NASCITA INDIVIDUAZIONE E INTERPRETAZIONE DELLA PAROLA DI DIO
RIVELAZIONE
I
A - La rivelazione, per essere comunicazione, si deve servire della storia; essa però è di un ordine superiore alla storia. Quindi le vicende umane di un personaggio o di un popolo, per diventare storia della salvezza, devono ricevere un senso dalla rivelazione. Nel caso della comprensione del mistero di Cristo questa illuminazione proviene del mistero pasquale.
Il fatto della rivelazione è indimostrabile con prove di tipo critico-sperimentale; ad esempio, nella cristofania concessa a Saulo e nell’ispirazione da cui è stato guidato ognuno degli evangelisti.
La risposta alla rivelazione è la fede. Questa si esercita in due momenti (in due dimensioni) distinti, ma logicamente connessi tra di loro:
• fidarsi di (affidarsi a) un altro: è la fede-incontro con la persona, come in At 9 (fides qua creditur)
• accettare per veri gli insegnamenti e obbligatori i comandi di questa persona: è la fede-ascolto della Parola, come afferma Rm 10,17 (fides quae creditur).
B - Nelle religioni rivelate Dio ha la profondità relazionale di “persona”. Egli vuol comunicare, manifestarsi alla comunità degli uomini, per far conoscere e attuare il suo piano di salvezza nei loro confronti. Questa “rivelazione” si attua nella storia di un popolo e con la parola. In mezzo a tanti popoli immersi nell’idolatria e persino in culti immorali (sacrifici umani), se ne sceglie uno che funga da missionario della sua volontà e azione nella storia. Altri popoli avevano la missione di diffondere altri valori: il gusto del bello, la profondità del pensiero, la necessità del diritto, l’introspezione nei meandri del “Sé”, la meditazione sul “dolore”…
Secondo i ritmi della storia culturale di quel popolo unico, Dio manifesta la sua presenza e attua la sua volontà nella concezione (“teologia”) che il popolo ha dei rapporti religiosi e dei doveri morali nei confronti di Dio stesso e del prossimo. Dio manifesta la sua volontà in una storia determinata (educa e guida il popolo, anche attraverso i suoi profeti e capi) e nella produzione letteraria di un determinato periodo storico (ispira la “teologia” che viene espressa con la parola parlata e scritta). La Bibbia è quindi Parola unica di Dio nelle molteplici parole umane.
Il popolo “di Dio” ha una funzione rappresentativa: rappresenta Dio e l’affermazione della sua volontà: combattere contro il popolo equivale a confliggere con Dio. La parola di Dio ha una funzione moderatrice: l’esigenza di giustizia viene riportata a un equilibrio migliore, come nel caso della legge del taglione: se uno ferisce un membro del tuo clan, tu non hai il diritto di ucciderlo, ma soltanto di ferirlo.
II
Il vocabolo ebraico “dabar” (Logos, Verbum) ha due significati: evento e parola.
Il Verbo divino
• esiste nell’eternità di Dio (natura divina)
• si incarna nella storia (vita umana)
• annuncia la verità di Dio (insegnamento agli uomini).
Gli studiosi biblici si dividono in coloro che credono all’azione rivelatrice di Dio e in quelli che riconoscono in Gesù Cristo un profeta soltanto umano. Noi crediamo che il rivelatore e salvatore originario è il Dio trinitario, il quale si serve dell’umanità di Gesù e della comunità dello Spirito di Cristo (chiesa) per portare a termine la storia della gratuita “autocomunicazione” (K. Rahner), per cui Dio ci eleva ed ammette alla comunione della sua stessa vita. Questa storia non è scientificamente verificabile (misurabile), perché non può essere in tal senso verificabile l’azione dello spirito sia umano che divino.
L’autocomunicazione di Dio alla comunità credente (il suo Popolo) avviene attraverso il “sacramento” (o segno) - che fondamentalmente è Cristo - con due contenuti:
• Dio comunica il suo pensiero (verità) nel sacramento dei testi sacri del Popolo, che sono la sua Parola; in un’azione che è l’ispirazione biblica;
• Dio comunica la sua vita (grazia) nel sacramento del cibo del suo Popolo, che è il suo “corpo; in un’azione che è il banchetto sacrificale.
Il “luogo” per eccellenza della distribuzione dei doni divini si ha nella casa del Signore (Chiesa come corpo o comunità) durante le due parti della celebrazione eucaristica (Chiesa come corpo attualmente radunato).
La Rivelazione cristiana si articola in tre fasi:
• Gesù Cristo compie un evento unico e irripetibile, per es. Morte in Croce, suprema rivelazione di Dio (Eb 9,28: “Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti…”).
• La Chiesa da lui costituita comunica l’evento con la parola (predicazione) trasmessa ed estendibile a molti (1Cor 1,23: “ Noi annunciamo Cristo crocifisso”).
• Lo Spirito di Cristo fissa quella parola in un documento scritto sotto ispirazione (1Cor 15,3: “Ho trasmesso…che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture….”), perciò chiamato Scrittura.
E’ importante notare che, senza la parola, l’evento Cristo rimarrebbe chiuso nella sua singolarità storica.
III
Il Verbo uscendo dall’eternità di Dio accetta un duplice svuotamento (“kénosis”), o abbassamento, limitazione:
• Il Verbo si fa simile agli uomini
• La Parola di Dio si fa simile all’umano linguaggio.
Questo parallelismo tra Gesù–Parola e Scrittura-Parola è alla base (o nello sviluppo) di cinque affermazioni del magistero dei Pastori:
Leone XIII, Satis cognitum (in DS n. 3301)
Pio XII, Mystici corporis (nell’ultimo paragrafo della parte prima dell’enciclica)
Pio XII, Divino afflante Spititu, in EB n. 559
Conc. Vaticano II, Dei verbum, n. 13
Conc. Vaticano II, Lumen gentium, n. 8.
Riportiamo il brano della “Divino afflante”: “Come il Verbo sostanziale di Dio si è fatto simile agli uomini in tutto ‘eccetto il peccato’, così anche le parole di Dio, espresse con lingua umana, si sono fatte somiglianti all’umano linguaggio in tutto, eccettuato l’errore”.
