita)
2, 17       Dio legislatore pone il limite della creatura, con la relativa proibizione e sanzione (la morte) 
               (anche 3,3)
3,5          Non accettazione del limite etico (albero del bene-male); (anche 3,22a)
3,7          uomo e donna riconoscono la loro “carnalità” (anche 3,21)
3,16-19   sanzione nella “pesantezza” o “carnalità”, e mortalità (anche 3,22b)

Abbiamo qui il confronto
  • tra un uomo, arco proteso in linea verticale e posto in relazione con Dio e coll’immensità dell’universo
  • e un uomo, arco teso in linea orizzontale e posto in relazione con gli animali e la concretezza della terra[7].

Nella tradizione si sarebbero potute poi distinguere due azioni:
-          enanthròpesis: creazione dell’uomo come uscito dalla mano di Dio, a lui somigliante e vivente per sempre, avente solo il limite creaturale (uomo “pneumatico”)
-          (en)sàrkosis: formazione dell’uomo nella fragilità e mortalità, avente anche un limite esistenziale (uomo “sarchico”)[8]

I/a - Soltanto nel NT, sul modello del Cristo risorto nel quale i cristiani sono con-risorti, ci sarà rivelata la nostra sorte futura. In una situazione di nuova creazione, di fine dei tempi, in cui ci è data una ”vita eterna”, dobbiamo distinguere l’escatologia del “già” e quella del “non ancora”[9]. Alcuni passi che affermano quest’ultima sono: 1Ts 4,14.17; Rm 6,4s.8; 8,23.29s; 1Cor 15,47-54; 2Cor 4,10 – 5,8; Fil 3,11.14.20s; Col 3,4; Eb 10,14; Gv 6.

II – Sul modello della duplice teologia della creazione dell’uomo, proviamo a leggere le diverse fasi della vicenda di Gesù Cristo descritte nell’importante inno, probabilmente pre-paolino[10], di Fil 2, 6-11 [11]

Teniamo conto che non rientrava nell’orizzonte del Paolo delle lettere autentiche affermare l’esistenza  di una persona (hypòstasis) divina in Cristo Gesù; che non viene chiamato Logos, Figlio e tantomeno Dio. Al fine del modulo identificativo col Cristo proposto ai primi cristiani era adeguato parlare del divenire, del venire-riconosciuto (dagli uomini e da Dio), dell’essere manifestato.

Nota   Solo nelle “illuminazioni” successive della rivelazione si comprenderà che questo Messia Signore:
-          è il Figlio (Col 1,13.15; Eb 1,2.5-8; Gv 1,18) ed infine il Logos (Gv 1,1-2)
-          che ha avuto una funzione nella creazione (Col 1,16; Eb 1,2.10; Gv 1,3.10)
-          ha assunto l’umanità (Eb 10,5; Gv 1,14)
-          si è sacrificato per la nostra salvezza (Col 1,14.20; Eb 1,3; 10,6-10)
-          è stato risuscitato ed elevato al cielo (Col 1,18; Eb 9,12)
-          ed era Dio (Gv 20,28)[12]

1 - Proponiamo lo schema delle due fasi storiche della vicenda di Cristo: svuotamento-abbassamento e gloria.

All’inizio del testo si fa un indiretto riferimento a Dio Padre che decide di mandare il Figlio come uomo “pneumatico”, generando Gesù Cristo che si suppone tacitamente avere l’hypòstasis del Figlio. Gesù Cristo aveva quindi il pieno diritto di assumere nell’enanthròpesis caratteristiche “divine”: en morphé [13] theoù, ìsa theò.
1) A queste Gesù Cristo nell’incarnazione, sàrkosis (divenendo quindi uomo “sarchico”), rinuncia scendendo per un duplice gradino: a) nella kénosis [14] (svuotamento), assumendo le caratteristiche del “servo”, morphé doùlou, homòioma anthròpon, euretheìs hos ànthropos; b) nella tapeìnosis  (abbassamento, umiliazione) facendosi obbediente in tutta la sua vita, fino alla morte.
2) Dio Padre, risuscitandolo, gli restituisce la “pneumaticità” e gli attribuisce la caratteristica del “Signore” universale (Cristo éndoxos), che deve essere riconosciuta da tutti.

Possiamo quindi individuare questi passaggi:
-          non rivendicò il privilegio di essere immagine (ìsa) gloriosa di “(un) Dio”, soprattutto in quanto non soggetto alla morte
-          assunse la condizione (morphé) di “servo”, soggetto alla mortalità
-          dall’aspetto (schémati) riconosciuto come (hòs) uomo, immiserì se stesso facendosi (genòmenos) obbediente fino alla morte
-          Iddio (ho theòs) lo innalzò sommamente e gli donò il Nome massimo per un uomo
-          fino a giungere al riconoscimento universale del Nome: Kyrios (che nella LXX è applicato a Dio); osserviamo   che secondo Rm 10,9 il Signore è identificato col Risuscitato.
-          di modo che sia glorificato Dio Padre[15].

Nota. Al posto di “pneumatico” in Gv 1 si potrebbe sostituire “logico”, in quanto il Logos (e io preciserei: il Logos “umanato”) viene compreso da molti come equivalente a Gesù Cristo; inoltre “pneumatico-sarchico” può essere considerato in 1Cor 15, 44-49 uguale a “pneumatico-psichico”, e a “celeste-terrestre”.

