L’EUCARISTIA SACRAMENTO DELLA PASQUA DI CRISTO
Ad una
disanima frettolosa o ispirata dalla mentalità controversistica, la Lettera agli ebrei (che
non fa menzione della Cena) sembra escludere la celebrazione rituale
(sacramentale) cristiana del Sacrificio pasquale
di Cristo. La lettera, usando una parola caratteristica “ephàpax”, afferma infatti che Cristo ha offerto in sacrificio il
suo corpo una volta per tutte, e sempre una sola volta è entrato col suo sangue
nel santuario dei cieli (7,27; 9,12; 10,10).
Poiché la Lettera agli ebrei rilegge
il Mistero pasquale con la categoria del sacrificio, e poiché per spiegare ai
suoi lettori il Sacrificio di Cristo fa ricorso al modello del sacrificio
dell’AT, dobbiamo prendere le mosse da quest’ultimo per introdurci nella
comprensione dell’Eucaristia, sacramento centrale nella fede, nella liturgia e nella
vita dei cristiani.
Il
percorso programmato ci condurrà a riconoscere nella Pasqua dell’AT la profezia
del Mistero pasquale riletto con la nuova categoria del sacrificio, e che
questo mistero di Morte e Risurrezione è riattualizzato lungo la storia nel
memoriale dell’Eucaristia.
§ I – TESTI SCRITTURISTICI
Avverto che, evitando i molti problemi del metodo
storico-critico, tengo conto della situazione dei testi come li abbiamo adesso
nella Bibbia.
Esamineremo una successione di
concetti: Pasqua, Redenzione, Salvezza, Eucaristia
A - ANTICO TESTAMENTO
I - Eventi e riti pasquali dell’Antico
Testamento
Il grande e fondante rito della
Pasqua è sviluppato in tre fasi[1].
1) La prima
fase comprende:
* la cena pasquale con la
manducazione dell’agnello immolato e con l’aspersione del sangue sugli stipiti,
cui segue la morte dei primogeniti degli egizi
* la settimana dei pani azzimi,
da celebrarsi ogni anno in una riunione sacra
Questi riti devono essere
ripetuti in un memoriale di generazione in generazione
Vedi Es 12-13
2) La seconda
fase comprende:
* il miracolo del mare e la
permanenza nel deserto per fare una celebrazione (descritta nelle richieste di
Mosè e nella concessione del faraone coi verbi festeggiare, sacrificare,
servire) e ricevendo il dono della manna
* l’alleanza sul Sinai con la
teofania e il dono delle Dieci parole.
Vedi Es 14-15; 16; 19-20
3) La terza
fase comprende:
* la conclusione liturgica
dell’alleanza, coi sacrifici, il sangue asperso e il banchetto
* l’alleanza rinnovata, dopo la primitiva
rottura.
Vedi Es 24; 34
II - Il grande sacrificio di espiazione da
celebrarsi nel Tempio
Premettiamo che col vocabolo “dimora” di Dio si possono
intendere diverse cose:
- il tabernacolo, o tenda, del Popolo pellegrinante nel deserto del Sinai
- il tempio di Salomone
- il tempio di Erode
- il “corpo” di Cristo risorto e la sua comunità, o chiesa, fino al singolo fedele (Paolo e Gv)
- il tempio celeste. (Eb, Ap).
1) Ricordiamo
che il cuore del tempio – collocato all’interno di un cortile (dove c’erano l’altare
di bronzo per olocausti, il mare di bronzo e dieci conche) - era costituito da
tre luoghi:
- ulam, o vestibolo, con le due grandi colonne
- heqal, o aula, il Santo (prima tenda), nella quale esercitavano la loro funzione i molti sacerdoti, coll’altare dell’incenso[2], il tavolo dei pani della proposizione e la menorah
- debir, o sacrario, il Santissimo (seconda tenda); nel quale era contenuta l’arca della testimonianza, il vero trono di Dio, tra i due cherubini.
Il vano d’ingresso al secondo e
al terzo luogo era munito, di una cortina, o velo.
Già dall’AT esistono
più forme di sacrificio[3];
per esempio:
- il sacrificio per il peccato, di espiazione
- il sacrificio di comunione, di alleanza, o il sacrificio di lode (Sal 50,14.23; cfr Eb 13,15; Rm 12,1; 1Pt 2,5) e di grazie (Sal 56,12; 107,22; 116,17).
Troviamo la corrispondenza
globale a ciò nei quattro fini dell’Eucaristia (e della preghiera): adorazione,
azione di grazie, domanda di grazie e di perdono.
Citando Os 6,6
Gesù vuole amore-misericordia e non sacrificio (nel senso restrittivo: Mt 9,13;
12,7).
Si ricordi che
Agostino[4]
faceva del sacrificio un atto di unione con Dio. Cipriano[5] implica nell’unità anche la Chiesa: “Il sacrificio più
grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo
radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
2) Il grande
rito del giorno dell’espiazione (yom
kippur) descritto in Lv 16 comprendeva
due parti, riferibili ai due capri scelti a sorte (e ricordiamo che la sorte
aveva un richiamo religioso)[6]:
a) il capro espiatorio, toccato
in sorte al Signore, immolato per il peccato del popolo, il cui sangue viene
effuso nel Santissimo;
b) il secondo capro che, caricato dei peccati di tutto il
popolo, viene espulso vivo nel deserto, e perciò si chiama emissario[7].
E diciamo subito che nella Bibbia il deserto assume un
doppio significato, negativo e positivo: in senso positivo è il luogo
dell’incontro con Dio e dell’abbondanza dei suoi doni, motivo d’insegnamento,
di attesa, di rifugio, di umiltà e di conversione[8]
Vedi Es 25; 40; Lv 16,29-34; 30,10;
1Re 6; 8.
Sintetizzando, nell’AT
abbiamo due modalità di passaggio:
a) un passaggio del popolo dalla
schiavitù-morte a libertà-vita; ciò che viene preparato dal convito
coll’agnello, ritualizzato nel sacrificio di comunione o alleanza (Es 24,5) e
significato dall’ingresso del sacerdote nel luogo della sekinah
b) un passaggio del popolo da
situazione di peccato a quella di purificazione; che viene reiterato nel
sacrificio della vittima nello yom kippur
B - NUOVO TESTAMENTO
I - Storia della salvezza cristica centrata
sull’evento pasquale
La Lettera agli ebrei
esplicita il discorso cristologico dilungandosi su queste tappe:
- Il Figlio era assiso in cielo (essendo Dio), alla destra del Padre
- Si fa uomo, manifestandosi nella storia come Figlio obbediente (offerta volontaria del suo “corpo”, cioè di se stesso)
- Nella morte impara l’obbedienza e inaugura l’alleanza nuova, agisce cioè come redentore dal peccato (offerta del sacrifico)
- Col suo sangue viene accolto in cielo dal Padre come Figlio-uomo perfetto, e continua la sua opera d’intercessione (conclusione del sacrificio)
- Col sangue della sua morte salva, purifica, santifica, fa entrare nei cieli coloro che gli obbediscono (effetti del sacrificio)
- Apparirà una seconda volta alla fine.
Il diagramma
binario di abbassamento/elevazione che sta alla base del discorso è iscritto
anche
- in Fil 2,6-11: Cristo Gesù si svuotò (heautòn ekènosen) / perciò (diò kaì) Dio nel Risuscitamento lo sovraesaltò (hyperypsosen) conferendogli il Nome supremo a gloria (in ebraico kabòd, cioè pienezza, peso) di Dio Padre[9]
- nel Magnificat in parallelo col citato testo pre-paolino[10]
- in Gv 3,13; 6,62; 16,28 dove si esprime con discesa e innalzamento.
II – Rilettura dell’evento pasquale in
alcuni testi biblici
Piccolo vocabolario greco:
-
skené = dimora, o tenda, o tabernacolo
(Es 25,9; Gv 1,14, in forma verbale; Ap 15,5; 21,3)
-
naòs = tempio, o santuario (Gv 2,19-21;
Ap 11,19; 15,5); vicino a questo c’è il tempio, hieròn, comprendente i cortili (Gv 2,14; il vocabolo non compare in
Eb)
-
kibotòs = arca dell’alleanza (Ap 11,19), o
della testimonianza
-
katapétasma = velo, o cortina (Es 26,33; Eb
9,3; 10,20).
In alcuni
testi biblici abbiamo un approfondimento dall’interno del racconto pasquale dei
Sinottici.
A) Cristologia del
Sacerdozio e del Sacrificio nel cuore della Lettera agli ebrei
Annotazione preliminare. Il libro ispirato risente di una
certa confusione e sovrapposizione di parti (si ipotizzano due omelie fuse
insieme), riproduce più volte alcune affermazioni fondamentali e spesso usa lo
stesso vocabolo con significati ben diversi: ‘per esempio, la prima tenda
significa il Santo e tutto il Tempio (9,6.8).
Nei cc. 9-10 troviamo un duplice
evento.
1) Costituzione
del Sacerdote da parte del Padre. Entrata del Figlio nel mondo
“(Cristo) una volta sola, nella pienezza dei
tempi, è apparso (pephanérotai) per
annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso” (9,26)
“Entrando (eiserchòmenos) nel mondo Cristo dice:
…un corpo mi hai preparato” (….). Ecco io vengo, o Dio, per fare la tua
volontà” (10,5-6)
2) Sacrificio
attuato da parte del Figlio. Entrata di Cristo nel Cielo
.
Il sacrificio unico e irripetibile di Cristo secondo Eb si
attua con un duplice gesto:
1°) Con la sua
Morte in Croce, che è il supremo atto di obbedienza e amore (“Nessuno ha un
amore più grande…”; “In finem…”: Gv
15,13; 13,1) in riparazione del peccato (interruzione dell’alleanza).
2°) Col suo
trasferimento nel mondo dei Dio; il quale sacrificio – accettato dal Padre che
è Amore fedele – rappresenta l’offerta della vita e il completamento
escatologico dell’alleanza tra Dio e l’uomo.
Questo “passaggio” comporta due dimensioni:
a) Cristo offre se stesso, il suo corpo[11],
a Dio per riconoscere la sua e nostra totale adesione al Padre.
Cristo non ha
sacrificato come i sacerdoti dell’AT , ma “…lo ha fatto una volta per tutte
offrendo se stesso” (7,27);
“Cristo
offrì se stesso senza macchia a Dio”
(9,14)
“Cristo …entrò
(eisélthen) nel santuario (hàgia) vero, nel Cielo stesso per
comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore” (9,24)
“Siamo stati santificati per
mezzo (dià) dell’offerta del corpo di
Gesù Cristo” (!0,10).