Ecco perché possiamo dire che la Parola di Dio
• si incarna, accettandone i limiti, nella teologia della comunità credente (ebraica o cristiana) che vive in un determinato ambiente culturale e periodo della storia della Rivelazione e Salvezza
• e il suo messaggio deve essere fatto proprio e interpretato autorevolmente dalla comunità credente che l’ha espresso; altrimenti, chi ci assicura che il singolo credente interpreti il vero messaggio della Bibbia, quando partendo in modo surrettizio da questa sono nate molte eresie?
Ecco perché, distinguendo bene il contenuto del messaggio dal suo rivestimento culturale, possiamo dire che
• il messaggio soggiacente, da scoprire, è quello di Dio (che assicura la verità),
• i linguaggi sono degli uomini con la cultura del loro ambiente della loro epoca.
E ciò limita l’inerranza (esclusione dell’errore anche in questioni di storia o di scienza) che, una volta richiesta dalla concezione della “dettatura meccanica”, nel Vaticano II è sostituita col concetto ben più ampio e positivo di verità.
IV
Un argomento cruciale è quello del rapporto tra storia e rivelazione/fede. Oggi, espresso nel binomio “Gesù della storia / Cristo delle fede”, è divenuto oggetto di molti studi e di accese polemiche.
Ritenendo di non affrontarlo in questa sede, limitiamoci ad enunciare un principio: la successione tra il Gesù terreno e il Cristo glorioso deve essere letta in questa chiave: “continuità nello sviluppo”.
1)
a) “Luoghi” che danno l’avvio alla rivelazione
Per l’AT:
• eventi (gesti e parole) di un individuo o di un popolo (libri storici)
• visioni o locuzioni interiori (libri profetici)
• riflessione sulla realtà cosmica e umana (libri sapienziali).
Per il NT:
• comunanza di vita col Gesù terreno (aggettivo più adatto di “storico”, che indica l’uomo Gesù come è accessibile alla ricerca storica)
• incontri col Signore risorto
• realtà del mondo da evangelizzare e della chiesa
Da questi “luoghi” parte l’elaborazione orale e scritta della rivelazione cristiana:
• sotto l’illuminazione dello Spirito santo effuso alla Risurrezione del Cristo; la quale rappresenta il centro irraggiatore di tutta la Scrittura (come la luce interna a una cattedrale che dà splendore e significato a una vetrata prima immersa nel buio)
• nel confronto assiduo con le scritture precedenti (AT), come per esempio nella rilettura dei particolari della Crocefissione e Morte in Giovanni
• all’interno della comunità credente, specialmente radunata nell’assemblea liturgica.
b) La storia quindi non è l’unico “luogo” originario della rivelazione
La storia è costituita da ciò che hanno capito gli ascoltatori durante lo sviluppo degli eventi (esempio: Lc 24,31: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”), ragion per cui sono comprensibili frasi di Gesù anche oggettivamente contraddittorie riportate dai Sinottici; mentre la rivelazione viene data alla chiesa nell’elaborazione degli eventi
Lo stato del “corpo” risorto (“corpo spirituale”: 1Cor 15,44) e il dono della salvezza sono due elementi al di fuori del nostro tempo, del nostro spazio, della nostra controllabilità: i segni che essi lasciano nella nostra storia sono solo “frange” (B. Klappert) necessarie perché i fatti metastorici siano a noi rivelati.
La storia rispetto alla rivelazione
• è come il recipiente visibile che raccoglie il contenuto profondo
• è come uno scritto composto in caratteri tipografici troppo piccoli, che devono essere letti con una lente d’ingrandimento
• è come un testo geroglifico che deve essere capito col sussidio della stele di Rosetta.
Ad esempio: cosa dice una battaglia persa o vinta da Israele? Che significano le molte cifre della Bibbia? Come si deve intendere il grande viaggio verso Gerusalemme descritto in Luca? Che significano per noi oggi i numerosi passi di Matteo contro gli scribi e farisei? Che significano i due percorsi paralleli dei “vangeli dell’infanzia” di Matteo e Luca?
c) D’altra parte dobbiamo affermare con forza l’ineludibilità della storia, senza la quale il cristianesimo navigherebbe verso le secche del docetismo e gnosticismo.
Inoltre nessuno negherà che la storia (come l’incarnazione) era necessaria per il “manifestarsi” della Parola di Dio a noi che viviamo in questo mondo.
Ecco perché, dopo la demitizzazione esistenzialistica bultmaniana, fin dal 1954 si è sempre più posto in evidenza il Gesù terreno (Kaesemann).
2)
Il materiale di elaborazione:
a) da San Paolo viene presentato come significato teologico-salvifico (Dio che salva nel Messia Gesù) dell’elemento centrale e riassuntivo della vicenda del Gesù terreno: la Morte in Croce (considerata in modo assoluto prescindendo dalla vita precedente)
b) dai Sinottici viene aggiunto ai ricordi del Gesù terreno, inserendo nel racconto delle frasi che rimandano alla teologia post-pasquale (ad es. in Mt 16)
c) da Giovanni viene proposto come trasfigurazione della figura di Gesù sulla base del mistero pasquale (Morte e Risurrezione come due facce del medesimo evento di salvezza, espresso più volte con “essere innalzato”), essendo il quarto vangelo tutto una trasfigurazione.
L’elaborazione di Giovanni (simile a quella di altri scritti, per es. Ebrei) si colloca sulla linea di prolungamento della riflessione pre-pasquale; nella quale cambia più la significanza del linguaggio teologico che non il periodo di composizione (si confronti “Io sono” di Mt 14,27 con quello di Gv 8,24; oppure “figlio di Dio” in Marco e nel quarto vangelo)
Sulla complessa operazione giovannea si può utilmente vedere lo schema del lavoro di Martin Hengel riportato nel “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger, Prima parte, Rizzoli, p. 269 (cfr. anche p. 273).
NOTA
Con questo pensiamo risolto il dilemma tra due estremi del “problema” dell’illuminista Gotthold Ephraim Lessing: com’è possibile derivare da una verità storica (Gesù e gli apostoli) una verità soprastorica (Dio trascendente e la Chiesa come luogo di salvezza)?