La chiave dell’ermeneutica di questo brano sta nella traduzione di morphé, che secondo i vari autori è: condizione, modo di esistere, modo di manifestarsi, forma esteriore di un esistente. Non certo “natura”  (come si traduceva apologeticamente da alcuni per salvare la dogmatica), corrispondente ad ousìa o physis; con l’inconveniente che nel testo c’è: si svuotò (ekénosen). E’ interessante notare che la radice morphé ricorre nell’appendice di Marco (16.12) ed anche nella Trasfigurazione.

L’umiliazione del Cristo ha riscattato la presunzione dell’adàm primitivo. Umiliazione, obbedienza e sofferenza sono accettate per dare la salvezza: nella linea del “Servo del Signore” (Is 52-53) e non in quella per es. del trionfo di Ciro, l’Unto del Signore (Is 45,1). Si può osservare che l’umiliazione di Maria, la quale si dichiara “serva” (Lc 1,48), sta in parallelo coll’umiliazione di Cristo[16]

In conclusione, possiamo dire che l’inno prende in considerazione l’umanazione e l’incarnazione non come fasi realmente successive[17], ma solo virtualmente; perché il Figlio facendosi uomo è entrato “semel” nella storia, non nel segno della dòxa, ma della kénosis. Per questo svuotamento il Padre gli ha conferito la dòxa (kabòd, che ha il significato di “pienezza”, “peso”) definitiva.

-          2 – Pericopi simili

Troviamo due schemi “ampliati” analoghi a Fil 2,6-11, mentre i primi schemi cristologici “bifocali” erano: “Morì / Risuscitò (o: fu risuscitato”) (1Cor 15,3-5) e “Fatto (o:nato) da seme umano / Costituito Figlio di Dio dalla (o: in virtù della) Risurrezione” (Rm 1,3-4).

Nella Lettera agli ebrei possiamo trovare le varie fasi della vicenda di Cristo:
-          Unità di sostanza con Dio e creazione: “Irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza (qui espressa con hypòstasis)” (1,3);  “Per mezzo del Figlio…ha fatto il mondo” (1,2)
-          Umanazione: “Fu fatto di poco inferiore agli angeli” (2,9)
-          Rinuncia alla gloria: “Entrando nel mondo Cristo dice. Un corpo mi hai preparato…” (10,5); I figli e Cristo hanno in comune sangue e carne (2,14; cfr 2,11.17; 4,15; 5,7.9; 7,14; 10,20)
-          Morte: “Entrò nel santuario…in virtù del proprio sangue” (9,12; cfr 10,19); Fu reso perfetto dalla sofferenza (5,8s); “Siamo stati santificati per mezzo dell’offerta  del corpo” (10,10; cfr 2,9)
-          Glorificazione per i meriti della Passione: E’ entrato nel santuario celeste (9,24): “Abbiamo libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova che egli ha inaugurato attraverso il velo, cioè la sua carne” (10,19s); “Sedette alla destra della Maestà nell’alto dei cieli” (1,3; cfr 8,1; 10,12); “Lo vediamo coronato di gloria e onore a causa della morte che ha sofferto” (2,9).

Facendo importanti passi avanti da quanto avevo brevemente sostenuto in uno studio precedente[18], propongo ora con rinnovata esitazione una lettura del testo di Gv 1,1-30 (che viene da alcuni avvicinato a Gen 1,1-31; ma aggiungerei: anche al racconto J).
Il soggetto, che è il Logos, ma che verso la fine viene identificato con Cristo, viene descritto - non per esporre una teologia astratta, ma per sintetizzare la storia della salvezza (vv. 16-18) - in cinque situazioni:
a)      Divinità pretemporale: era presso (pròs; oppure: in relazione a, rivolto verso, alla presenza di) Iddio; era Dio (vv. 1-2); che è verso il (éis, o: nel) seno del Padre (o: accanto al Padre) (v. 18). La luce-vita era in lui (v. 4)
b)      Strumento di creazione: tutto avvenne (tre volte: egéneto) per mezzo di lui….tutto ciò che esiste (gégonen) (vv. 3.10b); la luce splende nelle tenebre (v. 5)
c)      Umanazione: veniva nel mondo la luce vera….era nel mondo (v. 9-10a); un uomo fu fatto (gégonen) avanti a me (meno bene: mi è passato avanti), perché era (én) prima di me (15.30)
d)      Incarnazione: venne tra la sua gente (v. 11); fu (egéneto) carne ed abitò in mezzo a noi (v.14ab)
e)      Glorificazione: contemplammo in lui (attraverso la carne) la gloria dell’Unigenito dal Padre (v. 18cd). Aggiungiamo: c’è anche un accenno al “Nome” (12).
Si noti che egéneto è usato per Giovanni il Battezzatore (6) e per la grazia e la verità (17)
Nell’appressarsi della morte, Cristo chiede al Padre che gli sia restituita quella doxa divina che aveva  prima della fondazione del mondo (Gv 17,5).

Il fondamentale schema del “mistero della Pasqua, che è Cristo”[19], binario in Fil (abbassamento fino alla Morte / innalzamento nella gloria),  è unificato da Eb col Cristo che entra nel cielo col sangue del suo sacrificio; e  da Gv coll’unica elevazione nella Croce e Risurrezione.

B – AFFERMAZIONI MAGISTERIALI

Premettiamo un primo elenco minimale dei vocaboli sui quali si giocano i confronti dei grandi concili trinitari e cristologici:
- ousìa = essenza
- physis = natura
- hypòstasis = soggetto ontologico (ma in pochi casi equivale a ousìa)
- pròsopon = persona in relazione

1) Il concilio di Nicea vuole stabilire la giusta relazione di Dio Padre con suo Figlio Signore. Fa questo usando tre volte la radice di ousìa, e nell’anatematisma considera questa quale sinonimo di hypòstasis (sub-stantia in latino).
Nei concili seguenti però ousìa e physis verranno considerate praticamente equivalenti, benché la prima privilegi il significato statico di “sostanza”, dell’essere (“esse in”), la seconda invece quello di “natura” manifestativa e operativa[20] (“esse ad”).