“Abbiamo un sacerdote grande
nella casa di Dio” (10,21)
b) Cristo entra nei cieli col proprio sangue, in espiazione
dei peccati degli uomini[12].
“Cristo,
venendo (paragenòmenos) come sommo
sacerdote dei beni futuri, attraverso (dià)
una tenda (skenés)….non appartenente
a questa creazione, entrò (eisélthen)
una volta per sempre nel santuario (tà
hàgia)….in virtù (dià) del
proprio sangue, ottenendo una redenzione eterna” (9,11-12)[13].
“Cristo, dopo essersi offerto una
sola volta per togliere il peccato di molti….” (9,28);
“Cristo, avendo offerto un solo sacrificio per
i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio (10,12).
Come sintesi delle due sfaccettature, si può riferire “Abbiamo
piena libertà di entrare nel santuario (hagìon)
nel (en) sangue di Gesù, via nuova e
vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo (katapétasma), cioè la sua carne (sarkòs)” (10,19-20)[14].
Abbiamo qui adombrate la morte sacrificale (nel sangue) di
Cristo e la presenza di Cristo “sempre vivo per intercedere” (Eb 7,25), in
analogia col capro che viene estromesso
Questa lettura può inoltre essere
avvalorata dal confronto
- col quarto carme del Servo di YHWH , dove il protagonista (ammesso che sia un singolo) si è addossato la nostra iniquità, portava il peccato di molti (Is 53,11-12)
- con Gv 1,29: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie (o prende su di sé[15]) il peccato del mondo”
NB. In tutta la lettera non sono
usati hieròn e naòs, che fanno parte della teologia di Gv 2 sulla relazione tra
tempio e corpo.
B) Il mistero pasquale nel
quarto vangelo
Giovanni
esprime il Mistero pasquale coll’innalzamento sulla croce e nei cieli (morte e
“ascensione”) per mezzo di due verbi, che non figurano in Eb:
* anabàino:
“Nessuno è salito al cielo….se
non il Figlio dell’uomo” (3,13)
“Se vedrete il Figlio dell’uomo
salito al cielo” (6,62; in un capitolo che è cristologico ed eucaristico)
“Non sono ancora salito al
Padre…. salgo al Padre mio e Padre vostro” (20,17)
* hypsòo:
“Bisogna che sia innalzato il
Figlio dell’uomo” (3,14)
“Quando innalzerete il Figlio
dell’uomo” (8,28)
“Quando sarò innalzato da terra”
(12,32)
Si possono
citare anche altri verbi: metabàino,
hypàgo, poreùomai, érchomai
Non
dimentichiamo “carne” (1,14 e più volte in Gv 6), “pose la tenda” (eskènosen:1.14), “corpo” (2,21)
Nel mirabile
c. 17 (che è lecito chiamare “preghiera sacerdotale” richiamando la Lettera agli ebrei) si
alternano espressioni riferibili alla presenza del Cristo già col Padre e
quelle che lo vedono ancora coi suoi; e ciò sarebbe grandemente significativo
soprattutto se si accettasse l’ipotesi che il discorso-preghiera sia stato
pronunciato durante la Cena,
e che questa sia stata eucaristica.
III – Presenza dell’Eucaristia nella Bibbia
Consideriamo
qui i testi al di fuori di quelli principali
di 1Cor, Sinottici, Giovanni.
A) Accenni sparsi sull’Eucaristia
in Ebrei
Forse per non
“scoprirsi” in periodo di persecuzione (come nella letteratura apocalittica e
nella successiva “disciplina dell’arcano”), l’autore ha volutamente “oscurato”
i riferimenti eucaristici. Probabilmente l’atteggiamento è riconducibile alla
scelta dell’autore che si è concentrato sulla cristologia (e sul sacrificio) e
da questa suppone che sia derivata l’Eucaristia (mentre Gv 6 si concentrerà sul
banchetto di vita).
Portiamo
qualche esempio (che raccolgo da R. Penna e soprattutto da Andriessen[16])
di allusioni e rimandi:
- In 2,14 l’autore evoca reminiscenze alle specie eucaristiche (cfr 1Cor 10)
- In 6,4-5 essere illuminati e “gustare il dono celeste” richiamano la manna che significa la parola di Dio e il corpo eucaristico
- In 9,2-4 i pani della proposizione e la custodia della manna nel Tempio accennano intenzionalmente all’Eucaristia
- In 9,19-20 (e 22-28) si richiama con parole simili Es 24,8
- In 10,19-20 si può vedere un indiretto riferimento eucaristico
- 10,25 parla di assemblea (synagogé: liturgica[17]), in attesa del giorno del Signore (che richiama il marana tha)
- In 10,29 si parla di sangue non profano dell’alleanza, dal quale siamo santificati (cfr 1Cor 11,27.29 sul mangiare e bere la propria condanna)
- 13,9-11 (ma già in 9,9-10) - posto in un non forzato confronto coi banchetti ebraici e pagani di 1Cor 9,13 e 10,3-30 - ci dà un quadro più chiaramente eucaristico (andando oltre l’interpretazione cristologica di San Tommaso e di molti autori moderni): l’altare dei sacrifici può essere quello del nostro culto e la tavola quella della Cena; il mangiare quello dei cristiani; il prender parte alla mensa, può configurarsi come un’allusione a quella del Signore (si veda l’interpretazione di J. Betz[18]).
- Anche il sacrificio di lode e la confessione del suo nome in 13,15 possono alludere all’Eucaristia, la quale è sacrificio oltreché di propiziazione, anche di alleanza
- Infine è significativo che il sacerdozio di Cristo sia analogo a quello di Melchisedek, che “offrì pane e vino” (Gen 14,18, citato espressamente in Eb).
Il biblista benedettino conclude
dicendo che “i passi….sono sufficienti a provare che il nostro autore ha conosciuto le celebrazioni dell’Eucaristia
e le suppone conosciute dai suoi lettori” e che “ non possiamo trovare in Eb
alcuna critica alla celebrazione della Cena”.
B) Prendendo lo spunto da altre
citazioni bibliche, si potrebbe accennare
* al “Sono con voi” della finale
di Matteo, che si realizza con “Io sono il pane dal cielo” e “La mia carne e il
mio sangue” di Gv 6
* all’alleanza in Mosè, dove si
parla di mangiare il pane, di pani dell’offerta, di pane e sangue, di pasto
sacro (Es 25,30; 29,31-33; 34,18.25)
* al denso testo “Cristo nostra
pasqua (agnello), celebriamo la festa…con azzimi…” (1Cor, 5,7s), che può
alludere alle celebrazioni eucaristiche di cui Paolo parla nella stessa lettera
* all’ enteuxis (della famiglia del verbo entugchano, che ritroveremo più sotto), cioè intercessione, che
ricorre in 1Tm 2,1; 4,3-5 in
riferimento alle preghiere d’intercessione ed eucaristiche, alla preghiera di
rendimento di grazie[19].
* all’allegorismo di Giovanni che
passa attraverso un misterioso riferimento al chicco di frumento che muore
(12,24; cfr il masticare - espresso col verbo “trògo” - il pane in Gv 6) e al tralcio della vite, quale è Gesù
(14,4s; cfr. il vino, il “frutto della vite” in Mc 14,25 e Mt 26,29).
§ II – RIFLESSIONE TEOLOGICA
La storia della salvezza
trinitaria è divisibile, sul modello di Luca[20],
in tre periodi:
- Attesa dell’intervento escatologico
di Dio: dalla Creazione all’Incarnazione, quando Dio manda il Figlio nel mondo;
- Il Figlio in azione salvifica:
dall’Incarnazione alla Pentecoste, quando il Risuscitato effonde lo Spirito che
ha ricevuto dal Padre;
- Lo Spirito comunica la salvezza:
dalla Pentecoste alla Parusia, quando Dio per mezzo del suo Spirito darà la
vita ai nostri corpi mortali e Cristo consegnerà il Regno a Dio Padre, e così
Dio sarà tutto in tutti.
Ripercorreremo le tappe
principali della Storia della salvezza, al cui centro sta il Mistero pasquale.
Premettiamo una descrizione dei
molteplici significati che può assumere la categoria di sacrificio[21]:
- separazione dal profano e trasferimento nel mondo di Dio
- dono a Dio per significare dipendenza, obbedienza, ringraziamento, amore, ricostruzione del legame interrotto, pentimento; consacrazione di sé a Dio
- Accettazione da parte di Dio che concede una partecipazione alla sua vita nella restituzione della vittima, come nel sacrificio di comunione e nel convivio sacro.
A - CRISTOLOGIA E SOTERIOLOGIA
I - Salvezza e peccato
1) Salvezza: è
la realizzazione dell’uomo secondo il piano e con l’auto di Dio, che è Padre.
L’uomo,
creatura libera nella storia, non si realizza pienamente come figlio di Dio né
contro la volontà di Dio, né senza la potenza di Dio.
La salvezza si
attua nella storia, segnata da tre eventi principali:
- Prime grandi alleanze: creazione dell’uomo e di Israele
- Interruzione dell’alleanza: peccati dell’uomo
- Nuova ed eterna alleanza in Cristo: riscatto dal peccato (aspetto negativo) e riunione con Dio (aspetto positivo).
2) Peccato non
è semplicemente una disobbedienza alla legge di Dio, visto come despota, ma la
presunzione che ha l’uomo (che è
“carne”) di realizzarsi da sé, d’innalzarsi al livello di Dio, di negare alla
base la relazione di dipendenza da lui. Essenzialmente presenta due forme:
* non riconoscere Dio e la nostra
relazione con lui (superbia);
* non accettare la sua volontà
(anomia e autonomia).
Il modello
primo del peccato è quello del racconto genesiaco:
- mentre Dio ha elevato l’uomo ad essere sua immagine e somiglianza (1,26-27),
- l’uomo ha dato credito al serpente che suggerisce: “Non morirete, sarete come elohìm (cioè dèi/Dio)” (3,4-5).
Quello che è e sarà sempre un
dono gratuito (chàris) di Dio che
eternamente ci ha destinati ad essere suoi figli (Ef 1) diventa una pretesa di
ribellione.
Molti altri
esempi si trovano nella Scrittura riguardo ai potenti oppressori del Popolo di
Dio, come i re di Babilonia, di Tiro, d’Egitto (Vedi Is 14,8-15; Ez 28,2.9;
31,10-18; 32,17-32). Le affermazioni chiave sono: “Pensavi: Salirò in cielo; mi
farò uguale all’Altissimo; Io sono un dio”; il castigo divino si concretizza
nelle dichiarazioni: “tu sei prostrato, abbattuto, caduto dal cielo, gettato a
terra, precipitato nello sheol”.