E’ possibile derivarla perché, rispondiamo, il Dio biblico si rivela non tanto con lezioni di metafisica o di etica, ma soprattutto operando; e la sua opera fondamentale è la salvezza.
Ad una formulazione simile di questo pensiero dovuta a Johann Gottlieb Fichte: “Soltanto ciò che è metafisico può salvare, mai ciò che è storico”, risponde G. O’ Collins: “La confessione di fede va dallo storico (Gesù) al metafisico (Cristo il Signore). L’impegno e la fiducia di fede invece vanno dal metafisico (questioni sulla natura e il destino dell’uomo) allo storico (la risposta a queste questioni in una storia umana particolare)” (Teologia fondamentale, Queriniana, p. 201).
STORIA DELLA FORMAZIONE E INDIVIDUAZIONE
V
Schematizziamo il percorso nella seguente scaletta
1) Tutto parte da un’esperienza: di un fatto (anche civile, come la formazione di un regno), di una riflessione, di una illuminazione; da una riflessione su una situazione, sull’esperienza; dalla memoria di un’esperienza; dall’esperienza del bene e del male nell’uomo e nel mondo; dalla vita di culto in una comunità. Notiamo che i popoli dell’antichità facevano un ricorso alla trasmissione mnemonica molto superiore al nostro.
Un’esperienza del soggetto uomo non è dimostrabile, accertabile scientificamente. E’ ciò di cui fatica a rendersi conto il contemporaneo uomo di cultura; una cultura che è soffocata dallo scientismo riduzionista di matrice positivista (culto esclusivo delle scienze esatte).
Esempi di esperienza: la chiamata (vocazione, elezione) di Abramo, di Isaia, di Saulo (Paolo).
2) Le esperienze religiose sono molteplici e appartengono a diverse epoche culturali, risentono di varie situazioni storiche (es. la schiavitù, la sconfitta in battaglia, le invasioni di popoli stranieri), sono ricordate da diverse “scuole” o correnti di pensiero (teologia dell’Alleanza / della Promessa; ciclo di Abramo / di Mosè).
Si distinguono diverse “memorie” che cercano di interpretare un medesimo evento (sviluppi, che agli estranei possono sembrare contraddizioni). Si pensi alle “fonti” del Pentateuco (le più importanti: Jahvista, Deuteronomista, Sacerdotale), alle varie presentazioni dell’esodo (fuga o espulsione), alle varie modalità dell’attraversamento del Mar Rosso (acque divise come da un muro, o respinte da un vento asciuttore), ai vari autori del libro di Isaia, alla compresenza di quattro vangeli canonici.
3) L’esperienza religiosa viene diffusa attraverso la parola “pronunciata” (annuncio), che fa memoria dell’evento
Nell’AT si tratta di “uomini di Dio” (che possiamo riconoscere come “profeti”, cioè coloro che agiscono e parlano a nome di Dio). Esempi: Mosè (esodo, alleanza), Geremia (tragedia del Regno del Sud), Qohelet (situazione creaturale dell’uomo, posto al confine tra la natura inferiore e un “mistero” che lo sovrasta).
Nel NT campeggiano Gesù di Nazaret e quegli annunciatori del Cristo che comunemente chiamiamo “apostoli”.
4) La comunità credente, o Popolo di Dio (Israele, per l’AT, Chiesa cristiana per il NT), si forma a e vive attorno a questa parola pronunciata. Perché l’iniziativa non nasce dall’uomo, ma da Dio.
5) Alcuni credenti scrivono (sotto ispirazione) le cose più importanti della parola ”creduta”; abbiamo così la parola “scritta”.
Pensiamo agli storici, profeti e sapienti dell’AT; alle lettere, ai vangeli, all’interpretazione della storia passata, presente e futura (Apocalisse = Rivelazione) del NT.
6) La comunità dei credenti, con le sue guide (pensiamo, oltre a quelle della chiesa apostolica, alle guide della chiesa subapostolica: gli immediati successori) determina quali scritti riferiscono fedelmente la parola “creduta”; i quali per questo sono scelti per la lettura nell’assemblea liturgica.
Quindi possiamo dire che, anche quando si serve di un individuo, Dio affida la sua Parola alla comunità credente (Israele, Chiesa) perché:
• sia espressa in parole umane
• sia diffusa all’interno e all’esterno
• sia scritta per la fissazione e conservazione
• sia interpretata secondo il senso da Lui voluto.
La Bibbia non è quindi il primo coagulo attorno al quale si stringe il Popolo d’Israele. Questo centro unificatore si è concretizzato successivamente:
• nelle tradizioni orali dell’elezioni di un clan
• nel Popolo nato dall’Alleanza sinaitica
• nel dono della Terra
• in un Re, una Città santa, un Tempio
• nei profeti
• nella Torah (istruzione) e altri scritti.
Nel NT dobbiamo dire che la prima Parola è il Figlio eterno, ora vivente nella carne (Gv 1), ma possiamo dire che questa importanza lo configura al centro assoluto di tutta la Bibbia.
VI
Come nasce la fede cristiana?
La rivelazione di Dio in Gesù e nello Spirito ha due inizi:
a) un primo inizio che ha la precedenza cronologica-fattuale; per cui in NT è visto come un libro che riporta parecchie testimonianze storiche (cosa hanno visto e udito i discepoli, prima del Risuscitamento di Gesù)
b) un secondo che ha la precedenza cognitiva-interpretativa e che si sforza di aprirsi al mistero soprastorico; per cui il NT è un libro che contiene professioni di fede (come i discepoli hanno compreso Gesù alla luce del mistero pasqua-pentecostale).
Ambedue si fondano su una specifica esperienza:
a) dell’evento della missione terrena di Gesù (raggiungibile coi normali metodi di accertamento storico)
b) dell’evento delle apparizioni del Risorto (raggiungibile con l’apertura ad un’eventuale rivelazione superiore).
NOTA. Non deve meravigliare il fatto che si parli di due inizi, purché il primo sia visto come preparazione e il secondo come compimento; come fa il prof. Ska a proposito dei due “miti di fondazione” d’Israele (la vocazione di Abramo e l’alleanza stipulata sul Sinai con Mosè) nell’articolo Le livre de l’Exode, in NRT 3/2011, 359-361.