2) Il concilio di Efeso è prioritariamente cristologico e secondariamente mariano.

Come dobbiamo intendere il titolo di theotòkos proclamato (non formalmente definito) per Maria ad Efeso[21] nell’ambito della cristologia “unionistica” di Cirillo d’Alessandria?
Premesso che tìkto e gennào sono sinonimi, nel senso che ambedue significano sia generare che partorire, ma con una sottolineatura di significati:
a)      generazione  o concepimento conviene più all’ambito “ontologico” (costituzione di una persona)
b)      parto o nascita esprime particolarmente l’aspetto “funzionale” (e quindi manifestativo),
ci possiamo chiedere perché nel testo si usa tre volte gennào e due génnesis e si applica il titolo theotòkos alla Madre, mentre si poteva ricorrere a theogòne. Penso che il termine, a molti secoli dalle acute polemiche anti-nestoriane, possa far pensare maggiormente a un’ affinità con la nascita.
In un ambiente culturale alessandrino (ontologico)[22] non si trovava allora un modo migliore del theotòkos per assicurare l’unità dell’essere personale, vero Dio e vero uomo, in due nature concorrenti nell’unica persona (Calcedonia)
Più che Madre di Dio, Maria deve essere indicata come Madre del Figlio incarnato[23], Madre del Figlio (con la sua ipostasi divina) in quanto si manifesta nel pròsopon umano

3) Già nella “Formula unionis” (anno 433)  - che in più tratti anticipa Calcedonia - si dice: “generato (gennethénta) dal Padre…. e (manca il participio) dalla Madre.

4) Benché lo si ritenga manifestato in due modalità, il pròsopon è uno solo, come professa Calcedonia. In quel contesto storico-culturale infatti si riteneva pròsopon come sinonimo di hypòstasis.

Nella definizione di Calcedonia si dice: “generato dal Padre e (non viene ripetuto “generato”) da Maria la vergine”, mentre le si  attribuisce il titolo di “genitrice di Dio”

5) Riassumendo diciamo
* che nella maggioranza dei Concili (I e II di Costantinopoli e Calcedonese) si assumono come coppie di sinonimi sia ousìa-physis, che hypòstasis-pròsopon; mentre ad Efeso la distinzione corre più semplicemente tra physis e hypòstasis
* che  in una concezione più vicina a noi (iniziata nel III di Costantinopoli), si guarda soprattutto all’aspetto psicologico e operativo: volontà naturale e operazione naturale.

Nota. Abbiamo visto che, in luogo di un impermeabile letteralismo che vuol considerare i vocaboli dei grandi concili come idee “sovra-terresti”, la vera ermeneutica studia il loro variare nel tempo.

C –  RIFLESSIONE TEOLOGICA: Premesse terminologiche e concettuali

1 - Il Dio unico nell’AT è indicato col vocabolo “Iddio”, di chiaro stampo monoteistico; mentre nel NT gli si affianca spesso il vocabolo trinitario “Padre”; per cui il Credo ci dona la professione della nostra fede, che si basa sulla prima affermazione: “Noi crediamo in un solo Dio Padre onnipotente”[24]. “S. Basilio introdusse una nuova formula: ‘Gloria a Dio Padre…con (metà) il Figlio e con (syn) lo Spirito Santo’ (….)”. “Prima della lite ariana, il tipo di dossologia molto più frequente era quello in cui le divine persone erano nominate con le particelle relative: per…in[25]

2 - Premettiamo che
  • il NT usa normalmente “Gesù Cristo” senza fare distinzione tra il Logos preesistente e l’uomo Gesù;
  • La teologia recente ritiene[26] che, se Dio s’incarna, lo può fare, nell’attuale piano salvifico, solo come Dio Figlio
  • la teologia insegna che Cristo, anche come uomo, è Figlio naturale di Dio
  • in Cristo abbiamo una sola persona, che è divina

3 – Proponiamo una distinzione più elaborata
  • fra hypòstasis (centro essenziale), che viene usato prevalentemente per l’essere, per la generazione; quindi si genera una “persona” (in senso ontologico)
  • e pròsopon (centro manifestativo della “persona”) [27] , che viene usato prevalentemente per l’uscire “ad extra”, il presentarsi, la nascita, il “venire al mondo”.
E’ da notare che la seconda lettera di Cirillo a Nestorio[28], solennemente approvata ad Efeso, afferma che l’unione del Verbo con la carne  è avvenuta secondo l’hypòstasis; e precisa: “non per l’assunzione solo di un pròsopon”. Ciò conferma che i due termini, in quel concilio, non erano considerati perfetti sinonimi.

Perché oggi possiamo parlare di una duplicità del pròsopon (“personalità” relazionale, divina e umana)?
-          Mentre nella cristologia ontologico-statica dell’Incarnazione (definita solennemente a Calcedonia), Cristo, vero uomo e vero Dio, presenta il pròsopon umano,
-          secondo la cristologia funzionale della Pasqua, Cristo uomo nel Risuscitamento assume il pròsopon divino, nel quale “abbiamo contemplato la sua gloria” (Gv 1,14; cfr 1, 18; 14,9; 17,5; 1Gv 1,1-3), per il quale l’apostolo Tommaso lo ha riconosciuto Signore e Dio (Gv 20,28).