In breve
tratto si può dire che la risposta e suprema sfida della fede è iscritta
nell’etimologia di Michele: Chi è come El?
II - Chi doveva essere il
Redentore-Salvatore
Come può
rispondere Dio all’atto di ribellione dell’uomo?
- Dio risponde col castigo del peccatore (vedi gli esempi già citati dell’AT), pur prevedendo misteriosamente la salvezza (Gen 3,15), e riproponendo l’alleanza interrotta;
- Con la redenzione-elevazione del peccatore sul modello della dipendenza-obbedienza esercitata verso Dio dal Figlio incarnato (vedi soprattutto la Lettera agli ebrei).
A) E’ utile richiamare la legge
della mediazione (o dell’Incarnazione) che pervade tutta la Bibbia.
Leggendo il
capitolo 23 di Geremia e il 34 di Ezechiele si vede che Dio si considera
direttamente Re-Pastore del suo Popolo, ma è solito demandare la cura del Regno
al Messia (o semplicemente discendente) davidico, che lo realizza nelle diverse
istituzioni sacre dell’ebraismo.
Nel teo-dramma
della salvezza, Dio Padre è l’ arché
e il donatore, Cristo è il sacramento primordiale, la
Chiesa è il sacramento generale, che esercita la sua funzione
tramite i singoli sacramenti, in modo particolare l’Eucaristia (che con la Chiesa divide il titolo di
“corpo di Cristo”).
Gli dèi pagani
assumevano sembianze umane per “far visita agli uomini”, non per riscattarli.
Non potendo
l’uomo salvarsi da sé, il Dio della storia della salvezza deve intervenire
direttamente per medicarci e ri-crearci; e fa questo mediante suo Figlio, che
si umilia assumendo e sacrificando il suo corpo realmente umano, divenendo così
mediatore, intercessore (paràkletos),
sacerdote. L’uomo peccatore, che è incapace di salvarsi da sé, deve ottenere il
perdono del Padre per l’alleanza infranta, e accettare l’aiuto soprannaturale
per raggiungere la pienezza.
L’uomo deve umiliarsi davanti a
Dio (Dn 10,12); il quale umilia i superbi ed eleva gli umili (Pr 3,34; Sir
3,18-20; Gc 4,6; 1Pt 5,5).
Per realizzare
la nuova alleanza Dio, che è “Amore fedele” (Es 34,6; 1Gv 4,8.16), procura un
Mediatore-Messia che
- in quanto uomo (1Tm 2,5) possa chiedere perdono per la colpa commessa dagli uomini;
- in quanto Figlio di Dio possa inserire gli uomini che gli obbediscono (Eb 5,9) nella filiazione.
B) Dall’operare di Dio nella storia
della salvezza siamo autorizzati a desumere quali siano le “qualità” del
Salvatore.
1)
Cristo doveva essere vero uomo
- per rappresentare tutti gli
uomini davanti a Dio come “primogenito della creazione” (Col 1,15)
- per divenire capace di soffrire
e morire
- per poter essere costituito
come unico sacerdote e mediatore (1Tm 2,5) del nuovo sacrificio e alleanza
- per poter comprendere la nostra
debolezza
- per farci seguire la via
inaugurata con la sua “carne”
- per poter chiedere, egli
innocente, il perdono del peccato fontale e generale di tutti gli uomini
- per preparare il materiale del
suo sacrificio (“corpo”)
- per essere in grado di
rivolgersi a Dio con sentimenti di dipendenza.
In conclusione l’Incarnazione è
la costituzione del sacerdote e della vittima del Sacrificio.
2) Cristo
doveva essere dotato di libertà per dare valore di ri-equilibrio alla richiesta
di perdono di un peccato che aveva avuto il suo “luogo” nella volontà (come
insiste la soteriologia “negativa” della chiesa latina, centrata nel mistero
pasquale)
In conclusione la costituzione
del Mediatore-Redentore comporta la scelta
di un essere dotato di volontà libera.
3) Cristo
doveva essere Figlio di Dio
- per farci partecipi della
filialità divina
- per essere il primogenito del
Risuscitamento (Col 1,18; Fil 2,9; At 13,33)
- per essere il prototipo della
filialità dell’uomo redento (orientato, dipendente e obbediente), tanto da
riconoscere il perfezionamento dei credenti nell’essere totalmente
modellati sul Figlio
- per tracciare necessariamente
la via del ritorno al Padre.
In conclusione l’essere Figlio è
qualificato dalla dipendenza e obbedienza.
4) Cristo
doveva essere Dio Figlio
- per essere autore della sua
Resurrezione-Ascensione (Gv 20,17)
- per essere donatore della
comunione con Dio Padre (è questo l’orientamento principale della teologia “positiva” greca, che in buona parte si fonda
sull’Incarnazione)
- per farci entrare nel
Santuario, nel Regno del Padre e suo (Ef 5,5).
In conclusione la comunione con
Dio comporta la capacità di donare/ricevere la vita divina.
C) La riconciliazione si attua
nell’evento del Figlio incarnato, il quale agisce come il Figlio che
viene a riconciliare gli uomini nemici di Dio, e come l’uomo che ritorna verso
Dio[22].
Cosicché il Figlio di Dio fatto uomo è l’Amore filiale che chiede perdono, e Dio
Padre è l’Amore paterno che riammette l’uomo nell’alleanza
Come il primo
uomo, l’ “adàm” primordiale, così il
secondo (Cristo) hanno questo in comune: ci implicano con la categoria della
rappresentatività, della solidarietà (Rm 5,12-21), col fine della
riconciliazione, dell’alleanza (cioè del ponte tra Dio e l’uomo)[23].
La missione di Cristo si può così sintetizzare: fedeltà filiale a Dio e
solidarietà misericordiosa con noi.
Il Cristo
pasquale è in se stesso la riconciliazione (o alleanza, “amen”: Ap 3,14; 2Cor 1,19-20) tra Dio e uomo; ma anche
operativamente è Dio che si abbassa per riconciliarci con lui, e l’uomo elevato
da Dio e con lui riconciliato[24].
D) Possiamo ora introdurci nelle profonde
riflessioni sull’Incarnazione della Parola (Verbum,
Logos) che K. Rahner ha elaborato più volte nelle sue opere[25]
- in dissonanza dalla trinitaria classica che si rifaceva addirittura a S.
Agostino – affermando che, se una Persona poteva incarnarsi, questa era solo la
persona del Figlio, e se Dio poteva essere altro da sé (mutare
nell’altro), ciò doveva avvenire soltanto nell’uomo, l’unica creatura
che ha coscienza di creaturalità e libertà di adesione: “Si potrebbe definire
l’uomo come ciò che sorge allorché l’autoespressione di Dio, la sua Parola,
viene lanciata per amore nel vuoto del nulla senza-dio (…..) Se Dio vuol essere
non-Dio, sorge l’uomo, proprio lui e null’altro”. “Quando Dio dà se stesso,
appare l’uomo, che è la pura apertura a Dio dischiusasi dall’orlo della natura,
della materia”.
La filialità
quindi si esprime nella dipendenza (essere totalmente riferito al Padre) e
nell’obbedienza (essere totalmente aderente alla sua volontà). Dio rinuncia
(kenosi) alla propria onnipotenza e suprema libertà per assumere la nostra
imperfetta libertà, nella quale avrebbe fatto la scelta di adesione a Dio in
riscatto del nostro peccato.
III - Passaggio alla Cristologia dei
concili
Nella storia
delle teologia cristiana constatiamo il passaggio dalla cristologia
funzionale-salvifica a quella tradizionale (e sempre valida), che è
ontologico-statica.
Si può vedere
che Eb contiene un’espressione funzionale corrispondente alla cristologia
ontologica di Calcedonia[26]:
due nature in una persona. Cristo è mediatore della nostra redenzione (e
sacerdote) perché riunisce in se stesso due
vie della relazione:
a)
in relazione con Dio è Figlio fedele e
obbediente, che manifesta e attua la sua dimensione filiale. Cfr Eb 5,7 (vedi
sopra)
b)
in relazione con gli uomini è solidale, per cui
può ristabilire le loro relazioni con Dio.
B - STORIA DELLA SALVEZZA CRISTOCENTRICA
I – Incarnazione – Mistero pasquale –
Glorificazione
A) Lo schema
1) Prima fase:
Nell’Incarnazione abbiamo:un duplice movimento discendente:
* Dio manda suo Figlio a
stringere l’alleanza nuova ed eterna coll’uomo,
* ci dona il Redentore solidale
con noi per poter espiare il nostro peccato (preparazione del corpo della Vittima
del sacrificio)[27].
Il fine
dell’intervento del Figlio è dunque duplice, come diranno anche le parole della
consacrazione sul calice eucaristico: “per la nuova ed eterna alleanza” / “in
remissione dei peccati”.
2) La seconda
fase comprende un duplice evento:
a) Nella Morte il Cristo esce da
una situazione “di carne” per manifestare la “riverenza” filiale verso il Padre
e per attuare la salvezza nella solidarietà con noi
b) Il Cristo - mediante il velo
della sua “carne” cioè della sua umanità (Eb 10,20; cfr 6,19) - attraversa i
cieli (la tenda più grande) col suo Corpo glorificato (10,5.10) ed entra come leitourgòs una volta per sempre (ephàpax) nel Santissimo, sedendosi alla
destra di Dio, a’) per ricongiungere
l’umanità a Dio b’) e per chiedere
il perdono del peccato in virtù del proprio sangue (9,12; 13,12.20). Diventa così
causa di salvezza per coloro che gli obbediscono (5,9), ci purifica e santifica
(rende perfetti come “filii in Filio”)
e ci ottiene la libertà di entrare nel santuario (10,19).
Segue la
conclusione del sacrificio: il Padre accoglie l’Uomo-Figlio per l’omaggio che questi ha a lui prestato e concede il
perdono del peccato.
San Paolo
esprime (Rm 4,25) schematicamente i due versanti, negativo e positivo, del
Mistero pasquale:
* “Gesù è stato consegnato alla
morte a causa delle nostre colpe”: vedi anche Ef 2,14-15: redenzione dal
peccato
* !ed è stato risuscitato per la
nostra giustificazione” (in quanto veniamo introdotti nella via della relazione
con Dio, il quale ci conferisce il dono della salvezza); si veda inoltre Ef
2,16-18; 3,12: ripresa dell’alleanza.
