Come
supplemento al discorso della libertà, presento qui di seguito: A) le
interessanti interrogazioni che mi ha sottoposto un giovane (che ho criptato
sotto uno pseudonimo di matrice omerica: Odissea IX,366) insieme col quale
spesso discorriamo dell’argomento: B) le risposte che ho formulato sul tema che
non è tra i più semplici.
A)
Caro Professore,
Ho molto apprezzato
la sua succosa trattazione sulla libertà.
Cosa pensa delle nuove scoperte "neuro-scientifiche" che sembrano univocamente deporre per la tesi secondo la quale è il cervello ad influenzare la mente, negando totalmente la libertà (e conseguentemente la responsabilità)?
Cito dalla Domenica del Sole 24 Ore: "Le Corte ha deciso che Breivik è sano di mente e capace di intendere e di volere. Ciò contraddice quanto le neuroscienze cognitive stanno dimostrando da anni, e cioè che le scelte sono fatte dalla materia del cervello. La Corte non ha creduto di affidarsi alla scienza per sostenere che con quel cervello Breivik non poteva far altro. Certamente era capace di intendere e di volere, ma il suo cervello non poteva volere che quello che ha scelto" (Arnaldo Benini). Mi chiedo tuttavia come la scienza possa "dimostrare" rapporti intercorrenti fra un'entità materiale (il cervello) e una spirituale (la mente).
Ciò detto, secondo lei è invece metafisicamente dimostrabile l'esistenza della libertà? Oppure kantianamente la libertà è dimostrabile solo in via pratica (evidenza dell'imperativo categorico che presuppone la libertà)?
Spostando la discussione dalla dimostrazione della libertà, alla sua definizione, le riporto due passi che traggo da mie recenti letture (scelte autonomamente), che presentano la definizione a mio avviso più soddisfacente di libertà come "libertà di" (cfr Isaiah Berlin "I due concetti di libertà") "autodeterminarsi secondo la propria natura" (legge naturale, Bene...). Non pensavo di ritrovare due concezioni così simili in due autori così distanti...
Cosa pensa delle nuove scoperte "neuro-scientifiche" che sembrano univocamente deporre per la tesi secondo la quale è il cervello ad influenzare la mente, negando totalmente la libertà (e conseguentemente la responsabilità)?
Cito dalla Domenica del Sole 24 Ore: "Le Corte ha deciso che Breivik è sano di mente e capace di intendere e di volere. Ciò contraddice quanto le neuroscienze cognitive stanno dimostrando da anni, e cioè che le scelte sono fatte dalla materia del cervello. La Corte non ha creduto di affidarsi alla scienza per sostenere che con quel cervello Breivik non poteva far altro. Certamente era capace di intendere e di volere, ma il suo cervello non poteva volere che quello che ha scelto" (Arnaldo Benini). Mi chiedo tuttavia come la scienza possa "dimostrare" rapporti intercorrenti fra un'entità materiale (il cervello) e una spirituale (la mente).
Ciò detto, secondo lei è invece metafisicamente dimostrabile l'esistenza della libertà? Oppure kantianamente la libertà è dimostrabile solo in via pratica (evidenza dell'imperativo categorico che presuppone la libertà)?
Spostando la discussione dalla dimostrazione della libertà, alla sua definizione, le riporto due passi che traggo da mie recenti letture (scelte autonomamente), che presentano la definizione a mio avviso più soddisfacente di libertà come "libertà di" (cfr Isaiah Berlin "I due concetti di libertà") "autodeterminarsi secondo la propria natura" (legge naturale, Bene...). Non pensavo di ritrovare due concezioni così simili in due autori così distanti...
Essere
liberi significa non essere costretti dall’esterno nel nostro divenire; poter scegliere
fra varie possibilità secondo la propria volontà […] Ognuno di noi porta in sé
un archetipo del proprio essere: il pensiero con cui il Creatore lo pensa. […]
Che quest’essere unico (l’uomo) si affermi secondo la sua immagine essenziale e
determini ogni suo agire ed esistere; che quest’uomo viva esprimendo
spontaneamente il suo centro esistenziale: ecco la libertà. Libero è colui che
esiste interamente secondo il pensiero con cui Dio pensa la sua personalità.