4 - Proponiamo uno schema ricavato dalla teologia prenicena di Teofilo, Atenagora, Ippolito e precisato da Ireneo (ed ulteriormente purificato al concilio di Nicea dalle sue matrici stoico-filoniane), secondo cui il Logos può essere considerato secondo tre (o quattro) stadi[29] :
  • Parola di Dio immanente, endiàthetos (distinta dal Padre?)
  • Parola generata prima della creazione come collaboratrice di questa, prophorikòs
  • Parola resa visibile nell’Incarnazione
  • Parola che può essere identificata con lo Spirito[30] che opera nell’era escatologica.

5 -  Prendendo l’avvio dallo schema precedente, segnaliamo che il Logos si può considerare espresso secondo quattro, corrispondenti a tre stadi reali
  • Il Logos divino strumento di creazione nella preesistenza gloriosa, éndoxos
  • Il Logos umano conseguente, éndoxos, rifiutato dal Cristo nell’umanazione (stadio ipotetico)
  • Il Logos disceso nella storia reale, che si è reso visibile come énsarkos, nella condizione assunta con la kénosis come indispensabile in vista dell’azione salvifica mediante la Croce (soluzione rifiutata dalla “falsa gnosi”)
  • Il Logos restituito éndoxos per intervento del Padre

 D – IL VERBO NELL’ETERNITA’, NELLA KENOSI, NELLA GLORIA

I - Azioni di Dio precedenti l’Incarnazione del Figlio

1)  Il Padre
a) genera la persona (hypòstasis) del Figlio nella natura divina, “ab aeterno” (il Logos quindi è “natum, non factum”, come vuole Nicea)
b) la manifesta nella forma del pròsopon come strumento nella creazione (“per quem omnia facta sunt”).

2) In una comprensione trascendentale, con un’azione “ad extra”, il Dio Trino dà origine (“crea” indirettamente) ogni uomo che viene al mondo; e fa questo mediante la partecipazione ad un uomo e una donna della sua virtù generatrice; questi, che sono veri genitori di tutto l’uomo (secondo l’antropologia semitica, che è unitaria), si chiamano “pro-creatori”.
Ogni uomo quindi è creatura del Dio trinitario, e quindi sua immagine (Gen 1,26s; 5,1; 9,6; Sap 2,23; Sir 17,3), ma non identica di natura. Mentre nella Scrittura si parla anche, tra uomo e uomo, di immagine identica di natura (Gen 5,3)

Abbiamo quindi nel Figlio àsarkos:
a)      una hypòstasis (soggetto costitutivo) del Logos, eterna immagine “ad intra” di Dio Padre
b)      una ousìa – physis (sostanza – natura) divina, per cui è della stessa ousìa (homooùsios) del Padre
c)      un pròsopon (soggetto manifestativo)  divino espresso “ad extra”, come strumento nella creazione

II - Generazione di Gesù Cristo come uomo

1 - L’umanazione (enanthròpesis) del Verbo, corrispondente alla hénosis (unione) di divino ed umano

K. Rahner ha innovato la teologia con alcune affermazioni: “(Possiamo) definire l’uomo (….) come ciò che sorge quando l’autoespressione di Dio, la sua Parola, viene pronunciata con amore nel vuoto del nulla non-divino. (….). La cifra di Dio stesso è l’uomo, cioè il Figlio dell’uomo e gli uomini, in quali in fondo esistono perché doveva esistere il Figlio dell’uomo. (….) Quando Dio vuol essere non-Dio, sorge l’uomo” [31]. “Dio è, nell’essere in cui si aliena, ciò che chiamiamo uomo, l’assoluta apertura a Dio. Dio non può alienarsi se non creando chi lo possa ricevere. Quando Dio dà se stesso, appare l’uomo, che è la pura apertura a Dio….”[32]
Dio avrebbe potuto mandare in “missione” il Figlio in un uomo direttamente creato, come nel caso di Adamo. Ma, secondo l’attuale ordine della salvezza, quando il Padre estende “ad extra” il suo atto generativo, lo fa nell’uomo Gesù, congiunto al Figlio in unità di persona.

2 - L’incarnazione  (sàrkosis), attuata con lo svuotamento (kénosis)

Il Figlio eterno è immagine increata del Padre; Gesù uomo è l’immagine ‘economica’ del Figlio[33]; deriva interamente dal Padre, ma esige una madre umana.

In una comprensione trascendentale,
-          il Padre genera il Figlio unigenito nel tempo, con un prolungamento “ad extra” (“missione”) della generazione eterna,
-          mediante la partecipazione della propria virtù generativa a Maria, sua vera cooperatrice, per cui essa può esser detta “pro-genitrice” di Gesù.
La natura generata (non creata), per essere della stirpe del Messia promesso, deve essere presa da una giovane ebrea. Diversamente, la creazione dell’uomo Gesù sarebbe nell’ordine di una produzione: da un essere superiore ad uno inferiore. La generazione dalla Madre è una partecipazione in una maniera del tutto  singolare alla virtù generativa del Padre: quindi da un generante ad un altro generante. Mentre la Madre non ha una maternità pari alla paternità di Dio[34]

Quindi la concezione cristiana dell’Incarnazione consiste in questo, che il Padre opera un’unica filiazione, ossia generazione[35], in due modalità: una generazione eterna e una nel tempo. Mentre abbiamo due nascite: una eterna e un’altra temporale[36]

E’ possibile intravedere una notevole analogia tra queste due affermazioni:
* Il Verbo è cooperatore “ad extra” di Dio Padre nella creazione del mondo
* Maria è cooperatrice “ad extra” di Dio Padre nella generazione di Gesù Cristo

