venerdì 31 agosto 2012

Libertà (continuazione nel dialogo)


Come supplemento al discorso della libertà, presento qui di seguito: A) le interessanti interrogazioni che mi ha sottoposto un giovane (che ho criptato sotto uno pseudonimo di matrice omerica: Odissea IX,366) insieme col quale spesso discorriamo dell’argomento: B) le risposte che ho formulato sul tema che non è tra i più semplici.

A)
Caro Professore,
Ho molto apprezzato la sua succosa trattazione sulla libertà.
Cosa pensa delle nuove scoperte "neuro-scientifiche" che sembrano univocamente deporre per la tesi secondo la quale è il cervello ad influenzare la mente, negando totalmente la libertà (e conseguentemente la responsabilità)?
Cito dalla Domenica del Sole 24 Ore: "Le Corte ha deciso che Breivik è sano di mente e capace di intendere e di volere. Ciò contraddice quanto le neuroscienze cognitive stanno dimostrando da anni, e cioè che le scelte sono fatte dalla materia del cervello. La Corte non ha creduto di affidarsi alla scienza per sostenere che con quel cervello Breivik non poteva far altro. Certamente era capace di intendere e di volere, ma il suo cervello non poteva volere che quello che ha scelto" (Arnaldo Benini). Mi chiedo tuttavia come la scienza possa "dimostrare" rapporti intercorrenti fra un'entità materiale (il cervello) e una spirituale (la mente).
Ciò detto, secondo lei è invece metafisicamente dimostrabile l'esistenza della libertà? Oppure kantianamente la libertà è dimostrabile solo in via pratica (evidenza dell'imperativo categorico che presuppone la libertà)?

Spostando la discussione dalla dimostrazione della libertà, alla sua definizione, le riporto due passi che traggo da mie recenti letture (scelte autonomamente), che presentano la definizione a mio avviso più soddisfacente di libertà come "libertà di" (cfr Isaiah Berlin "I due concetti di libertà") "autodeterminarsi secondo la propria natura" (legge naturale, Bene...). Non pensavo di ritrovare due concezioni così simili in due autori così distanti...

Essere liberi significa non essere costretti dall’esterno nel nostro divenire; poter scegliere fra varie possibilità secondo la propria volontà […] Ognuno di noi porta in sé un archetipo del proprio essere: il pensiero con cui il Creatore lo pensa. […] Che quest’essere unico (l’uomo) si affermi secondo la sua immagine essenziale e determini ogni suo agire ed esistere; che quest’uomo viva esprimendo spontaneamente il suo centro esistenziale: ecco la libertà. Libero è colui che esiste interamente secondo il pensiero con cui Dio pensa la sua personalità. (Romano Guardini, La realtà della Chiesa, pag. 75).
La coscienza morale vuole che ciascuno, nel risolversi al fare, discenda nel fondo del proprio essere e, con purezza e umiltà di cuore, interroghi e ascolti la voce che gli parla e gli comanda, e segua poi con animo risoluto e coraggioso la propria “vocazione”, quale che questa sia, confidando nella Provvidenza che regge le umane cose. Quelle varie “vocazioni” sono nient’altro che i bisogni della storia, che s’impersonano negli individui, e che nel concorso, nell’intreccio, nella lotta delle azioni individuali si vengono via via ordinando e subordinando, componendo e attuando nel modo e nel grado in cui possono via via attuarsi. Così nel risolversi tra i contrasti della realtà e tra le infinite possibilità dell’azione, gli individui si risolvono bene quando sanno di non poter fare altrimenti e di ubbidire alla loro lex singularis. (Benedetto Croce, Elementi di politica, pagg. 34-35)
Mi scuso per la forma troppo concisa dei miei pensieri, spero che il senso generale si riesca ad intendere...
Oùtis

B)
Caro Oùtis
Mi congratulo dapprima per la tua capacità di (e per l’amore a) pensare filosoficamente
Hai certamente notato che ho citato solo filosofi, in prevalenza pagani (benché S. Agostino sia anche un teologo e un santo)

I - La mia ontologia della libertà, come dice il mio titolo, è distinta:
* dalla libertà psicologica (da condizionamenti esteriori…. per esempio da un’educazione anti-naturale)
* dalla libertà politica (da oppressori palesi od occulti); e oggi se ne parla fin troppo, specialmente da chi furbescamente la nega agli altri (Ricordi Repubblica democratica tedesca?)
* dalla libertà etica, o an-archìa (da qualsiasi norma naturale o comunque proveniente ab extrinseco)

            II – I rapporti con le (oggi idolatrate, perché?) neuroscienze
Il motivo è presto detto: perché si è imposta la “filosofia” dei dominatori del modo occidentale, quali sono gli inglesi e statunitensi. Seguendo autori come gli empiristi Hobbes, Locke, Hume (vedi II, 361ss, 275ss, 413ss),  si giunge all’empirismo, al sensismo, al meccanicismo “spirituale”; seguendo  le correnti del positivismo, dell’empiriocriticismo e del pragmatismo (III, 277, 305, 374) si hanno esiti simili o addirittura uguali. Non fa meraviglia che il “liberale” quotidiano della Confindustria parteggi per queste impostazioni culturali.
E’ noto il grave riduzionismo fra soul, mind e brain. Queste soluzioni presuppongono la non distinzione tra agente (mente) e strumento dell’azione (cervello o sistema nervoso centrale). Allora, per addurre un esempio (e quindi solo “analogo”), si dovrebbe imputare al cervello la non comunicazione degli impulsi motori al piede quando i nervi intermedi sono troncati. Ma queste teorie confondono ugualmente neurologia e psicologia, e non dànno segno di aver capito la specificità del vivente uomo, o della psicologia peculiarmente umana. Contrapponendoci al naturalismo assoluto di Dennett, sappiamo che appartiene all’esperienza umana universale il riconoscimento nell’autocoscienza di un dato immediatamente evidente per l’Io, e quindi non soggetto alla sperimentazione strumentale “scientifica”. Quando quell’articolista parla di affidarsi alla scienza, mostra di comprendere questa con un vizio di evidente riduzionismo (scienza = scienza sperimentale). La libertà di quel terrorista norvegese non va giudicata al livello delle neuroscienze.