3) Nella terza
fase, il Cristo glorificato ma recante i segni della Passione (cfr. l’Agnello
ritto in piedi ma come immolato, esphagménon
di Ap 5,6 ) continua ad offrire il sacrificio della Morte in croce, è sempre
vivo per intercedere (usa il verbo entugchàno,
che Paolo in Rm 8,34 applica al Cristo morto e risorto) a nostro favore,
dandoci come precursore la possibilità di offrire per sempre un sacrificio di
lode (13,15).
Non è inutile
notare che, traducendo paràkletos con
“intercessore” (cfr. 1Gv 2,1)[28],
che è in noi in assenza di Gesù, Rm 8,26s riconosce nello Spirito il secondo
Paraclito di cui parla Gv 14,16.
B) Sintetizzando possiamo
dire:
1)
Nell’ingresso nel mondo (Incarnazione), il donatore è il Padre e il dono è il
corpo “carnale” (la natura umana, o la persona in quanto vivente nel cosmo) di
Gesù. Il Figlio incarnato diventa il Sacerdote perfetto.
2) Nella Morte
il donatore è Cristo, che dona il suo Sangue (vita) sacrificale per
l’espiazione; il dono viene accettato dal Padre (e ciò completa il sacrificio).
Il Cristo diventa così la Vittima
perfetta e insieme il Redentore-Salvatore[29].
3)
Nell’ingresso nel santuario dei cieli (Ascensione) col “Corpo di gloria”, il donatore è Cristo, che dona la
sua vita a lode e in obbedienza al Padre, diventando così Figlio perfetto (e il
Figlio realizza l’uomo perfetto, cioè in relazione ottimale ed eterna con Dio),
garantendo la sua presenza reale (benché sacramentale) ed eterna. Nel contempo
è intronizzato come Re-Messia (ricorrente citazione dei salmi 2 e 110).
II – Il Redentore ci salva mediante il
sacrificio di sè
1) Ci sono
delle differenze di fondo tra il sacrificio degli antichi e quello di Cristo:
coll’autodonazione di Gesù nella morte, egli non si separa dal profano: in
quanto uomo egli è solidale con noi; in quanto Figlio è eternamente in relazione
con Dio, ritornando alla sua destra. L’umanità, unita indissolubilmente alla
persona del Figlio, ritorna a Dio in un nuovo spirito filale (che poi
trinitariamente coincide con lo Spirito del Figlio).
Cristo è
diventato Figlio perfetto, in quanto totalmente obbediente alla volontà
del Padre, e Sacerdote perfetto, in quanto unico celebrante del
Sacrificio perfetto.
Il Figlio di
Dio fatto uomo, con la sua obbedienza riscatta il peccato di disobbedienza
dell’umanità e così rinnova l’alleanza con Dio, la quale perciò diventa eterna
e universale.
Cruciale è Eb
5,7 sull’esperienza del Getsemani: “Fu esaudito per la sua la sua
sottomissione”[30]
2) Il Mistero
pasquale si attua in due direzioni, una ascendente (dal Figlio incarnato al
Padre) e una discendete (da Dio all’uomo redento):
a) Nella Morte salvifica
- Cristo, Figlio di Dio consustanziale con noi, porta a Dio l’adesione filiale dell’umanità
- espia il peccato dell’uomo.
- Il Padre risponde col
Risuscitamento
b) Cristo entra nel Cielo, cioè
nel mondo di Dio
- col Corpo (persona) per congiungerci a lui in alleanza,
- col Sangue (vita donata) per ottenere il perdono del peccato.
- Dio Padre accoglie il dono nel
segno della filialità, ammette l’uomo alla comunione della vita divina e ci
perdona.
Gesù infatti
- nella sua Morte, offre al Padre la sua umanità “secondo la carne” come segno di creaturalità e come pegno della fedeltà filiale, e ci libera dalla paura della morte (Eb 2,15);
- nella sua Ascensione presenta la sua vita (Sangue) al Padre per riceverne in dono l’umanità “secondo lo spirito/Spirito” (cfr 1Cor 15,44: il corpo pneumatico) che lo mette in condizione di perpetua intercessione (Eb 7,5); mentre ci ottiene come dono l’immortalità.
3) Delle due
dimensioni principali del Mistero pasquale, solo la Morte è visibile, e perciò
raccontata, mentre il Risuscitamento-Innalzamento è avvolto nella notte del
mistero, e per questo può essere soltanto interpretato nella sua interiorità e
profondità teologica Anche perché
l’evento positivo segna l’ingresso in una realtà meta-storica, che può solo
essere testimoniata nella fede.
L’antifona
d’ingresso della Messa della Pasqua di Risurrezione (nella proposta prima e
tradizionale) interpreta la solennità non tanto come il trionfo del Crocifisso,
quanto piuttosto come un colloquio tra
il Risorto e il Padre, al quale egli giunge, con una citazione del salmo 139
(nella versione che ora torna in auge): “Sono risorto, e sono sempre con te; tu
hai posto su di me la tua mano, è stupenda per me la tua saggezza. Alleluia”.
Sintetizzando, il Mistero
pasquale - preparato durante la
Cena coll’anticipazione profetica (significazione) e
sacramentale nel dono della persona (Corpo) e della vita (Sangue) - diventa
sacrificio della nuova alleanza:
a) sul versante visibile e storico, sacrificio
della Morte in Croce (passaggio da una situazione di carne)
b) sul versante invisibile e
metastorico, sacrificio dell’ingresso nel Cielo detto anche Ascensione o Risurrezione (passaggio al Corpo
glorificato)
Questo ingresso nel Cielo avviene
col Corpo glorificato (sacrificio di comunione) e col Sangue della Vittima
(sacrificio di espiazione).
C - L’EUCARISTIA GENERATA NEL MISTERO PASQUALE
I – Ultima cena – Mistero pasquale –
Celebrazione eucaristica
A) Lo schema
1) L’ultima
Cena, celebrazione prolettica del Mistero pasquale
Il racconto
secondo Luca, che sembra il più accurato, comincia con la descrizione della
cena pasquale tradizionale (22,14-18), dove si parla di pasqua (agnello
pasquale) e di frutto della vite, per proseguire quindi con la Cena pasquale nuova.
L’azione di
Gesù nella vigilia della sua passione serve a conferire il significato alla sua
Morte, per dire: darò la mia persona (Corpo) e persino la mia vita (Sangue) per
voi e per molti; serve inoltre ad impartire il comando della reiterazione della
Cena. Tutto è reale, dall’offerta del pane-calice all’assunzione da parte dei
convitati, tanto che alcuni ci vedono l’atto fondativo della Chiesa[31]
(e talvolta si dice che il racconto è stato modellato sulle celebrazioni nelle
chiese paoline).
E’ un’azione
reale, ma nel registro sacramentale-profetico, operata dal Gesù terreno e
narrata come un evento visibile in san Paolo e nei Sinottici
Il Corpo è
realmente “dato” (soltanto in Luca) e il Sangue è realmente “versato” (
Mc-Mt-Lc).
2) La Pasqua di morte e di gloria
E’ presto detto:
una volta per sempre il Corpo di Gesù realmente viene crocifisso e il suo Sangue
realmente versato (registro storico, sperimentabile).
Il passaggio
tra Gesù morto e il Cristo glorificato, come abbiamo detto, non è raccontato,
perché invisibile (registro teologico, interiore); inoltre non è reiterabile,
in quanto effettuato una volta per sempre.
3) La
celebrazione del memoriale della Pasqua nell’Eucaristia
La
celebrazione conviviale dell’Eucaristia è il memoriale della Cena - secondo
l’ordine espresso dal Gesù terreno: “Fate questo in memoria di me” - e l’azione
ripresentativa, riattualizzativa del Mistero pasquale (registro sacramentale),
“sacramento della Morte redentrice”[32].
E’ il “corpo”
comunitario terreno di Cristo (Chiesa) che ripresenta il Mistero pasquale del
Crocifisso-Risorto. I destinatari, come nella Cena, partecipano e ricevono il
frutto benefico del Sacrificio fondante e irripetibile. Come se il Cristo
dicesse: “Mediante questo pane-Corpo e questo vino-Sangue ricevete la salvezza
che ho ottenuto per voi nel mio passaggio (pasqua) al Padre”.
Sintetizzando, si offre il
sacrificio
a) del Corpo che ci fa vivere la
vita divina (convito sacrificale di comunione)
b) del Sangue che ci ottiene il
perdono del Padre (sacrificio conviviale di espiazione).
B - I principali eventi della
storia della salvezza sono preparati da un’azione anticipatrice -
secondo il principio generale che dice: “Per un semita l’azione profetica è
efficace, produce” - e sono ripresentati
periodicamente nel rito comunitario.
1° - Ciò è individuabile in molti
testi della Bibbia
1) Momento
anticipativo
Oltre a nomi profetici (i nomi
dei figli dei profeti: vedi Is 7 e 8; Os 1), si trovano nella Scrittura alcuni
esempi di azioni profetiche: “la pietra da cui bevevano era Cristo” (1Cor
10,4), il mantello sezionato del profeta Achia (1Re 11,30-32), le corna di
ferro del profeta Sedecia (1Re 22,11), il lancio della freccia proposto da
Eliseo (2Re 13,15-19), il vaso di
terracotta e le altre azioni simboliche (Ger 19,11; cc. 27-28); la tavoletta e
la teglia, la lama e i peli (Ez 4,1-3;
5,1-5), l’unzione a Betania, l’agonia
nel Getsemani, la legatura di Agabo (At 21,10-11).
2) Momento
ripresentativo
Così pure si può dire delle
azioni (e non solo ricordi) ripresentative e riattuative dell’azione
principale: l’alleanza in Moab contratta da chi è presente in quel luogo e da
chi verrà in seguito (Dt 29,13s); il banchetto pasquale celebrato di
generazione in generazione (Es 12,14. 25-27);
la proclamazione “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha
concluso con voi” (Es 24,8), che, in un contesto chiaramente sacrificale,
richiama Mc 14,24: “Questo è il mio sangue dell’alleanza”.
2° - Questa costante è conservata
nella celebrazione eucaristica
1) Momento anticipativo
Si è molto
discusso sul fatto che i participi verbali della duplice parola di Gesù nella
Cena sono espressi al tempo presente. Qualcuno parla di futuro imminente (ciò
che sta per essere dato-versato), qualche altro di significato anticipativo-prolettico
(ciò che sarà dato-versato). Notiamo pure che la Cena e la Croce avvengono nello stesso
giorno liturgico ebraico: dalla sera del giovedì al pomeriggio del venerdì.
Dupont parla di profezia in azione, di rito
prefigurativo, di simbolo nell’ordine dell’azione, di Gesù che “annuncia la sua
morte prossima”.