(Romano Guardini, La realtà della Chiesa, pag. 75).
La
coscienza morale vuole che ciascuno, nel risolversi al fare, discenda nel fondo
del proprio essere e, con purezza e umiltà di cuore, interroghi e ascolti la
voce che gli parla e gli comanda, e segua poi con animo risoluto e coraggioso
la propria “vocazione”, quale che questa sia, confidando nella Provvidenza che
regge le umane cose. Quelle varie “vocazioni” sono nient’altro che i bisogni
della storia, che s’impersonano negli individui, e che nel concorso,
nell’intreccio, nella lotta delle azioni individuali si vengono via via
ordinando e subordinando, componendo e attuando nel modo e nel grado in cui
possono via via attuarsi. Così nel risolversi tra i contrasti della realtà e
tra le infinite possibilità dell’azione, gli individui si risolvono bene quando
sanno di non poter fare altrimenti e di ubbidire alla loro lex singularis. (Benedetto Croce, Elementi di politica, pagg.
34-35)
Mi scuso per la forma troppo
concisa dei miei pensieri, spero che il senso generale si riesca ad
intendere...
Oùtis
B)
Caro Oùtis
Mi congratulo dapprima per la tua
capacità di (e per l’amore a) pensare filosoficamente
Hai certamente notato che ho
citato solo filosofi, in prevalenza pagani (benché S. Agostino sia anche un
teologo e un santo)
I - La mia
ontologia della libertà, come dice il mio titolo, è distinta:
* dalla libertà psicologica (da
condizionamenti esteriori…. per esempio da un’educazione anti-naturale)
* dalla libertà politica (da
oppressori palesi od occulti); e oggi se ne parla fin troppo, specialmente da
chi furbescamente la nega agli altri (Ricordi Repubblica democratica tedesca?)
* dalla libertà etica, o an-archìa (da qualsiasi norma naturale o
comunque proveniente ab extrinseco)
II
– I rapporti con le (oggi idolatrate, perché?) neuroscienze
Il motivo è presto detto: perché
si è imposta la “filosofia” dei dominatori del modo occidentale, quali sono gli
inglesi e statunitensi. Seguendo autori come gli empiristi Hobbes, Locke, Hume
(vedi II, 361ss, 275ss, 413ss), si
giunge all’empirismo, al sensismo, al meccanicismo “spirituale”; seguendo le correnti del positivismo, dell’empiriocriticismo
e del pragmatismo (III, 277, 305, 374) si hanno esiti simili o addirittura uguali.
Non fa meraviglia che il “liberale” quotidiano della Confindustria parteggi per
queste impostazioni culturali.
E’ noto il grave riduzionismo fra
soul, mind e brain. Queste soluzioni presuppongono la non distinzione tra
agente (mente) e strumento dell’azione (cervello o sistema nervoso centrale). Allora,
per addurre un esempio (e quindi solo “analogo”), si dovrebbe imputare al
cervello la non comunicazione degli impulsi motori al piede quando i nervi
intermedi sono troncati. Ma queste teorie confondono ugualmente neurologia e
psicologia, e non dànno segno di aver capito la specificità del vivente uomo, o
della psicologia peculiarmente umana. Contrapponendoci al naturalismo assoluto
di Dennett, sappiamo che appartiene all’esperienza umana universale il
riconoscimento nell’autocoscienza di un dato immediatamente evidente per l’Io,
e quindi non soggetto alla sperimentazione strumentale “scientifica”. Quando
quell’articolista parla di affidarsi alla scienza, mostra di comprendere questa
con un vizio di evidente riduzionismo (scienza = scienza sperimentale). La
libertà di quel terrorista norvegese non va giudicata al livello delle
neuroscienze.
III - Dove possiamo collocare
l’inizio di queste “deviazioni”? In Cartesio (II, 284) che – non riuscendo a
spiegare la compresenza di una res
extensa e di una cogitans –
colloca il meeting point nella…ghiandola pineale (ma questa non è res extensa?). Contrapponendomi alla
critica di Damasio (per lui si tratta di un “errore” di Cartesio), ribadisco
che il filosofo ha esagerato in quanto ha separato, e non solo distinto,
spirito e materia; che sono compresenti nell’essere uomo. Se vuoi vedere una
valida critica al “padre della filosofia moderna”, vedi l’affermazione di un
“mondo tre” in Popper (II, 286; III, 662).