Nella kénosis ed assunzione della “forma” di schiavo, Gesù Cristo, il Logos  énsarkos
      a) rinuncia al suo pròsopon divino (che gli spettava come strumento manifestativo nella creazione),
      b) assume dalla Madre la physis umana insieme col pròsopon umano, di abbassamento, per il quale Dio si manifesta nell’uomo Gesù (Cfr “Chi ha visto me ha visto il Padre”: Gv 14,9)

III -  Il Kyrios nella gloria

Al Risuscitamento (Auferweckung) il Padre conferisce al Figlio fatto uomo il Nome[37] (pròsopon manifestativo, di gloria: cfr Fil 3,21) di Kyrios, a Lui uguale.
Il Logos restituito éndoxos per intervento del Padre,  è il Kyrios escatologicamente presente nella storia della “nuova creazione” sia nel “già” (in regime della grazia, sulla Chiesa), sia nel “non ancora” (in regime di gloria, nei Cieli)

Nota. Se col diò kaì di Fil 2,9 apprendiamo che viene assicurata al Cristo la glorificazione come frutto della passione e morte, ci è consentito  intravedere nel Deuteroisaia l’intervento di Dio che dona in eredità al misterioso sofferente “Servo del Signore” una discendenza di salvati (53,5.10.12) costituita da un popolo nuovo (moltitudine: 53,11.12), preso dalle “nazioni” (42,1.4.6; 49,6; 52,15).  Possiamo quindi allargare la virtualità del terzo stadio considerando l’Incarnazione del Figlio come comunione con tutti gli uomini, nel suo Spirito  (ekklesìa)
La relazione di generazione del Figlio da parte del Padre – che si estende nella sua “in-carnazione” (ensàrkosis) - non è l’unica; in quanto il Padre e il Figlio come unico principio attuano la relazione di “spirazione” dello Spirito, nel mistero dal quale nasce la chiesa “corpo” di Cristo (“in-corporazione”, ensomàtosis). Pietro in At 2,33 ci rivela il dono dello Spirito ricevuto ed effuso nel “mistero pasquale” (vedi Gv 20,22 in unione con 7,39 e 19,30).
L’uomo Gesù è generato ad immagine del Logos, nel quale tutti i credenti diventano, in linea adozionale, “figli nel Figlio” primogenito (Gal 4,4; Gv 1,12), la nuova creatura/creazione, nella gratuita, analogica e acquisita somiglianza (Rm 8,15.29; 1Cor 15,49; Fil 3,21). Dio partecipa agli uomini il suo “grado” di vita (2Pt 1,4), specialmente nella spiritualità, immortalità e incorruttibilità (cfr. 1Cor 15; Gv 6), ma non la sua natura ontologica.

Concludendo, sembra che si possa dire:
* La missione del Figlio, insieme con l’umanazione, è dovuta alla scelta del Padre
* L’Incarnazione, coincidente con la sàrkosis, è dovuta alla scelta del Figlio
*  L’assunzione del Cristo nella gloria è dovuta ancora una volta al Padre.

E – L’INCARNAZIONE COME STRUTTURA: Unità (henòtes) e dualità

a) Il Figlio incarnato  proviene totalmente dal Padre anche in quanto è uomo. Perché esiste in un’unica persona, Gesù è Figlio naturale di Dio; altrimenti si cadrebbe nell’eresia dei due figli

b) Una persona composita, con due nature e due pròsopa

Certe volte Gesù agisce come uomo: soffre, non conosce alcuni misteri….
Certe volte agisce come (Figlio di) Dio: miracoli (e comandi) in prima persona; ha il potere di giudicare  e di dare la vita comunicatogli dal Padre, col quale è in intima comunione (Gv 5,19-27).

Il teologo A. Patfoort ci ricorda che Tommaso d’Aquino[38], in un secondo momento della sua riflessione, nella Summa giunse ad ammettere in Gesù l’esistenza di una persona composita, ma non un nuovo essere personale oltre al Verbo.

Quindi abbiamo:
-          un centro ontologico (hypòstasis), divino, che si può considerare composito in relazione alle
-          due essenze-nature (ousìai-physeis), in quanto costituiscono l’essere-agire, divino e umano.


F – FUNZIONE DEL CONCEPIMENTO VERGINALE

La generazione eterna del Verbo da parte del Padre – per la quale Gv 1 non fa ricorso alla cooperazione umana – venne estesa nei vangeli dell’infanzia alla generazione verginale di Gesù da parte della Madre.

Il concepimento verginale, sconosciuto ai rimanenti libri del NT, risultò una necessaria formulazione catechistica - adatta a quel livello di pensiero in cui si ammetteva l’intervento categoriale di Dio in tutto ciò che accade - per proclamare la vera filiazione di Gesù Cristo, uomo e Dio
 Il concepimento verginale è quindi il segno interpretativo miracoloso della filiazione eterna di Gesù[39]

In conclusione, era necessario il concepimento verginale, cioè senza intervento di un uomo?
  • come fondante la filiazione divina: No.
  • Come segno manifestativo di questa: Sì
A che cosa serve in concreto? A saldare insieme l’umanità (natura) con l’unicità (persona)


IV – Ipotetica funzione del padre terreno nel mistero dell’Incarnazione.

Premettiamo soltanto un’osservazione sulla Scrittura.
Il versetto Mt 1,16 “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, detto il Cristo” - che nell’analisi critico-letteraria viene assegnato alla categoria “A” (massima affidabilità)[40] – si presenta comunque anche in due altre redazioni[41]. Segno questo che la tradizione aveva avuto delle perplessità.