2) Momento
ripresentativo
A parte post, “ricostituzione di una situazione passata,
secondo una linea retta”, come in Es 12. “Presenza attraverso tutto il simbolo;
presenza che si dà e che salva” (Durrwell). Cristo ripresenta la sua morte con
un gesto reale-simbolico. I discepoli commensali “bevendo il sangue entrano
realmente nell’alleanza, come gli ebrei che ricevono l’aspersione” in Es 24.
Se una delle
chiavi di lettura di Eb è la corrispondenza tra ciò che avviene in cielo e ciò
che si riproduce sulla terra, domandiamo: perché l’offerta sacrificale del
Corpo (10,10) e del Sangue (9,7.12; 13,20) di Cristo non dovrebbe attuarsi
ritualmente in terra tra i cristiani, ai quali è detto “vi siete accostati…all’adunanza
festosa (panegùrei), all’assemblea (ekklesìa) dei primogeniti….al sangue
dell’aspersione” (12,22-24)? Secondo la teologia ortodossa, è per la nostra
vista “oscurata” che non percepiamo la celebrazione eucaristica
come già liturgia celeste[33]
Una misteriosa
analogia allusiva si può trovare anche nel presupposto della relazione
celeste/terrestre che si trova nell’Apocalisse (come per esempio nel c. 12).
C) Tenendo conto di alcune
affermazioni oggi acquisite: che il corpo umano è l’Io presente nel mondo; che la
presenza al mondo può realizzarsi in diverse modalità; che mistico-misterico
significa sacramentale; che l’Eucaristia era detta nel M. E. “corpus mysticum”, e la Chiesa “corpus reale” (De Lubac), possiamo formulare tre affermazioni:
a) Nell’ultima Cena colui che
parla può dire:
-
io sono qui col mio corpo fisico
-
il pane che vi offro in cibo è misticamente il
mio Corpo che sta per essere offerto in sacrificio sulla Croce.
b) Nel Mistero pasquale
-
Nella Morte io offro il mio corpo fisico in
sacrificio
-
Nella Risurrezione-Ascensione io entro nei cieli
col mio Corpo sacrificale e lo offro perennemente a Dio, che lo glorifica.
c) Nella vita del corpo “reale”
di Cristo, che è la Chiesa
-
la celebrazione eucaristica è il sacramento del
Corpo e del Sangue offerti una volta per sempre sulla Croce
-
dopo la celebrazione è presente misticamente il Corpo
glorioso di Cristo che è entrato nei cieli.
D) L’Eucaristia riassume infine i tre momenti del
tempo:
- ripresenta il sacrificio di Cristo sulla croce mentre ne fa memoria “donec veniat” (1Cor 11,26)
- è la presenza gloriosa permanente nel suo Corpo e Sangue
- nell’attesa della pienezza parusiaca, invocata nel marana tha (1Cor 16,22).
II – Corrispondenze tra Eucaristia e
Cristologia
Se ci
chiediamo in quale rapporto stiano morte e gloria nella celebrazione del
mistero eucaristico, possiamo ricorrere a un caratteristico pensiero di un
teologo: “Unita, mai reiterata, la morte
storica si rende presente nella sua attualità, nella sua perenne pienezza, nel
suo termine, che è la gloria”[34]
1) Lo schema
duplice “abbassamento-innalzamento” si ripresenta nei due aspetti dell’offerta
eucaristica:
a) Corpo dato alla morte, che
viene messo in evidenza dalla denominazione “Fractio panis” (klàsis:
At 2,42; cfr klàsma diescorpisménon di
Didaché, 9);
b) Corpo glorificato dato ai
commensali, che viene espresso con la denominazione “Cena o Tavola” (déipnon, tràpeza: 1Cor 11,20; 10,21), la
quale può ben richiamare il banchetto escatologico di Is 25,6.
Il mistero pasquale dalla parte
del Figlio si presenta come sacrificio ascendente:
- il Figlio entra nel santuario di Dio con la sua natura di uomo (Corpo)
- col Sangue della propria fedeltà filiale (adesione e obbedienza) per la salvezza dell’umanità.
Così il Cristo eucaristico celebra
il sacrificio discendente:
- ci comunica la sua vita divina (ci consacra) col suo Corpo divinizzato
- ci redime col suo Sangue purificatore.
2) Possiamo
trovare riflesse nell’Eucaristia quelle
che sopra abbiamo chiamato “esigenze”
della cristologia di base ontologica:
- Come uomo: Cristo nel suo corpo
viene offerto a Dio come vittima pura (cfr Mal 1,11)
- In quanto uomo libero Cristo
accetta di essere dipendente dal Padre come il Figlio e diventa così vittima
consapevole e volontaria (espressa nel Sangue) nell’Eucaristia
- Come Figlio di Dio, Cristo
“vivente e glorioso” (così dice il Catechismo della C. C.) esprime nella storia
la sua dimensione filiale nell’offerta al Padre del suo Corpo e Sangue; mentre la Chiesa suo “corpo” si
unisce alla sua offerta e intercessione
- Come dicono i Padri della
Chiesa, noi diventiamo concorporei e consanguinei del Cristo Dio Figlio fatto
alimento; addirittura diventiamo “dèi”.
Secondo la teologia dei testi
liturgici e dei catechismi, Cristo nell’Eucaristia è insieme altare, vittima e
sacerdote.
3) Possiamo
portare avanti la nostra riflessione fino a incontrare il massimo mistero
cristiano. La comunità celebrante “a circolo chiuso” attorno all’altare mette
in evidenza la modalità del banchetto; mentre il luogo sacro in cui si celebra
l’Eucaristia può richiamare simbolicamente la dottrina della Trinità
“economica” nella Storia della salvezza.
Prendendo lo spunto dallo schema
liturgico della “chiesa processionale” (ad angolo aperto, rivolto all’Oriente,
centrata sulla dimensione sacrificale)[35],
che distribuisce trinitariamente i luoghi:
- Sede (del Vescovo[36]), riferita al Padre
- Ambone-Altare, riferiti al Cristo Maestro e Celebrante
- Aula dove si colloca il popolo, riferita allo Spirito,
si può trovare una duplice
“processione”:
- una discendente (exitus) che va dal Padre (arché, àlpha), attraverso il Cristo Maestro (ambone), all’aula del popolo in ascolto della Parola: percorso rivelatorio
- una ascendente (reditus) che va dal Popolo offerente, attraverso il Cristo Sacerdote (altare), al Padre (télos, oméga): percorso sacrificale.
III – Ripresentazione del Sacrificio della Nuova alleanza
1) Pane-vino e
Corpo-Sangue assumono nella celebrazione due significati distinti e paralleli:
a) Se la prima dimensione del
peccato dell’uomo è allontanarsi da Dio, far a meno di Dio, la Redenzione consiste nel
riallacciare la relazione con lui.
Il pane-Corpo, nel segno della
comunione, sono gli estremi del passaggio
-
della persona di Cristo dal mondo degli uomini
al mondo di Dio,
-
dal passaggio del pane da dono a Dio a dono di
Dio, e da nutrimento naturale che dura qualche giorno a nutrimento di grazia
che permane per lungo tempo (Si ricordi il pane di Elia: 1Re 30,8)
b) Se la seconda dimensione del
peccato degli uomini è data dall’agire contro Dio, la Redenzione consiste nel
ritornare allo spirito di soggezione verso di lui.
Il vino-Sangue, nel segno del
sacrificio, sono gli estremi del passaggio
-
da vino sacramento di gioia a Sangue sacramento
di vita
-
da sangue segno della morte naturale a Sangue
segno di obbedienza ed espiazione (vedi Eb 9,12; Ap 1,5; 7,14)
In primo piano dunque non sta il
Sangue, ma l’alleanza - come si vede dalla formula eucaristica sul calice:
“l’alleanza nel Sangue” (1 Cor e Lc, diversamente da Mt e Mc) - ben sapendo che
il Cristo non offre il suo Sangue, ma entra nei cieli offrendo se stesso in
virtù del suo Sangue (Eb 9,12, ricordando che l’autore è classificato
nell’orbita di Paolo).
Anche nella seconda parte del Pater noster chiediamo il pane
soprannaturale[37] e la
remissione dei peccati.
2) Benché
Carne e Sangue siano la medesima realtà[38];
mi sembra che si possano distinguere in ragione della loro forte
simbologia:
- Il Corpo significa la persona che è donata[39] nel banchetto di alleanza (sacrificio di comunione), che in quell’atto sacramentale è il Cristo risorto, vivente in eterno anche come uomo. Questo elemento è posto maggiormente in luce da Luca, che presenta un banchetto (cfr. Lc 24) in cui si spezza il pane (Corpo) come segno della donazione di amore fatta per noi da Cristo e come nutrimento perché entriamo nella vita divina.
- Il Sangue, come nell’Apocalisse, richiama il mezzo con cui si dona, la morte redentrice dell’Agnello che è immolato nel banchetto sacrificale. Questo elemento è posto maggiormente in luce da Matteo, dove si parla di vino (Sangue) versato come segno della vita offerta in sacrificio di espiazione.
3) La Cena ci dà il significato
soteriologico del Calvario; l’Eucaristia, mentre lo simboleggia, ne realizza
l’efficacia nella vita della Chiesa. Senza interpretazione la Croce sarebbe un supplizio,
non un sacrificio salvifico; la celebrazione sarebbe un banchetto sociale,
comunitario, non un sacramento di grazia.
“Il sacramento
è il prolungamento del sacrificio del Calvario; è applicazione dei frutti” [40].
Presenza anticipatrice, benché velata, di colui che è atteso nella parusia
“L’aspetto
simbolico è il primo, e non esclude il realismo”: “La mia carne è veramente
cibo” (Gv 6,55)
4)
Anche all’interno della celebrazione eucaristica possiamo trovare la direzione
ascendente e discendente:
a) la Chiesa, corpo di Cristo, si
pone in umile adorazione di Dio e in atteggiamento di supplica per la
remissione dei peccati
b) Cristo ci conferma nell’alleanza
e ci ottiene il perdono.