PRIMO INIZIO -L’affermazione base si trova in un famoso testo prepaolino: “(Gesù Messia Figlio di Dio) nato dal seme di Davide secondo la carne” (Rm 1,3). Ma di quale concezione di Messia si tratta? Nell’annuncio della venuta del Regno messianico fatto dal Gesù terreno possiamo individuare due fasi successive, con cesura alla metà del cap. 8 di Marco.
Nella missione in Galilea Gesù annuncia un Regno glorioso che, manifestato nella predicazione e nei miracoli e accolto dalle folle con la conversione, lo porterà a realizzare in se stesso la profezia del Figlio dell’uomo di Dn 7,13; cioè del giudice finale (escatologico) che apparirà nell’imminente “giorno del Signore”: “Tu sei il Messia” (Mc 8,29). Dei tre significati di Figlio dell’uomo (glorioso, sofferente, presente) qui abbiamo la risposta (negativa) degli uomini alla profferta del Messia presente che li porterà davanti al giudice escatologico (cfr Lc 17,24-30). Questo è il portato della “fonte Q” che tra i significati di Figlio dell’uomo evita quello del Messia sofferente.
Ma a metà della sua missione Gesù, constatato il rifiuto pressoché generale da parte delle folle, annuncia la venuta del Regno attraverso la sua sofferenza e morte (sulla scia del Servo sofferente di Is 52-53), cioè con l’accettazione della Croce (Mc 8,31); più che giudice, egli come vittima sarà il salvatore. Risponde duramente a Pietro che insiste sul precedente concetto di “Cristo”. Gesù ribadisce la sua concezione nella triplice predizione della Passione (coll’aggiunta posteriore sul Risuscitamento).. Si trovano due segni nel racconto della Trasfigurazione: “Ordinò loro di non raccontare…se non dopo che il Figlio dell’uomo sarà risorto dai morti” (Mc 9,9); “Parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9,31). Si comprende così perché nel più antico dei Sinottici, Marco, la Passione diventi centrale.
SECONDO INIZIO - “(Gesù Messia) costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti” (Rm 1,4).
At 2,32: Dio ha risuscitato Gesù; il quale è innalzato alla sua destra, riceve dal Padre lo Spirito promesso e lo effonde sui discepoli. Di ciò noi tutti (la comunità apostolica) siamo testimoni.
Nel IV vangelo – nato da una complessa formazione, con una tradizione e due redazioni (vedi G. Segalla, Giovanni, Paoline) - troviamo come i discepoli dopo la Risurrezione, sotto l’influsso dello Spirito santo, hanno interpretato la dignità divina di Gesù: identità di operazione col Padre e dipendenza da lui. Come esempio (tenendo come asse indiscutibile Gv 1,1: “Il Verbo era Dio”) citiamo queste frasi:
a) “Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso e gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell’uomo” (5,26s): Gesù ha la stessa vita divina del Padre, ma la riceve da lui.
b) “Io e il Padre siamo una cosa sola”(10,30)
c) “Chi ha visto me ha visto il Padre (…) Io sono nel Padre e il Padre è in me (….)” (14,9-11); cfr 10,38
d) “Il Padre è più grande di me” (14,28).
Analogo discorso, pur nell’evidente diversità del genere letterario, si può fare a proposito dei vangeli dell’infanzia (Mt 1-2; Lc 1-2).
La chiesa apostolica nell’inno prepaolino di Fil 2 ha depositato la sua concezione sintetica della successione delle tre formalità di Figlio dell’uomo:
* umanità: “simile agli uomini, riconosciuto come uomo” (v. 7)
* sofferenza: “obbediente fino alla morte di croce” (v. 8)
* gloria: “Dio gli donò il nome di kyrios” (vv. 9-11).
I grandi concili della chiesa antica (specialmente i primi due: Nicea I e Costantinopoli I), nel IV secolo, in un contesto di pensiero non più semitico ma greco, hanno interpretato queste affermazioni coll’aiuto di categorie filosofiche come uguaglianza di natura o sostanza (homoousìa) e distinzione di persona tra Padre, Figlio e Spirito. Si è trattato quindi di un’esplicitazione di testi come Mt 28,19, 2Cor 13,13, 2Ts 2,13 eccetera.
Si vengono così a determinare i dogmi che contengono i misteri principali della fede: Divinità di Gesù (Incarnazione del Verbo) e Trinità di Dio.
Col “mistero” pasqua-pentecostale nasce la chiesa di Dio:
• preparata e costituita da Gesù nella sua vita e morte
• manifestata nello Spirito santo dopo la Risurrezione.
La chiesa raccoglie la memoria di Gesù e del suo mistero e la deposita negli scritti ispirati. Secondo una scaletta evidente nell’inizio del vangelo secondo Luca (1,1-4):
• avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi
• coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola ce li hanno trasmessi
• molti hanno cercato di raccontare….; anch’io ho deciso di scriverne un resoconto ordinato…
La chiesa apostolica trasmette la testimonianza degli eventi della vita e risurrezione di Gesù (At 1,21s), soprattutto dei due eventi centrali: morte-seppellimento e risuscitamento-apparizioni (1Cor 15,1-5).
Questa chiesa forma, individua, usa liturgicamente i testi che contengono la Parola (gesti e parole) di Dio nella storia della salvezza.
La scaletta è quindi: evento / esperienza / testimonianza / trasmissione / scrittura / celebrazione / individuazione.
VII
Pur tenendo conto che le date fornite sono perlomeno approssimative, cerchiamo di stilare una cronologia dell’annuncio cristiano e della sua fissazione in alcuni scritti (NT)
a) 27-30
Preparazione
• La Parola di Dio su Giovanni Battista (Lc 3,2)
• Gesù annuncia che il Regno si è fatto vicino – Alternativa per Israele
Gesù viene considerato dai più come un saggio, un profeta innovatore che si distingue per i forti colori escatologici
b) 30-36
Il vero inizio: il “mistero pasquale”
Dopo l’esplosione rivelatoria della Risurrezione (simbolicamente il Sole), inizia in direzione regressiva la meditazione – che impegnerà per decenni la chiesa apostolica illuminata dallo Spirito santo – sulle orbite dei pianeti del sistema solare, ricercando come e perché è morto Gesù e quali siano stati i suoi atteggiamenti e insegnamenti. Perciò
• si celebra il mistero nella liturgia del Battesimo e dell’Eucaristia (prevalenza: chiese paoline)
• si predica un racconto pre-marciano della Passione-Morte (prevalenza: chiesa gerosolimitana)
• si fa la raccolta scritta dei detti (logia) di Gesù nella Fonte, in tedesco “Quelle” (prevalenza: chiese giudeocristiane).