Perché allora un autore capace di
scrutare le fondamenta del pensiero come Kant ha portato avanti l’equivoco del Francese? Perché nella
“Critica della r. pura” si sente in
dovere di prendere le distanze dalla scienza di Newton e dalla corrispondente filosofia
di Wolff (II, 616, 648, 649); e la
teoria dell’Inglese era meccanicistico-deterministica, che ignorava le recenti
conquiste dell’atomo e della particelle, dell’astrofica… Oggi invece sappiamo
che lo scibile è molto più complesso e fondato sulla probabilità e sulla
conoscenza indiretta: rivoluzione dei concetti
di spazio, di tempo, di causalità;
deduzione di conclusioni razionali da elementi di osservazione (forse ricordi
le mie precedenti esemplificazioni sulla
scoperta degli ultimi pianeti)
Perché allora un entusiasmo, più
ideologico (soprattutto contro il teismo) che ideale, per il cosiddetto
stroncamento kantiano della metafisica? Perché il grande Tedesco poco
logicamente partiva da un discorso che, accettando esclusivamente l’esperienza
sensibile, negava l’esistenza della metafisica. Così venivano scosse le
fondamenta della psicologia peculiarmente umana e della teologia naturale che
cerca di raggiungere l’esistenza di Dio. Eppure egli ha sempre fatto
riferimento della “metafisica della quale io ho il destino di essere
innamorato” (II, 648); mentre voleva trovare un fondamento “scientifico” (nota
il concetto riduttivo di cui abbiamo disserito più sopra!) di questa che fosse
solido come quello della matematica, della geometria (II, 648, 650)
Su questa nuova lettura di Kant
ho letto con interesse la recensione (che ti posso fare vedere) di uno studio:
Manfred Kuehn, “Kant”, Ed. Il Mulino,
Bologna). Ma non ho tempo di leggerlo in quanto ho intrapreso una ciclopica
lettura sistematica della Bibbia.
IV
– A proposito di Guardini: il grande filosofo-teologo (come si suppone)
valpolocelliano esprime una lettura “psico-teologica” della libertà, meno
“ingessata” di quella ontologica; così quello che io – volendo in questo
contesto evitare il percorso teologico - attribuisco alla natura (parlo più
volte della legge “naturale”) egli lo assegna a Dio: forse uno delle pochissime
letture “ortodosse” del “Deus sive Natura” dell’ebreo poco convertito Baruc
Spinoza (II, 313)
Per quello che segue: tieni conto
che “barùch” in ebraico significa
“benedetto”…
Benedetto
Croce – che, nonostante il nome cognome, aveva ben poco di religioso; però ha
scritto il citatissimo “Perché non possiamo non dirci cristiani” - essendo idealista, concepisce la realtà come
scorrimento nella storia. Riconosce una (atipica) “provvidenza” (della quale
parlavano già gli stoici: I, 192), quando bellamente parla della legge naturale
come “lex singularis” (cioè peculiare
all’uomo).
V
– Mi hai chiesto a voce perché ho intitolato il mio precedente studio
“Ontologia della libertà”. Ontologia nel
caso nostro comporta la deduzione di una proprietà dalla struttura essenziale
dell’essere umano, che è un microcosmo bidimensionale e non costituito dal
“montaggio” di un essere assommato ad un
altro, come sostenevano i dualisti. Ora la dimensione fisica e psichica
dell’uomo, che di per sé soggiace alle leggi deterministiche dei corpi (per es.
la supremazia del più forte sul debole) e degli animali (per es. gli istinti-pulsioni
fondamentali), viene elevata alla possibilità di scelta propria dell’Io, che è costituzionalmente libero
di fronte ai “valori” (per es. amore,
bene, giustizia, onestà); e questi sono la scala per raggiungere la
realizzazione adeguata alla nostra specifica natura.
In ambito morale quindi, se per
es. la mia pulsione mi spinge ad usare la violenza per accaparrarmi un bene, la
mia razionalità mi orienta a non usare la forza e a moderare il mio impulso.
Don Antonio
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