Un’interpretazione più profonda della funzione è possibile: Dio partecipa trascendentalmente a Giuseppe – che come padre connette la sua figura alla “casa” di Davide – la virtù di comunicare la vita all’uomo Gesù, che è il Messia davidico.
Se intendiamo estendere la partecipazione della virtù generativa divina all’uomo, Giuseppe diventa così “pro-genitore” di Gesù.

Come scriveva nel 1968 il teologo J. Ratzinger mentre insegnava a Tubinga, “Nel Nuovo Testamento la concezione di Gesù è una nuova creazione, non una generazione da parte di Dio (….). La dottrina affermante la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano. No, perché la figliazione divina di cui parla la fede non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì in grembo all’eternità di Dio”[42]. Nel 1977 a proposito di questo testo precisava : “Io volevo solamente mettere in risalto la differenza esistente tra il piano biologico ed il piano ontologico del pensiero (….). Tra l’unità personale di Gesù col Figlio eterno dell’eterno Padre ed essere orfano di padre terreno da parte dell’uomo Gesù (esiste) …una profonda, anzi indissolubile corrispondenza”[43]

Conclusione

Abbiamo esteso a Dio il concetto di causalità trascendentale – che per la teologia corrente sta alla base dell’azione del “pro-creare” - anche all’ambito dell’azione del “pro-generare”.
Sia nel caso di Giuseppe che in quello di Maria, la “generazione” quindi si distinguerebbe
  • da parte del Padre, in fontale nell’ordine trascendentale
  • da parte dell’uomo, in partecipata nell’ordine categoriale.

Dando origine temporale all’uomo Gesù, Dio Padre partecipa la sua virtù generativa a Maria (e, nella seconda ipotesi, anche a Giuseppe).






