Nella “Quelle”
• sono assenti Morte e Risurrezione
• c’è già, a proposito di Gesù, la realtà trascendente della relazione unica col Padre, cioè della filiazione divina.
Nota - Il testo criticamente ricostruito della “Quelle” si trova in D. FRICKER – N. SIFFER, La fonte Q, San Paolo, pp. 55-73.
c) 37-60
Periodo di approfondimento nell’annuncio, nella predicazione e nella celebrazione
• Viene sempre più meditato il mistero della persona trascendente e missione salvifica di Gesù: Giovanni B. annuncia un giudizio negativo e conclusivo; Gesù propone la misericordia di Dio e parla di un Regno già iniziato, in attesa della parusia.
• Inizia la composizione dell’epistolario autenticamente paolino, che ha come centro il mistero pasquale
• La chiesa non possiede ancora alcuno scritto ufficiale (accolto in seguito nel canone biblico) sulla vicenda di Gesù
d) 60-70
Viene diffuso il primo vangelo: Marco, da alcuni considerato un racconto della Passione con una lunga introduzione
e) 70-90
Matteo e Luca integrano i detti della “Quelle” nel testo di Marco, attenuano il “segreto messianico” (cui i biblisti oggi danno meno importanza) e aggiungono i racconti della Risurrezione
f) 90-100
Nelle profondità del mistero: Vangeli dell’infanzia e IV vangelo
VIII
I libri biblici raramente sono scritti di getto e stilati da un solo autore. Spesso, per farne accettare il messaggio, sono attribuiti a qualche personaggio famoso (per es. tutto il Pentateuco a Mosè, il Qohelet e la Sapienza a Salomone, le lettere post-paoline all’Apostolo).
Come esiste, oltre alla storia generale, una storia della filosofia, dell’arte, ecc. così esiste una storia religiosa, o teologica. Essa passa attraverso tre livelli:
• racconto di un fatto (come per esempio le varie esperienze di esodo dall’Egitto, attuate forse in secoli diversi e da diverse “tribù”): il nostro popolo (o una persona) ha fatto queste esperienze;
• interpretazione religiosa: siamo usciti dall’Egitto per una grandioso intervento di Dio; certe volte la “storia” è un racconto edificante, per la vita morale; la rilettura può giungere ad attribuire le strutture di una situazione sedentaria (nella Terra promessa) alla vita peregrinante nel deserto, adattando la descrizione della “tenda” nel deserto a quella del Tempio di Gerusalemme;
• celebrazione liturgica: vari riti per manifestare la lode e il ringraziamento a Dio.
La Bibbia non è quindi un libro di storia come noi di solito la intendiamo, ma di rivelazione; non racconta cronisticamente dei fatti concreti, ma vuole lanciare un messaggio spirituale e finalizzato alla salvezza. Ciò che interessa all’autore sacro non è la cronaca di un singolo episodio, ma l’esemplarità e il significato che se ne possono ricavare, secondo il metodo costante di operare da parte di Dio. Esempi: l’evento dell’esodo o una vittoria sui nemici sono da prendere come il modello di ogni intervento di Dio che sempre salva il suo popolo; la salvezza dei tre fanciulli gettati nella fornace (Dn 3) o di Daniele stesso (Dn 6) è il “segno” della salvezza concessa ai singoli credenti; il castigo per l’orgoglio e il perdono per la “conversione” di Nabucodonosor (Dn 4) sono indicativi dell’atteggiamento costante che Dio – secondo i suoi “tempi” - usa coi i potenti della storia.
Perché la Bibbia è diventata uno strumento necessario ed essenziale per recepire la Parola di Dio? Perché al credente non interessa sapere esattamente e dettagliatamente che cosa ha detto un personaggio o come sono andate le cose in un episodio storico – abbiamo infatti diverse fonti della storia biblica e diversi vangeli – ma piuttosto quale messaggio salvifico lo Spirito Santo vuol comunicarci con quegli elementi che Egli ha affidato, per la conservazione e la diffusione, alla Chiesa apostolica (nel caso del NT) e che questa ha fissato in alcuni testi che riteniamo “ispirati”. Non interessa granché sapere se abbia parlato l’anziano Simeone accogliendo Gesù bambino nel Tempio o che cosa egli abbia detto, ma piuttosto conoscere la cristologia matura (che riguarda tutta la vicenda e missione del Cristo) espressa da San Luca nel cap. 2.
NOTA
Con questo schema pensiamo di avere risposto alla dura critica dell’illuminista Denis Diderot che beffardo si domandava: Chi stabilisce la divinità della Scrittura? La Chiesa. Ma dove si fonda la Chiesa? Sulla Scrittura.
Era necessario introdurre un terzo elemento: la Parola annunciata, che genera la Chiesa (creatura verbi), la quale a sua volta produce e riconosce la Scrittura.
LINGUAGGI DIVERSI
IX
La prima attenzione che deve prestare chi legge la Bibbia è quella al mutamento dei significati di molte parole. Per esempio:
• “Giudizio” significa spesso “giudizio negativo” cioè castigo; “mondo” può significare tutta l’umanità, l’oggetto della redenzione, l’umanità che si oppone a Cristo
• Alcune parole sono fraintese: “giustizia”, non è esclusivamente la nostra giustizia sociale, ma il retto rapporto con Dio e col prossimo (rettitudine); “cuore” non è solo il centro dei sentimenti, ma di tutta l’interiorità dell’uomo; “psychè” significa sia anima che vita.
• Altre parole sono state intaccate dall’uso comune: “apocalisse” significherebbe una immane catastrofe, “profeta” sarebbe soltanto colui che predice il futuro.