III - Dove possiamo collocare l’inizio di queste “deviazioni”? In Cartesio (II, 284) che – non riuscendo a spiegare la compresenza di una res extensa e di una cogitans – colloca il meeting point nella…ghiandola pineale (ma questa non è res extensa?). Contrapponendomi alla critica di Damasio (per lui si tratta di un “errore” di Cartesio), ribadisco che il filosofo ha esagerato in quanto ha separato, e non solo distinto, spirito e materia; che sono compresenti nell’essere uomo. Se vuoi vedere una valida critica al “padre della filosofia moderna”, vedi l’affermazione di un “mondo tre” in Popper (II, 286; III, 662).
Perché allora un autore capace di scrutare le fondamenta del pensiero come Kant ha portato avanti  l’equivoco del Francese? Perché nella “Critica della r. pura”  si sente in dovere di prendere le distanze dalla scienza di Newton e dalla corrispondente filosofia di Wolff (II, 616,  648, 649); e la teoria dell’Inglese era meccanicistico-deterministica, che ignorava le recenti conquiste dell’atomo e della particelle, dell’astrofica… Oggi invece sappiamo che lo scibile è molto più complesso e fondato sulla probabilità e sulla conoscenza indiretta: rivoluzione dei concetti  di spazio,  di tempo, di causalità; deduzione di conclusioni razionali da elementi di osservazione (forse ricordi le mie precedenti esemplificazioni  sulla scoperta degli ultimi pianeti)
Perché allora un entusiasmo, più ideologico (soprattutto contro il teismo) che ideale, per il cosiddetto stroncamento kantiano della metafisica? Perché il grande Tedesco poco logicamente partiva da un discorso che, accettando esclusivamente l’esperienza sensibile, negava l’esistenza della metafisica. Così venivano scosse le fondamenta della psicologia peculiarmente umana e della teologia naturale che cerca di raggiungere l’esistenza di Dio. Eppure egli ha sempre fatto riferimento della “metafisica della quale io ho il destino di essere innamorato” (II, 648); mentre voleva trovare un fondamento “scientifico” (nota il concetto riduttivo di cui abbiamo disserito più sopra!) di questa che fosse solido come quello della matematica, della geometria (II, 648, 650)
Su questa nuova lettura di Kant ho letto con interesse la recensione (che ti posso fare vedere) di uno studio: Manfred Kuehn, “Kant”, Ed. Il Mulino, Bologna). Ma non ho tempo di leggerlo in quanto ho intrapreso una ciclopica lettura sistematica della Bibbia.

            IV – A proposito di Guardini: il grande filosofo-teologo (come si suppone) valpolocelliano esprime una lettura “psico-teologica” della libertà, meno “ingessata” di quella ontologica; così quello che io – volendo in questo contesto evitare il percorso teologico - attribuisco alla natura (parlo più volte della legge “naturale”) egli lo assegna a Dio: forse uno delle pochissime letture “ortodosse” del “Deus sive Natura” dell’ebreo poco convertito Baruc Spinoza (II, 313)
Per quello che segue: tieni conto che “barùch” in ebraico significa “benedetto”…

            Benedetto Croce – che, nonostante il nome cognome, aveva ben poco di religioso; però ha scritto il citatissimo “Perché non possiamo non dirci cristiani” -  essendo idealista, concepisce la realtà come scorrimento nella storia. Riconosce una (atipica) “provvidenza” (della quale parlavano già gli stoici: I, 192), quando bellamente parla della legge naturale come “lex singularis” (cioè peculiare all’uomo).

            V – Mi hai chiesto a voce perché ho intitolato il mio precedente studio “Ontologia della libertà”.  Ontologia nel caso nostro comporta la deduzione di una proprietà dalla struttura essenziale dell’essere umano, che è un microcosmo bidimensionale e non costituito dal “montaggio”  di un essere assommato ad un altro, come sostenevano i dualisti. Ora la dimensione fisica e psichica dell’uomo, che di per sé soggiace alle leggi deterministiche dei corpi (per es. la supremazia del più forte sul debole) e degli animali (per es. gli istinti-pulsioni fondamentali), viene elevata alla possibilità di scelta  propria dell’Io, che è costituzionalmente libero di fronte ai “valori”  (per es. amore, bene, giustizia, onestà); e questi sono la scala per raggiungere la realizzazione adeguata alla nostra specifica natura.
In ambito morale quindi, se per es. la mia pulsione mi spinge ad usare la violenza per accaparrarmi un bene, la mia razionalità mi orienta a non usare la forza e a moderare il mio impulso.

Don Antonio

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