[1]  R. SCHULTE,  in Mysterium salutis [MS], vol 5 (III/1), Queriniana, Brescia 1971, 102 scrive: “Maria…. non genera Gesù, ma lo riceve da madre in una forma del tutto singolare, che comporta l’esclusione di una ‘conoscenza’  da parte del principio maschile…”.
[2] K. RAHNER, Corso  fondamentale sulla fede, Paoline, Alba 1977, 111-113; L. BOUYER, Breve dizionario teologico, Edizioni Dehoniane, Bologna 1992, 108-111. D. CORBELAUD, La création ex nihilo en question, in Rev. Thomiste 98 (1990), 364-67 avverte che il modello (farisaico) di creazione del quale tratta, benché pevalente, non è l’unico.
[3] R. SCHULTE, 101 precisa: “La capacità che essi possiedono nell’attuare assieme una nuova esistenza deve essere intesa come una partecipazione del tutto singolare di quell’essere originario divino ed assoluto che solo può conferire tale capacità….
[4] Vedi KERN, G. MASCHALEK, J. FEINER, in Mysterium salutis, vol. 4 (II/2), Queriniana, Brescia 19703 alle pagine 181, 206, 223, 226, 238, 284; M. FLICK - Z. ALSZEGHY, Fondamenti di una antropologia teologica, LEF, Firenze 1973, 182, 185, 268; G. GOZZELINO, Vocazione e destino dell’uomo in Cristo, Elle di ci, Leumann 1985, 117, 126s.
[5] Enc. Divino afflante Spiritu, in Enchiridion biblicum, n. 556
[6] S. Th. I, 43, 2, ad 3um.
[7] Abbiamo in San Paolo (1Cor 15,39-54) alcune diadi analoghe: terreste/celeste; animale/spirituale, primo e ultimo adam. Vedi le pagine 186-99 di R. PENNA, in L’uomo nella bibbia e nelle culture ad essa contemporanee, Paideia, Brescia 1975, 181-208.
[8] Su questa distinzione insolita, vedi le successive posizioni che ho maturato in tempi diversi: A. CONTRI, La preesistenza di Gesù Cristo alla creazione e alla sàrkosis, in Euntes Docete (27) 1974, 266-310; ID., Ipotesi di studio sulla divino-umanità del Preesistente, nel saggio Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore, Elle di ci, Leumann 1985, 49-54
[9] O. CULLMANN, Cristo e il tempo, Il Mulino, Bologna 1965.
[10] Ciò che non si può affermare con sicurezza, se si tiene conto per es. che in 3,20-21 ricorrono diversi concetti, se non parole, uguali.
[11] Il soggetto della prima parte dell’inno, un tempo attribuito al Cristo preesistente (A. OEPKE, kenòo in Grande Lessico del NT, V, 329-33; J. BEHM, morphé, ibidem, VII, 499-509), viene oggi assegnato al Cristo nell’atto della sua Incarnazione.
[12] Oltre ogni dubbio e nonostante qualsiasi obiezione. Vedi R. E. BROWN, Gesù Dio e uomo, Cittadella, Assisi 1970, 40s.
[13] Vedi P. HENRY, kénose, in Dict. de la Bible. Supplément, V 7-101; dove (come anche nella recente traduzione della Bibbia CEI) morphé, di solito reso con “forma”, è tradotto“condition”.
[14] Notiamo che nella Scrittura “servo” può essere un inferiore che esegue personalmente la volontà del superiore, oppure un “funzionario” incaricato di farla eseguire da parte dei suoi inferiori. - Con un certo ardimento, alcuni autori parlano di kenosi nella Trinità: il Padre dona la divinità al Figlio (S. N. BULGAKOV, L’Agnello di Dio, Città Nuova, Roma 1990, 167); altruismo delle Presone (VON BALTHASAR, MS 5, 188s; 195s). Altri lo fanno risalire alla creazione: secondo la teologia della Qabbalà, per far esistere il mondo, Dio si ritrae, si concentra nello zimzum (P. DE BENEDETTI, Quale Dio?, Morcelliana, Brescia 19972, 44-48). Secondo Mario Vittorino, c’è stata una contrazione del Logos universale in Logos particolare (P. HENRY, 135). Anche il cardinal Cusano parlava di “contrazione” di Dio nell’universo.
[15] E’ interessante notare  che nell’AT (ad es. in Es 20,4s; Sal 86,9; Is 45,23) si parla dello stesso dovere di prostrazione davanti al Nome di YHWH. – Piace citare la bella sintesi dell’inno che dà Anastasio I di Antiochia: “Osservando la verità dell’Incarnazione, ne deduciamo i motivi per proclamare rettamente e giustamente l’una e l’altra cosa, cioè la passione e l’impassibilità. Il motivo per cui il Verbo di Dio, impassibile in se stesso, sostenne la passione era che l’uomo non poteva essere salvato in altro modo (….). La gloria di Unigenito che egli aveva abbandonato per noi gli venne restituita per mezzo della Croce, nella carne che aveva assunta”. E citando Gv 7, 38s conclude: “(Gesù) chiama gloria la morte in Croce” (Sermoni 4, 1s; Patrologia graeca del Migne 89, 1347-49).
[16]  Vedi A. CONTRI, Il “Magnificat” alla luce dell’inno cristologico di Filippesi 2,6-11, in Marianum 40 (1978), 164-68
[17] In questo consiste la diversità dalla posizione che assunsi nel mio studio La preesistenza di Gesù Cristo….. : allora, appoggiandomi a Gv 17,5, collocavo l’umanazione come prima fase storicamente distinta dall’incarnazione, “prima della creazione del mondo”, cioè nella preesistenza.
[18] Vedi sempre La preesistenza di Gesù Cristo….. Ho superato l’incertezza quando ho visto che O. HOFIUS, Struktur und Gedankengang des Logos-Hymnus in Joh 1:1-18,  Zeitschrift NT Wissenschaft 78 (1987) 1-25 mette insieme (vv.4-5.9) tre momenti: luce-vita che era in lui, luce che splende nelle tenebre, luce che veniva-era nel mondo; e che S. MIGLIASSO, in La Bibbia PM, Piemme, Casale M.  1995, 2518 distingue tre venute storico-salvifiche: “nella creazione per tutti e nel popolo d’Israele….e (nel)l’incarnazione”. Sembra di poter distinguere: a) la luce “in lui” dalla luce che viene nel mondo; b) la creazione del mondo dal venire ed essere nel mondo; c) la venuta dell’uomo “sic et simpliciter” dalla venuta nella stirpe e nella carne. - R. E. BROWN, Giovanni, Cittadella, Assisi 19995, 6 (cfr. 34) dice che tra “Dio” del v. 1c e la teologia trinitaria di Nicea “c’è stato un sensibile sviluppo”.  Nel v. 1 si possono riscontare le coordinate della teologia trinitaria: consustanzialità con Iddio / distinzione da lui; secondo il principio dogmatico “Omnia sunt unum ubi non obviat relations oppositio” (DENZINGER, Enchiridion, n. 1330). Richiamiamo che nel IV vangelo non è compresa la trasfigurazione, in quanto non si differenzia il Cristo terreno da quello glorioso.
[19] Melitone di Sardi, Sulla pasqua, n. 65 (vedi R. CANTALAMESSA, La Pasqua nella Chiesa antica, SEI, Torino 1978, 40-41)
[20] A. MILANO, Persona in teologia, Ed. Dehoniane, Napoli 1984, 231