• “Storia sacra” era la rilettura edificante fatta ad usum delphini con esclusione di qualsiasi elemento negativo, ignorando l’evidenza che la storia reale dell’uomo è fatta, come in un quadro dipinto in bianco e nero, di luci e di ombre.
X
E’ necessario tenere conto della diversa mentalità dei semiti e dei popoli mediterranei:
a) Loro privilegiano il racconto, noi invece il concetto; per esempio il libro di Giona è un invito alla penitenza e all’allargamento dei confini religiosi; il libro di Giuditta o quello di Tobia sono scritti per darci un esempio di coraggio, di buona condotta, di santità del matrimonio, eccetera. Si pensi alle caratteristiche parabole riportate nei Sinottici.
b) Loro privilegiano il concreto (adattamento alle situazioni), noi l’astratto (la purezza delle idee). Perché all’inizio non c’è l’essere, ma l’azione (la creazione del cosmo e, nel NT, l’incarnazione della Parola); perché Dio è Amore fedele (Es 34,6; cfr Gv 3,14; 1Gv 4,8.16).
c) Loro fanno uso di immagini, di simboli (metafore), di modo che la risposta è data nell’ordine del mistero (pensiamo alla simbologia dei numeri, dei colori ecc. nei libri o tratti apocalittici); noi invece di descrizioni esatte, razionali. Precisiamo che “mistero” non significa indovinello, enigma, ma una realtà superiore all’intelligenza e azione umana, che ci è donata da Dio.
d) Loro concepiscono un lavoro di penetrazione in continua evoluzione; noi preferiamo affidarci all’irremovibilità del pensiero sicuro.
e) Loro hanno una concezione lineare e apocalittica della storia (tutto converge verso un fine); noi nella cultura ellenistica abbiamo trovato uno schema ciclico (tutto incessantemente si ripete).
XI
Il cristianesimo è una religione missionaria che ha trasmigrato dal ristretto mondo giudaico a quello mediterraneo ellenistico. Per questo, oltre gli scrittori degli ultimi libri dell’AT (alcuni deuterocanonici, scritti nel mondo alessandrino), alcuni importanti testi del NT (Paolo: in 1Cor, Col, Ef; Giovanni) non sono rimasti chiusi nel mondo culturale semitico. Essi hanno avvertito la necessità di usare il linguaggio concettuale dell’ideologia gnostica mentre ne contestavano i contenuti religioso-filosofici.
La cultura mediterranea era avida di conoscenza, perciò accettava l’uso delle categorie del pensiero “gnostico” (generalmente inteso, per cui “gnosis” significa semplicemente “conoscenza”). Ma i cristiani rifuggivano dalla concretizzazione di queste idee attuata nel sistema dello “gnosticismo”; per cui Ireneo distinguerà chiaramente la “vera gnosi” (quella della fede cristiana) dalla “falsa” (quella delle varie forme di “gnosticismo”).
Mentre il pre-gnosticismo ereticale predicava una salvezza “per conoscenza”, con uso esoterico della parola, Paolo annunciava una salvezza storica operata dalla Croce di Cristo (“Parola delle Croce”; “Cristo crocifisso [è] sapienza di Dio”: 1Cor 1,18.23s). Mentre lo gnosticismo progettava una via di salvezza “dalla carne”, Giovanni teologizzava una salvezza “per mezzo della carne” (Incarnazione della Parola: Gv 1,14).
INTERPRETAZIONE
XII
Sia nella stesura dei testi sacri o nella loro “composizione” (I livello), sia nella successiva interpretazione autorevole da parte della comunità credente (II livello) vige la legge della gradualità o progressione.
Nel primo livello esempi classici della progressione sono quelli del passaggio dalla considerazione del Gesù terreno, Messia di Israele con iniziale apertura verso i non ebrei, alla teologia del Cristo Figlio di Dio, che è mandato dal Padre nel mondo per affermare la sua salvezza totale. Non riconoscendo che il Risorto guida la sua Chiesa e il suo Spirito la anima, il miscredente farà molta fatica a comprendere il passaggio dai Sinottici al IV vangelo; il passaggio dalla Morte del Messia come supplizio del Giusto per l’odio dei suoi correligionari, al Sacrifico redentore, operato per noi dal Cristo in obbedienza al Padre; il passaggio dallo straordinario predicatore itinerante di Galilea, innovatore della religione tradizionale, al Rivelatore agli uomini della vita intima del Dio Tri-uno.
All’interno della Bibbia trovano posto diverse letture e teologie. Esempi dall’AT sono: a) la teologia dell’elezione di Israele, prima vista come un privilegio ristretto a quel popolo, poi come una missione ad esso affidata di estendere la parola e la salvezza a tutti i popoli: b) la teologia della retribuzione della buona condotta, prima ridotta a prolificità del gregge e fruttuosità della campagna, poi vista come possesso della terra; mentre il castigo della malvagità talvolta è comminato all’individuo, talaltra alla sua discendenza. – Nota: Sullo sviluppo della dottrina si veda per esempio lo studio “La retribuzione” di Sr. Jeanne d’Arc, in “Grandi temi biblici”, Paoline (1968), pp. 165-176.
Nel NT: a) la proposta della salvezza in un primo tempo è vista come riservata all’Israele storico, poi come diffusione universale; b) in un primo tempo si aspettava una “parusia” (venuta escatologica del Cristo) imminente, poi si è passati all’accettazione di una parusia improvvisa.
Certe volte si dà il caso di una correzione, o meglio di un riequilibrio di un’affermazione; come si può vedere, nell’AT, nell’elogio della pura ritualità ricalibrata dalla religione del cuore; nella compensazione tra l’affermazione paolina “Sola fides” (soprattutto lettere ai Romani e ai Galati), che veniva fraintesa, e la lettera di Giacomo, secondo cui “la fede senza le opere è morta”.
L’interpretazione dell’evento rappresenta il completamento della rivelazione. Per es. la crocifissione è interpretata nella sua valenza salvifica dalle parole anticipatrici dette da Gesù nell’istituzione eucaristica (Corpo dato per voi; Sangue versato per molti in remissione dei peccati), nelle lettere paoline (Il Figlio di Dio mi ha amato e ha consegnato se stesso per me), nella Lettera agli ebrei (Cristo è entrato nel santuario del cielo in virtù del proprio sangue ottenendo una redenzione eterna; E’ apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso), eccetera.