IV – Conclusione
Quello che
Cristo nella sua triplice funzione ha comandato in momenti cruciali della sua
esistenza è stato concretamente eseguito con segni (sacramenti) dalla sua Chiesa:
a)
Cristo Profeta (Verità) ha annunciato la Parola di Dio e l’apostolo
l’ha predicata: “Proclamate il vangelo” (Mc 16,15); “Cristo mi ha mandato ad
annunciare il vangelo” (1Cor 1,17); “L’avete accolta come Parola di Dio” (1Ts
2,13);
b)
Cristo Sacerdote (Vita) ci ha dato la Grazia e gli apostoli sono stati mandati a
comunicarla coi Sacramenti Battesimo ed Eucaristia: “Andate….battezzando tutti
i popoli” (Mt 28,19); “Fate questo in memoria di me” (1Cor 11,24-25);
c)
Cristo Pastore e Guida (Via) ha comandato
principalmente l’Amore fraterno e i discepoli l’hanno praticato: “Questo è il
mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 15,12.17; cfr 13,34);
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13,35); “Amiamo coi
fatti e nella verità” (1Gv 3,18); “Anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”
(1Gv 4,11; cfr 7.12; cfr 3,23)
Come potremmo trascurare il
testamento di Cristo nell’ultima Cena, che c’impone di fare memoria della sua
persona?
D - SCHEMA SINTETICO
Raccogliendo i dati disseminati
nelle pagine precedenti, ci accingiamo a rileggerli disponendoli in parallelo
per un tentativo di sintesi. Con due avvertenze:
a) Il linguaggio della
rivelazione non è tanto vicino al pensiero logico (assomigliando a un
geometrico giardino all’italiana), quanto piuttosto al procedere del simbolismo
(come si avrebbe in un lussureggiante giardino all’inglese).
b) Sapendo che il tempo salvifico
o sacro o liturgico è essenzialmente superiore a quelli ciclico e storico[41],
possiamo affermare che nella storia della salvezza a noi rivelata altro è
l’ordine della cronologia dei fatti (guardando in avanti verso l’éschaton), altro è l’ordine della
comprensione nella rilettura degli eventi (guardando all’indietro a partire dal
centro)[42].
Premettiamo un quadro grafico,
cui seguiranno le relative esplicitazioni
I - Lo schema su due direttrici
a) In linea verticale: b) In linea
orizzontale:
I : Storia
d’Israele
A – B : preparazione
II : Vicenda
di Cristo
C : introduzione al passaggio
III : Vita cristiana sacramentale D – E : estremi del
passaggio
F – G : conclusione e prosecuzione
I – ISRAELE
|
II – CRISTO
|
III – CHIESA
|
A - Parola creatrice. Inizio della storia universale di
salvezza
|
Incarnazione. Preparazione del Mediatore Profeta e
Sacerdote
|
Battesimo, costituzione della “nuova creatura” in Cristo
|
B - Parola normatrice (Sinai): proclamazione della Torah.
Accettazione solenne
dell’alleanza
Peccato del Popolo
|
Ministero di predicazione: chiamata alla conversione e annuncio
del Regno.
Getsemani: accettazione del
piano di salvezza del Padre
Rifiuto delle folle. Condanna del Sinedrio
|
Liturgia eucaristica della Parola:
Cristo Pane di Verità (Gv 6,28-51b)
Accettazione delle verità di fede
(Credo)
Domanda di perdono per i peccati
|
C - Cena pasquale (Es 12): manducazione dell’agnello e dei
pani azzimi; aspersione col sangue di protezione.
Anticipa l’esodo dall’Egitto
|
Ultima cena (Sinottici), con la comunità prepasquale dei
discepoli.
Anticipa il nuovo esodo
|
E’ imbandito il convito che rende presente il M.P.
Presentazione del dono del fedeli (pane e vino).
Anticipa il banchetto escatolog.
|
D – Uscita dalla
situazione di morte; miracolo del mare.
- Immolazione del capro espiatorio; aspersione col sangue
di purificazione
|
L’umanità di Cristo esce dalla situazione “di carne”
Morte: effusione fisica del sangue per la remissione dei
peccati.
|
Terminus a quo
della “transustanziazione”
Lo Spirito di Cristo trasforma il vino in Sangue effuso
come segno della morte salvifica
|
E – Attraverso il deserto, ingresso nella via della
salvezza fino alla terra della Promessa.
- Ingresso del Sommo sacerdote nel Santissimo
- Emissione del capro vivo nel deserto
|
Ingresso col “corpo spirituale” nel Tempio celeste:
rinnovazione dell’alleanza.
Cristo risorto, vincitore sulla morte, prende possesso del
suo Regno nel quale vive in eterno
|
Terminus ad quem della
“transustanziazione”
Lo Spirito di Cristo trasforma il pane in Corpo del
Vivente (dono permanente)
|
F - Ripresentazione rituale dell’alleanza (Es 24)
Ripetizione del rito del capro espiatorio nello yom kuppur
|
Pasti simbolici del Risorto con la comunità dei credenti
(Lc 24; Gv 21)
|
Reiterazione dell’Ultima cena.
Comunione del Corpo-Sangue di Cristo ai fedeli. Cristo
Pane di Vita (Gv 6, 51c-56)
|
G - Attesa del Messia escatologico (o di Dio) e della
nuova alleanza
|
Esercizio del sacerdozio eterno di Cristo
|
Missione della Chiesa: estendere il Regno, in attesa della
gloriosa Parusia
|
II – Esplicitazioni dello schema
A) E’ possibile una lettura in direzione orizzontale
Si può vedere nel centro del mistero
salvifico un progresso di unificazione:
I) Nella teologia dell’AT
(I colonna) si fissa l’attenzione su due elementi distinti: un evento di
passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà del deserto (Es 14-15) e un
rito purificatorio col sangue (Lv 16)
II) Nell’evento pasquale
(II colonna) si ha la riduzione a un unico elemento a due facce, costituito dalla
Morte in Croce e dall’entrata di Cristo nel Santissimo per annullare il
peccato, col Sangue che purifica la nostra coscienza (Eb 9,14); lo stesso
elemento che Giovanni esprime col passaggio da questo mondo al Padre (13,1) dell’Agnello
che toglie il peccato del mondo (1,29); vedi anche l’Apocalisse
III) Nella riattualizzazione eucaristica
(III colonna) troviamo un elemento unificato di significazione del sacrificio:
il passaggio del pane-vino al Corpo “(dato) per voi” (Lc; 1Cor) e Sangue
“versato per molti/voi” (tre Sinottici) in remissione dei peccati (Mt).
B) E’ possibile una lettura in
direzione verticale
1°) Storia della salvezza in
Israele (Salus a Deo)
A) La prima offerta della salvezza
è nell’alleanza della creazione[43]:
Dio costituisce un partner personale fuori di sé (la persona, il popolo
d’Israele, tutta l’umanità)
Ma interviene il peccato
fondamentale, generale (originale) che mette in crisi l’alleanza (teologia del
capitolo 3 di Genesi).
B) Offerta della salvezza ad un
popolo che liberamente si costituisce accettando l’alleanza (teologia
dell’esodo)
Ma interviene una lunga serie di
colpe e di castighi che rappresentano le ombre della storia sacra d’Israele
C) Il castigo emblematico per
Israele è la schiavitù egiziana.
Ma Dio interviene attraverso Mosè
per concedere la liberazione del suo popolo. Dopo molti rifiuti opposti dal
faraone, è consentito al popolo di uscire per “celebrare” nel deserto. La cena
pasquale di Es 12 comprende la tinteggiatura protettrice delle porte col sangue
dell’agnello.
Cancellato il rifiuto, il popolo
e l’uomo ritornano alla comunione con Dio
D) L’atto centrale della
liberazione (esodo) è costituito dal miracolo del mare
Nel Levitico è descritta
l’immolazione rituale del capro “espiatorio”, o purificatorio, seguita dalle
varie effusioni del sangue nel Santissimo
E) Il popolo costituito come tale
e liberato entra nel percorso della speranza, alla fine del quale la Terra promessa ai padri
diventa la Terra
del possesso, prima realizzazione del Regno di Dio.
Tutto ciò avviene attraversando
il deserto, che sappiamo essere un duplice “luogo”: di solitudine, castigo,
tentazione; ma anche di conversione e incontro con Dio nel silenzio
sapienziale, riconoscenza per i doni divini, sperimentazione della nostra
insufficienza e dell’intervento superiore, vittoria sulle forze del male
Abbiamo anche i riti
dell’ingresso del Sommo sacerdote nel Santissimo e dell’introduzione del capro
“emissario” (che viene consacrato, non maledetto) nel polivalente “luogo” del
deserto.
F) Il rito compiuto da Mosè in
conclusione dell’alleanza (Es 24) presenta il modello della stipula di ogni
alleanza. In tre momenti: accettazione delle Parole: “Noi li eseguiremo” (v. 3)
/ suggello attraverso il sacrificio di sangue (vv. 5-8) / partecipazione al
convito comunitario: “Mangiarono e bevvero” (v. 11).
In Lv 16,34 si stabilisce la
ripetizione del rito del capro espiatorio
G) Nel post-esilio, venuto meno
il sogno di un regno dinastico, Dio promette per la salvezza d’Israele e di
tutti i popoli (Deuteroisaia) la nuova ed eterna alleanza (Ger 31,31; 32,40),
l’instaurazione del suo Regno attraverso il Messia escatologico o
addirittura il suo intervento diretto
(Ez 34), l’istituzione di un nuovo culto
(Ez 40ss).
2°) Salvezza cristica (Salus per Christum)
A) Costituzione dell’unico
Mediatore (1Tm 2,5), a prescindere dal peccato dell’uomo: Gv 1; Eb 10[44].
Cristo Via
B) Annuncio del Regno nuovo e
interpretazione nuova della Torah sulla linea dei Profeti
Cristo Verità
Rifiuto da parte delle folle e
soprattutto delle autorità religiose
Gesù accetta nel Getsemani la sua
morte per la fedeltà al Padre, divenuta necessaria (vedi il ripetuto “dei” dei Vangeli) di fronte al rifiuto
totale degli uomini
C) Gesù celebra “l’ultima pasqua
vissuta con gli amici (…) nella quale avranno compimento le attese, le speranze
di liberazione rievocate ogni anno con la cena memoriale dell’esodo (cfr. Es 12)”
[45]
Gesù promulgando la nuova
alleanza anticipa il nuovo esodo pasquale che si attuerà in due “momenti” e in
una duplice dimensione esistenziale
Con le sue parole dà un senso a
tutta la sua esistenza terrena e al prossimo evento di donazione suprema della
vita sulla Croce..
Cristo Vita
D) L’atto supremo della salvezza
inizia con la donazione della vita da parte del Mediatore nella Morte con
effusione del Sangue: massimo segno della filiale dedizione totale a Dio
Il sacrificio consiste nel
trasferimento del bene più grande che ha l’uomo, la vita, dal mondo umano al
mondo di Dio, che è il donatore della vita.