[21] DENZINGER, Enchiridion, n. 251. Su questa affermazione conciliare si vedano le remore e precisazioni di S. DE FIORES, Maria nella teologia contemporanea, Centro di cultura mariana “Mater Ecclesiae”, Roma 19872, 478-95; R. CANTALAMESSA, in Il problema cristologico oggi, Assisi 1973, 177.
[22] A. GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, vol. I, tomo II, Paideia, Brescia 1982, ricorda che nella polemica tra Cirillo e Nestorio, quest’ultimo seguiva più da vicino il kerygma ed è stato in seguito riabilitato (823s), Teodoro di Mopsuestia fu mal compreso  e Roma fu male informata (790, 824s). R. LAVATORI, L’Unigenito dal Padre, Dehoniane, Bologna 1983, 227 richiama al fatto che allora usavano un linguaggio impreciso
[23] D. Fernandez, citato in DE FLORES, 479, 484. Vedi anche C. MILITELLO, Maria con occhi di donna, Piemme, Casale M. 1999,  84. Sul rapporto di Maria SS.ma con il Padre e il Figlio, vedi A. CONTRI, Santa Maria scrigno dello Spirito santo, Elledici, Leumann 2004, 93-98; 111-19.
[24] G. FERRARO, Il Simbolo della fede, AVE, Roma 1980, 29
[25]   C. VAGAGGINI, Il senso teologico della liturgia, San Paolo, Cinisello B. 1999, 220. Vedi anche A. MILANO, 132;  H. A. WOLFSON, La filosofia dei padri della Chiesa, vol. I, Paideia, Brescia 1978, 297
[26] Contrariamente a San Tommaso, che in S. Th. III, 3, 5 concl. ritiene che “Cum una sit trium personarum potestas,  potuit quaevis persona divina humanam assumere naturam”, K. RAHNER in Saggi di cristologia e di mariologia, Paoline, Roma 1965, 52, 61-63, 95-97, 112 evidenzia i limiti della formula “Unus de Trinitate passus est”, affermando che, nell’ordine di salvezza attuale, solo in Verbo “poteva” incarnarsi; e in MS 5, 452, nota 17, osserva: “Quando affermiamo che il Figlio è l’autocomunicazione del Padre, non si afferma che il Padre è apparso e si è unito ‘ipostaticamente’ con un’umanità. Una tale concezione sarebbe possibile solo  a condizione che il Padre possa anche incarnarsi (….). Il Figlio è l’autoespressione del Padre, la Parola del Padre (non della divinità!)….”. Vedi anche R. SCHULTE, 76-79.
[27] Morphé dell’inno di Fil può essere avvicinata a pròsopon, che è un modo di appartenenza a una natura concreta, apparenza (vedi A. GRILLMEIER, 840s. 844), o meglio manifestazione.
[28] DENZINGER, Enchiridion, n. 250
[29] Vedi WOLFSON 165, 180 e passim; J. N. D. KELLY, Il pensiero cristiano delle origini, Il Mulino, Bologna 1972, 120, 124s, 130-35, 139s; A. CONTRI, Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore,  50-52
[30] Ricordo che per le lettere autentiche di Paolo, probabilmente Spirito può significare il Cristo risorto (Vedi R. PENNA, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, Paoline, Cinisello B. 19893 ,1511s).
[31] K. RAHNER, Corso fondamentale…, 293. Riportato anche in Saggi di cristologia…., 114.
[32] K. RAHNER, in Saggi di cristologia…., 330.
[33] Come diceva Teodoro di Mopsuestia, “Il pròsopon  è il legame tra la natura umana e l’ipostasi del Logos” (A. GRILLMEIER, 807, 843). J. J. LATOUR, in Problèmes actuels de christologie, Desclée de B., Bruges-Paris, 1965, 256, nota 2, riferisce un testo di Clemente di Alessandria (Protreptico, X), secondo il quale “Immagine di Dio è il Logos del Padre (….) e immagine del Logos è l’uomo vero, lo spirito che è nell’uomo….”
[34] Questo concetto era facilmente comprensibile nella cultura pre-scientifica dei popoli antichi che vedevano nella madre una custode e nutrice del feto, generato solo dal padre. Vedi  A. CONTRI, Santa Maria…..114s.
[35] J. J LATOUR, 247 si esprime in maniera equivalente, parlando di una filiazione (e quindi di un solo Figlio) e due relazioni o generazioni: eterna e temporale. Vedi anche R. SCHULTE, 100
[36] DENZINGER, Enchiridion, n. 422
[37] E’ noto che nell’ambiente della Bibbia, il Nome “rivela la dignità e la natura e per così dire diffonde e rende manifesta l’essenza” (Kaesemann, citato da G. BARBAGLIO in Le lettere di Paolo, vol. 2, Borla, Roma 1980, 574 nota 56). Si veda in questo saggio 567-76 un’accurata trattazione dell’inno pre-paolino. Ricordiamo che nella Bibbia “gloria” spesso significa l’aspetto visibile della divinità, o addirittura la divinità stessa (J. L. Mc KENZIE, Dizionario biblico, Cittadella, Assisi 19814 , 454-57).
[38] S. Th. III, 2, 4 concl.: “Tametsi persona Christi ex se sit simplex; ut subsistens tamen in duabus naturis, composita esse dicendum est”. Vedi A. PATFOORT in Problèmes actuels de chirtsologie, 103.110; cfr LATOUR, 232. J. POHLE – J. GUMMERSBACH, Dogmatica, vol. III, Morcelliana, Brescia 1964, 117s documenta che si tratta di un’idea più volte proposta nella tradizione, distinguendo hypostasis Christi da hypostasis Christus; inoltre a p. 149  cita un testo del I concilio di Efeso: “Una persona composita Christus totus est Deus et totus est homo”. Vedi anche A. MILANO, 232-34. Anche negli anatematismi del concilio II di Costantinopoli si afferma che l’unione del Verbo con la carne è “per composizione (synthesin) cioè secondo la sussistenza (hypòstasin)”;  “secondo la composizione, ossia secondo l’ipostasi” (DENZINGER, Enchiridion, nn. 424.425). Tutto ciò serve a mostrare che il mistero di Cristo è così profondo e quindi solo parzialmente sondabile che, nella successione dei quattro concili cristologici, la propensione a sottolineare l’unità nella linea di Alessandria (Efeso e II di Costantinopoli) ha proceduto in parallelo con quella della dualità nella linea di Antiochia e dei latini (Calcedonia e III di Costantinopoli)
[39] “Agli occhi dei semplici Cristiani il concepimento verginale si è rivelato un efficace segno interpretativo della filiazione divina eterna….”; “Il concepimento verginale  fu un miracolo, anche se gli evangelisti ne mettono in risalto l’aspetto di straordinarietà” (R. E. BROWN, La nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Cittadella, Assisi 20022,, 723, 725). Un’esposizione delle ragioni favorevoli o contrarie si trova in ID., La concezione verginale e la risurrezione corporea di Gesù, Quaeriniana, Brescia 1977.
[40] The Greek New Testament, DB, Stuttgart 19984, ad. l.
[41] R. BROWN, La nascita del Messia…., 65-69
[42] Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia 1969, 221-222.
[43] La figlia di Sion, Jaca Book, Milano 19952, nota alle pp. 49-50.

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