Nel secondo livello, la comunità dei credenti (con le sue gerarchie) è passata attraverso distinte fasi d’interpretazione. Esempi sono: l’interpretazione sapienziale atemporale, al posto di quella storico-cronacistica dei primi tre capitoli della Genesi; la necessità assoluta della Chiesa per la salvezza o del battesimo per i neonati che senza di esso muoiono (coll’introduzione del Limbo); il terremoto che era visto dal letteralista super-cattolico come un castigo di Dio per il peccato (originale o attuale), perché egli si arrestava ai testi biblici che riferiscono una primitiva dottrina della retribuzione; la teologia agostiniana del “compelle intrare” (cfr Lc 14,23) che è sostituita dall’affermazione della libertà religiosa.
Certe volte si è avuto nella storia della fede/devozione post-biblica uno sviluppo certamente non prevedibile nei primi due decenni di vita della Chiesa. Esempio ne sia la devozione mariana, che nei secoli ha goduto di uno sviluppo oggettivamente assente nei Sinottici (se si eccettuano i tradivi “vangeli dell’infanzia”), dove risulta figura più importante quella di Giovanni il Battezzatore.
Una delle norme che aiutano nell’interpretazione è quella di assumere ogni affermazione biblica nel molteplice contesto: della pagina, del libro, del gruppo di libri (per es. profetici), dell’uno o dell’altro Testamento, di tutta la Bibbia, della Bibbia con la necessaria lettura che ne fa la Chiesa.
XIII
Partiamo dall’affermazione che la Bibbia è un’antologia di brani diversi per genere letterario, per epoca di composizione, per cultura soggiacente (in genere semitica), per lingua usata.
Essendo opera di un popolo, essa deve essere interpretata nella comunità credente in cui è stata formata.
La Bibbia è Parola di Dio nelle parole degli uomini; con le loro mediazioni di cultura, di epoca, di esperienza, di “scuole”. Purtroppo però per secoli si è interpretata (non solo da noi) l’ispirazione biblica come dettatura meccanica.
Il “metodo storico-critico” (introdotto nell’epoca illuministica), che tanto ha contribuito alla conoscenza della Bibbia, tiene conto solo del libro scritto da uomini; mentre si deve usare anche la lettura religiosa, teologica, spirituale, tenendo conto che si tratta della Rivelazione, della Parola di Dio. A proposito della seconda parte del “Gesù di Nazaret” scritto dal Papa, il vescovo Mariano Crociata ha detto che “realizza il superamento della separazione tra l’esegesi scientifica e l’interpretazione credente della Sacra Scrittura, per pervenire ad una compiuta esegesi teologica”. Si aggiunga che l’ispirazione è riconosciuta al testo biblico nella forma in cui oggi è offerto dalla Chiesa ai fedeli.
Possiamo rallegraci che, dopo le opposte esagerazioni di alcuni modernisti e la chiamate a battaglia dei biblisti fondamentalisti, oggi ci stiamo avviando a un’esegesi più equilibrata e in linea con le indicazioni del magistero dei pastori e il vero bene dei fedeli.
XIV
Altra necessaria disposizione per leggere da credenti la Bibbia (lectio divina) è quella di considerarla come Parola ispirata da Dio. Se uno la legge come studierebbe Omero, Virgilio, Tacito, Platone, non sarà un buon credente, ma un dotto conoscitore delle letterature antiche. Analogo discorso si può fare per le opere cristiane (L’imitazione di Cristo, gli scritti di Caterina da Siena, Francesco di Sales…). Questo spiega quanto sia utile e preziosa l’interpretazione biblica dei Padri della Chiesa, degli autori spirituali (lettura sapienziale, monastica), dei mistici…
Uno studioso che si limita a fare una ricerca storico-critica sul NT – soprattutto nel supporto primitivo dei vangeli sinottici - si arresta alle scarse notizie che vi troviamo sul Gesù terreno, chiedendosi al massimo se in questo personaggio morto sul patibolo si doveva riconoscere il Messia predetto nell’AT, magari con le caratteristiche del Servo sofferente (ciò che rappresentava nell’ebraismo una corrente minoritaria). Non tiene il alcun conto la possibilità che la rivelazione non sia chiusa con la morte di Gesù di Nazaret (considerato un semplice uomo), ma che prosegua con altro elemento divino, qual è l’effusione dello Spirito di Cristo che egli ha promesso (vedi Gv 14-16). Quello studioso può essere indotto a dichiarare “non cristiano”, e quindi spurio, qualsiasi elemento che non si trovi nei Sinottici; oppure – trascurando i dati cronologici (età degli apostoli e dei primi successori) e contenutistici (possibili infiltrazioni di correnti che verranno riconosciute come ereticali) - a mettere i vangeli apocrifi sullo stesso piano delle fonti “canoniche”.
Sostanzialmente diverso sarà l’atteggiamento di chi si mette in ascolto di una possibile rivelazione divina: egli dovrà tenere conto che questa si è resa nota a partire dal risuscitamento del Messia; e che ciò è stato annunciato nella predicazione dei discepoli del Nazzareno, ora trasformati in apostoli del Risorto. Da questo evento unico e metastorico – ma con “frange” lasciate nella nostra storia (altrimenti non ci sarebbe stata una comunicazione con noi) – proviene il cambiamento, essenziale e provocato dall’interno, della teologia da ebraica a cristiana. Questo cambiamento spiega il progresso teologico o spirituale che riscontriamo nei discorsi e nei fatti riferiti dal IV vangelo, negli insegnamenti della Lettera agli ebrei, eccetera.
Così lo studioso credente terrà nel giusto conto la cristofania (o epifania) che il Risorto concesse a Saulo, poi diventato San Paolo e considerato da chi sta “al di fuori” come il fondatore del Cristianesimo.
Discorso analogo deve essere fatto a proposito dell’evento unico con cui YHWH libera dalla schiavitù egiziana (esodo) il Popolo, considerato suo primogenito.
Tutto questo perché la Bibbia non è un testo di storia comune, ma una lettera che Dio ha indirizzato all’uomo che lo cerca.