E) L’atto redentivo di Cristo si
conclude col ritorno filale a Dio e con l’accoglienza del dono sacrificale da
parte di lui.
F) Il Risorto dà ulteriori segni
visivi[46],
percepibili in questo mondo, della sua trascendente presenza presso il Padre,
cioè in una diversa “condizione” (en
hetéra morphé: Mc 16,12).
G) La sua presenza trascendente
non lo disgiunge da noi: è sempre vivo per intercedere in nostro favore
3) Salvezza nella Chiesa (Salus in Spiritu)
A) La vita sacramentale degli uomini nello Spirito inizia col
Battesimo, il primo dei sette sacramenti, la porta verso tutti gli altri.
Rappresenta coll’Eucaristia il duo principale dei sacramenti pasquali
B) Il primo segno del ritorno
all’alleanza con Dio, insieme con la domanda di perdono dei peccati, è
l’ascolto e l’accettazione della Parola di Cristo Maestro
Questo rapporto asimmetrico è
significato della proposta/accettazione delle verità della “fides quae”, ciò che Weber chiama “sacrificio dell’intelletto”[47],
mentre sacrificio non significa suicidio della ragione, ma sua apertura a una
verità superiore alla mente umana (“mistero” biblico).
C) La comunione dell’uomo (e
della comunità) con Dio è significata nel banchetto, i cui commensali sono Dio
invitante e l’uomo invitato, e nella presentazione dei doni come dovere di
adorazione e ringraziamento.
D) Il movimento del passaggio
(pasqua) e trasferimento (metabolé) dal
mondo creato al mondo di Dio (katà sàrka
/ katà pneùma) è costituito dalla miracolosa trasformazione del vino in
Sangue che significa la Morte,
cioè il mezzo con cui avviene la donazione di Cristo[48].
E) Il movimento del passaggio
(pasqua) e trasferimento nel mondo di Dio è costituito dalla parallela
trasformazione del pane nel Corpo della persona che è donata, il Cristo vivente
in eterno, presente come Sacerdote del Sacrificio, Capo-mensa e Grande radunatore[49]
del banchetto, e Signore della sua Chiesa
F) Il Corpo-Sangue del Risorto è
dato come nutrimento ai commensali del banchetto celebrativo e come oggetto di
adorazione da parte dei fedeli.
G) Da questa partecipazione
sacramentale alla Morte-Risurrezione del Cristo la Chiesa ottiene la forza di
estendere il Regno di Cristo fino alla sua venuta nella Parusia.
Concludendo
La salvezza si concretizza in una
comunione-alleanza:
- Nella Creazione, tra Dio e l’uomo o il Popolo
- Nell’Incarnazione, tra la natura divina e umana nell’unica persona del Dio-Uomo
- Nel Mistero pasquale, tra le due situazioni esistenziali (carne/spirito) dell’umanità di Cristo
- Nella Chiesa di Cristo, tra l’azione dello Spirito e del ministro umano
- Nell’Eschaton, tra il creato e Dio, che è tutto in tutti.
§ III – QUESTIONI CONNESSE
I - La categoria “sacrifico” è ancora
valida per interpretare la
Pasqua?
Un antropologo
di valore, René Girard, limitandosi a una parziale lettura di Eb, ha mosso le
acque della soteriologia concependo una teoria[50]
che, insieme a richiami spesso aspri e talvolta oggettivi, presenta alcune
lacune: una concezione molto escludente di sacrificio e del mistero pasquale,
la riduzione del messaggio cristiano ad alcune esorbitanze che purtroppo hanno
fatto storia nella teologia, nella spiritualità, nella predicazione e nella
catechesi, la messa in crisi della nostra idea del Dio cristiano
Questa teoria
attribuisce non agli uomini la violenza che hanno inferto a Cristo, ma un Dio
giustizia, crucciato e vendicativo Padrone, parla di un patto sacrificale tra
Dio e Gesù, tematizza l’espiazione cruenta e forme esasperate di sostituzione
vicaria.
Il sacrificio
vero per noi è invece fondato su un Dio che è Amore fedele perché Padre, che
vuole stringere un’alleanza di amicizia; il sacrificio di Cristo non è rituale
e penale, ma personale ed esistenziale, che tende alla trasformazione
dell’esistenza in vista della relazione con Dio; per cui parliamo non di
immolazione della vittima, ma di morte volontariamente accettata.; per noi la Redenzione è fondata
sulla solidarietà volontaria e rappresentatività.
Qualcuno
propone di abbandonare la categoria di sacrificio ma come possiamo farlo se
nella Scrittura – e quante volte in Eb - figura il verbo “offrire” e il
sostantivo “offerta” (prosphéro,
prosphorà)? Non conosciamo infatti anche tra gli uomini un sacrificio di
amore in campo sia religioso che civile
e militare?
II - Dobbiamo affrontare una questione: come, al di là
dell’evento del Calvario, il sacrificio e la presenza della vittima possano
esser detti reali?
Un esempio forse può servire d’introduzione
all’individuazione dei vari modi in cui si esprime la realtà. Nel ciclo vitale degli organismi superiori
riscontriamo tre fasi:
- fase generativa: unione di due gameti in uno zigote
- fase realizzativa: vita dell’individuo completo
- fase estensiva: generazione di nuovi individui.
Nella trafila, che trova il suo baricentro nella fase
realizzativa, c’è una certa permanenza di elementi del DNA identificativo di
partenza.
1) Nella
teologia scolastica si arriverà ad usare il linguaggio ontologico
(transustanziazione) che verrà canonizzato nel concilio di Trento in funzione
anti-protestantica. Oggi quel linguaggio viene visto come “cosistico”, mentre
si preferisce esprimersi anche secondo un’ontologia relazionale-personale, che
va da persona a persona, ma reale (il rapporto tra il significante e il
significato non esiste solo nella mente, ma si fonda “in rebus”). Non pieghiamo le ginocchia davanti al “santissimo
Sacramento”, ma al Cristo glorioso presente personalmente sotto le “specie”
(“Pregare dinanzi al volto di Cristo”: Durrwell); il celebrante non sposta, né
il sacrilego “ferisce”, il corpo di Cristo, ma il sacramento.
La lettura
esclusivista troppo “dura” non trova supporto nemmeno nel concilio di Trento,
che parla di ”…un tanto ineffabile e veramente divino beneficio con cui è
ripresentata (repraesentatur) la
vittoria e il trionfo della sua (del Redentore) morte”[51].
Anzi possiamo dire che il concilio cerca di trovare un linguaggio generale per
indicare i vari aspetti della presenza reale. Perciò mentre precisa con tre
avverbi la sua lettura[52]:
vere, non in signo (cioè: simbolo) / realiter, non in figura / substantialiter, non in virtute (cioè:
potenza), parla di presenza o manducazione sacramentale, “nella sua sostanza”[53],
di sacramento come “symbolum rei sacrae”
[54],
di immolazione sotto segni visibili[55].
Siccome San Tommaso[56] dice
che il sacramento è “in genere
signi”, “signum rei sacrae”, si può vedere come il “simbolo” slitti
facilmente nel concetto di “segno”.
2) Sembra che
nel retroterra del discorso si affacci la duplicità del modo di comprendere la
salvezza (che è globalmente auto-comunicazione divina):
- in chiave di teologia - di intonazione aristotelico-tomistica, in riferimento a Dio Essere supremo (“ipsum Esse per se subsistens”, concetto chiuso e statico – che, seguendo la Volgata e la LXX (egò eimi ho òn), traduceva Es 3,14 con “Io sono colui che sono”;
- in chiave di teurgia, o teosofia (assumo questi termini non nella loro contorta storia antica o recente, ma nella chiarezza dell’etimologia), in quanto azione salvifica di Dio, che seguendo il filone di Giovanni, Agostino e Bonaventura, si riferisce a Dio Amore (concezione relazionale e vitale), che traduce Es 3,14 con “Io sono (o sarò) con voi per liberarvi”[57].
3) D’altra
parte non è possibile concepire una presenza “reale-fisica” se non nel corpo
del Crocifisso, mentre si parla di presenza “reale-sacramentale” nelle molte
celebrazioni in tutti i tempi e in tutti i luoghi. E analogo discorso si
potrebbe fare per la realtà del sacrificio. Altrimenti si correrebbe il
pericolo di cadere in un errore analogo a quello dei “cafarnaiti” (Gv 6,52)
riguardo all’assunzione del pane-vino nell’Eucaristia.
Il concilio
Vaticano II insegna che “Cristo ha inviato gli apostoli….anche perché
attuassero (exercerent) per mezzo del
sacrificio e dei sacramenti…l’opera della salvezza che annunziavano”[58],
superando inequivocabilmente l’espressione che vedeva nell’Eucaristia la
“rinnovazione” del Sacrificio della Croce.
[1]
Vedremo nel § II, C/I come questo schema trovi applicazione in tutta la Bibbia e in particolare
nella “storia” dell’Eucaristia
[2] Ma
vedi diversamente in Eb 9,4.
[3] Vedi
in S. CAVALLETTI, Levitico, Roma
1976, soprattutto 29-37; in AA. VV. Nuovo
dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo 1989, specialmente L.
MORALDI (818-821) e A. VANHOYE (1389-1392)
[4] De civitate Dei X,6.
[5] De dom. oratione, 23; citato nel n. 4
della “Lumen gentium”.
[6] Qui
“sembrano fondersi in un’unica liberazione due filoni cultuali diversi: uno che
corrisponde maggiormente allo spirito levitico (….); il secondo relativo
all’invio nel deserto (….). Tale
elemento (….) presenta riscontri in molti riti eliminatori delle culture
pagane” (S. CAVALLETTI, 118).
[7]
Solitamente si traduce “mandato ad Azazel” (misterioso e discusso nome di
matrice diabolica, che forse perciò ha indotto a non metterlo in relazione con
Gesù); mentre R. PENNA I ritratti
originali di Gesù il Cristo, vol. II, Cinisello Balsamo 1999, 306, nota128
avverte: “Questo termine è interpretato come nome comune sia dai LXX (apopompaìos) sia dalla Vg (emissarius)”. Osservo inoltre che
ambedue i capri sono “per il sacrificio per il peccato” (Lv 16,5), e che quello
“per Azazel” viene mandato “perché si compia il rito espiatorio” (Lv 16,10);
dove la Volgata
traduce “Ut (Aronne) fundat preces super eo”. Nel Vocabolario Greco-Italiano del gesuita
Lorenzo Rocci (che conosce bene la
Bibbia greca) nelle voci apopémpo,
apopompaìos, apopompé non compare alcun accenno a un diavolo.
[8] Vedi
la voce in J. McKENZIE, Dizionario
biblico, Assisi 1981; Nuovo dizionario di teologia biblica, Cinisello
Balsamo 1989
[9] Vedi
anche un mio studio in “Euntes docete” 3/1974, 266-310.
[10] Come ho inteso
mostrare in “Marianum” 1-2/1978, 164-168.
[11] Si
veda come in seguito distingueremo nell’Eucaristia la formalità del Corpo da
quella del Sangue.
[12]
Scrive R. PENNA 308: “E’ importante il tema dell’offerta personale: mentre
nell’AT il valore del sacrificio proveniva dal sangue versato, ora in un certo
senso avviene il contrario, in quanto il sangue di Cristo acquista valore dalla
sua offerta, che non è cerimoniale ma esistenziale”.
[13] A. VANHOYE, Sacerdoti
antichi e nuovo sacerdote secondo il NT, Leumann 1985, 153, interpreta la
“tenda” come “il corpo glorificato del Cristo, nuova creazione”. Questo testo,
variamente interpretato (vedi R. FABRIS, in AA.VV., Le lettere di Paolo, vol. III, Roma 1980, 675s) viene riferito al
corpo dell’Incarnazione da R. PENNA, 311-314. Piace notare che, secondo
l’antichissimo Protovangelo di Giacomo, o Natività di Maria (10-12), la tenda
interna era stata tessuta da Maria fanciulla, una volta offerta al Tempio (Apocrifi del NT, a cura di L. MORALDI,
vol. I, Casale Monferrato 1999, 130-131).
[14] “Il
passaggio di Gesù “dalla sfera terrena a quella celeste….avvenne per mezzo
della sua morte in carne mortale” (B. LINDARS, La teologia della lettera agli ebrei, Brescia 1993, 127). Questo
autore nella nota precisa che il velo “ è una barriera che deve essere
rimossa prima che egli (Gesù) abbia accesso a Dio. Ma in
realtà il suo sacrificio fu compiuto nella carne (…..) ; (il velo) è il mezzo
per entrare nella presenza divina così com’è la barriera alla visione di Dio”.
Ciò concorda con quanto scrive C.
SCHNEIDER in GLNT, vol. V, 255-25s: “Traspare il duplice significato
dell’esistenza terrena di Gesù: da una parte – analogamente a 2Cor 5,16 - essa è come il velo che sta tra il Santo dei
Santi e la comunità, ma dall’altra rappresenta l’unica via possibile per
giungere al Santo dei Santi”.
[15] Nonostante la
traduzione della maggioranza degli interpreti si esprima col primo verbo, è
possibile citare l’osservazione di R. E. BROWN (Giovanni, Assisi 1999, 81): “I primi cristiani non avrebbero certo
fatto una netta distinzione tra il fatto che Gesù con la sua morte portasse via
il peccato o se lo addossasse egli stesso”. B. MAGGIONI, I Vangeli, Assisi 1980, 1373s va più avanti: “L’agnello è l’immagine
del servo di Dio che prende su di sé
– togliendoli – i peccati del popolo” (….). Probabilmente tutti e due i
significati sono presenti nel verbo ( ….
) Il servo di Iahvè di Is 53 (che) a nostro avviso è il punto di riferimento
privilegiato”. Osservo che nel vocabolario greco del Rocci aìro in un caso significa “prendere su di sé il governo”, mentre i
LXX in Lv 16, 22 traducono con lambàno.
Questa interpretazione metterebbe in analogia Cristo col capro emissario che
“porterà sopra di sé tutte le loro colpe” (Lv 16,22); e forse si può giungere
alla significativa notazione di Eb 13,12: “Gesù…subì la passione fuori dalla
porta della città”
[16]
Pubblicato in NRT 1972, 269-277.
[17]
Secondo W. SCHRAGE in GLNT, vol. XIII, 120-125.
[18] In Mysterium salutis. L’evento salvifico nella
comunità di G. C., vol. IV/2 (n. 8), Brescia 1975.
[19] Vedi
O. BAUERNFEIND in GLNT, vol. XIII, 1443-1464.
[20] H
CONZELMANN, Il centro del tempo, Casale
Monferrato 1977, 19 ci ha offerto, in termini biblici, uno schema simile a
questo, dove però si appiattisce la primitiva “attesa escatologica”.
[21] Vedi
CHEVALIER-GEERBRANT, Dictionnaire del
symboles, Paris 1982, 839-841; F..X.
DURRWELL, La risurrezione di Gesù mistero
di salvezza, Roma 1965
[22] B. SESBOUE’,
Gesù Cristo l’unico mediatore, vol.
I, Cinisello Balsamo 1991, 435.
[23] E’
preferibile non parlare di sostituzione senza precisazioni in quanto l’azione
principale di Cristo non esclude l’impegno secondario da parte nostra. Si tenga
anche presente che in Lv 16 il capro caricato delle colpe del popolo ed
estromesso è quello mandato ad Azazel (traduzione comune), mentre quello di cui
si versa il sangue è riservato a YHWH.
[24] K.
BARTH, Dogmatique, Genève 1966, 81.
[25] Vedi
in Saggi di cristologia e di mariologia,
Roma 1965, 114 e 330; Corso fondamentale
sulla fede, Alba 1977, 286-295.
[26]
Enchiridion del Denzinger, n. 302.
[27] Aggiungiamo
il monito dell’Imitazione di Cristo II, 12, 7: “Tota vita Christi crux fuit et martyrium”.
[28] Vedi BEHM, in GLNT, IX, 686, 689, 710, 715s; BROWN, Appendice V (1490ss)
[29] Ci
sia concessoi citare uno dei pensieri più profondi di Pascal: “Gesù sarà in
agonia sino alla fine del mondo” (806 nella numerazione Serini (553
Brunschvicg).
[30] Così
FABRIS, 603 (vedi anche. 610-614). Ma ogni autore dà la sua traduzione di questo
passo, che R. BULTMANN in GLNT, vol. III, 1148 giudica “assai controverso” .
[31] J
RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio,
Brescia 1973, 86; K. L. SCHMIDT, in GLNT IV, 1545.
[32]
Queste e le prossime espressioni sono tratte da F-X. DURRWELL, L’Eucaristia sacramento del mistero
pasquale, Roma 1982.
[33]
Scrive P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia,
Bologna 1966, 358: “Non si tratta del
permanere degli accidenti del pane, ma del permanere dei nostri occhi, incapaci
di contemplare la carne celeste, che conservano l’illusione delle apparenze”.
Il medesimo autore (citato in T. SPIDLIK,
L’idea russa, Roma 1995, 246) dice: “Il tempo liturgico è già l’eternità e lo spazio liturgico
orientato è già l’Oriente del Regno”
[34]
DURRWELL, La risurrezione, 473
[35] Come
è descritta, almeno nella sua direzione ascendente, attingendo da Jungmann e
Schwarz, in un’importante nota alle pp. 335s di J. RATZINGER, Il nuovo Popolo di Dio.
[36]
Ricordo che S. Ignazio (Magn. VI, 1; Trall. III, 1).dice che il Vescovo è al
posto di Dio (eis tòpon theoù) ed è l’immagine del Padre (ònta typon toù Patròs).
[37] Il
Merk, sulla linea di alcuni Padri come San Cipriano, traduce Panem nostrum supersubstantialem
[38] S.
CIPRIANI, in NDTB, 525
[39]
Nella parole della consacrazione del Pane il testo italiano riceve rispetto al
testo biblico di Luca, “dato per voi”,
un’ inteptetazione: “offerto in sacrificio”; forse perché il verbo dìdomi significa nel caso del martire
“dare la vita” (BUECHSEL, in GLNT II, 1173).
[40] Qui
e più sotto mi avvalgo di un esemplare studio di J. DUPONT in NRT 1958,
1025-1041.
[41] P.
EVDOKIMOV, 295-299. Nella sua comprensione sapienziale della teologia, a p. 350
l’autore scrive: “Attraverso la contemporaneità liturgica comunichiamo al di là
del tempo con quello che una volta per tutte rimane”.
[42] Sono
i due noti metodi che ho esplicitato nel mio lavoro Santa Maria scrigno dello Spirito Santo, Leumann 2004, 57-71.
[43] G.
GOZZELINO, Vocazione destino dell’uomo in
Cristo, Leumann 1985, 27-42
[44]
Questo intendevano gli autori medievali (S. Tommaso, S. Th. III, 1,3) quando si chiedevano se l’Incarnazione avesse
avuto luogo “si Adam non peccasset”. I
teologi francescani, sulla linea di Paolo (Ef 1), rispondevano affermativamente
(vedi G. BASETTI-SANI, ….Essenzialmente
Amore; Padova 1993; G. IAMMARRONE, La
cristologia francescana, Padova 1997)
[45]
FABRIS, 1254
[46]
“Questi fatti sono ciò che si può chiamare col Klappert la frangia storica’
della Resurrezione” (I. BERTEN, in AA. VV. La
Resurrezione, Brescia 1974, 66)
[47] In
Fil 2,17 si affiancano il sacrificio e l’offerta della fede.
[48] Si
noterà che in questa comprensione del mistero eucaristico (colonna III del
quadro schematico) c’è un duplice trasferimento parallelo: uno interno al
quadro D (vino-Sangue) e un altro interno al quadro E (pane-Corpo).
[49] Come
significativamente lo chiama P. VISENTIN, da me citato in “Euntes docete”
3/1972, 471.
[50] B.
SESBOUE’ ampiamente espone e valuta questa posizione. Le opere di Girard da prendere in considerazione sono La violenza e il sacro (originale
1972), Delle cose nascoste sin dalla
fondazione del mondo (originale del 1978); Il capro espiatorio (originale del 1982). Si può trovare una
valutazione – che non manca di spunti polemici contro una teologia del tempo -
delle sue idee in due articoli di P. GARDEIL in NRT 3/1978, 341ss; 5/1979,
676ss:
[51]
Denzinger, n. 1644.
[52]
Ibidem, n. 1636 e n. 1651.
[53] Ibidem, nn.1638, 1648, 1658.
[54] Ibidem, n. 1639.
[55] Ibidem, n. 1741.
[56] Summa Th. III, 60, 1 e 2.
[57] Può
servire alla riflessione la famosa dichiarazione del memoriale di Pascal: “Dio di
Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe.; non dei filosofi e dei dotti….Dio di
Gesù Cristo” (Pensieri
[Sellier-Papasogli], Roma 2003, 486-487).
[58]
Sacrosanctum concilium n. 6; cfr. n. 2 e Lumen gentium n. 3; testi liturgici
tradotti senza sotterfugi.
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