Per la Chiesa ortodossa e quella cattolica, oltre alla Tradizione, esiste anche il Magistero dei pastori, ai quali lo Spirito assicura sempre l’assistenza e in qualche caso l’infallibilità.
XV
Proponiamo un raggruppamento di osservazioni pratiche che possono aiutare una lettura corretta dei “luoghi” della Rivelazione-autocomunicazione (Parola) di Dio
I – La Scrittura, il “luogo” originario
Per comprendere, bisogna tener conto:
• che gli scritti sono stati composti in una cultura semitica, in un’epoca antica, ambedue molto lontane dal nostro ambiente culturale; per cui la lettura fatta da chi non è preparato e senza aiuto alcuno può risultare controproducente
• che l’espressione del “dato” è simbolica, più che concettuale; quindi aperta al mistero, evocativa e difficilmente rinchiudibile in formule apodittiche; che i miracoli, non sono principalmente una “prova del nove”, ma segnali indicatori del mistero.
• che i generi letterari sono i più diversi, contenenti possibili espressioni antitetiche o addirittura contraddittore; ragion per cui la Bibbia non si legge come un romanzo o un trattato filosofico; che lo stile fa un uso per noi eccessivo di iperboli, di paradossi, ecc.
• che, oltre al senso letterale, vi si trovano altri sensi derivati
• che la “storia della salvezza” vi si legge “a posteriori” e sullo sfondo degli eventi narrati; che sono più importanti le riletture post-pasquali degli eventi del Gesù terreno nei confronti del puro racconto e che di quelle riletture si danno diverse redazioni, anche su argomenti centrali (per es. il discorso della montagna/pianura di Gesù)
• che, per esprimere una situazione non visivamente controllabile, si passa attraverso il fatto che ad essa ha condotto (Ascensione connessa con la situazione del Risorto: Gv 20,17)
• che per esprimere il pensiero di una “profeta” (e la comprensione che ne ha avuto la chiesa) la via più semplice è quella di stilare un suo discorso (Paolo ad Antiochia di Pisidia: At 13)
• che talvolta si introduce un episodio per rispondere a una domanda degli oppositori, come per es. “Perché si chiama Gesù di Nazaret colui che, in quanto Messia davidico, doveva nascere a Betlemme? Perciò Luca - diversamente da Matteo che accenna a Nazaret solo dopo il ritorno dall’Egitto - nel vangelo dell’infanzia introduce il discorso del viaggio verso Betlemme per ottemperare all’editto del censimento e parla di “ritorno” a Nazaret (2,39).
• che il canone corto è accettato da ebrei e protestanti, mentre ortodossi e cattolici allargano il campo a quello lungo
II – La Tradizione, l’ambiente vitale in cui è nata e vive la Scrittura
Per comprendere bisogna tener conto:
• che la Parola originaria può essere rivestita con le categorie di una cultura diversa, ad es. quelle del pensiero filosofico greco (fenomeno già presente sia nell’AT che nel NT)
• che l’equilibrio di un insegnamento viene alterato in un contesto di lotta all’errore, per es. i primi concili che reagirono contro l’una o contro l’altra interpretazione di punta delle “scuole” teologiche (es. Antiochia e Alessandria)
• che il magistero, il cui intervento è doveroso per i pastori e la cui accettazione è obbligatoria per i fedeli, “serve alla Parola”; che i dogmi non sono dighe, ma argini di un fiume
• che il punto di ancoraggio più sacro è la chiesa apostolica e sub apostolica e che il punto meno polemico è l’ambiente ecclesiale del primo millennio cristiano (precedentemente alla rottura tra chiesa bizantina e chiesa d’Occidente)
III – La Liturgia, lo strumento principale del dialogo tra la chiesa e Dio
Per comprendere bisogna tener conto:
• che esistono diverse liturgie con diverse sottodivisioni (es. quella ambrosiana, quella mozarabica); che alcune liturgie sono molto lontane della nostra sensibilità occidentale e moderna (es. l’anafora di Addai e Mari); che sotto a ciascuna di esse si intravede una teologia peculiare di una chiesa
• che le liturgie sono espresse nelle diverse culture, lingue, melodie, architetture, ecc.
• che ogni liturgia varia nei secoli e spesso ha subito diverse riforme
PROBLEMI INTERPRETATIVI ED ESEMPI
XVI
La lettura teologica deve essere chiaramente distinta da quella apologetica, cioè difensiva, di cui adduciamo alcuni esempi:
a) I giorni della creazione in Gen 1 venivano parificati alle epoche geologiche (concordismo), mentre tutti possono trovare nei primi tre capitoli di quel libro due “teologie” diverse della creazione del cosmo e dell’uomo e della relazione di quest’ultimo a Dio;
b) Sul libro di Giona si discuteva chiedendosi se un cetaceo poteva inghiottire un uomo e conservarlo nel ventre per tre giorni; mentre il significato teologico innovativo era quello dell’estensione universale della salvezza;
c) Si portavano i passi “profetici” dell’AT come prova della messianità di Gesù in quanto i vangeli li realizzavano; mentre oggi si ritiene che i primi cristiani rileggevano sapienzialmente la vicenda di Gesù alla luce dei passi più significativi dell’AT (pensiamo ai quattro “carmi del Servo sofferente” nel Secondo Isaia);
d) Nonostante tutte le discrepanze nei dettagli, si portava la Risurrezione di Cristo come prova provata della sua divinità; mentre questo “mistero” segna il passaggio da questo mondo (storico) a quello metastorico (che non può essere “provato”), lasciando nella nostra storia dei “segni” per comunicarci una realtà che è essenzialmente trascendente.
XVII
Certamente nell’AT ad uno spirito occidentale moderno provocano repulsione le maledizioni, i salmi deprecatòri, la guerra santa, l’anatema (kherèm), le richieste di vendetta, le immoralità sessuali, eccetera. Ma dobbiamo ricordare: a) che si tratta di leggi che in realtà si sostituivano a comportamenti ancor più crudeli; di minacce pedagogiche e di cifre accresciute, con pene spesso più minacciate che irrogate; b) che quelli erano i canoni del rapporto religioso e morale in quell’epoca rozza e primitiva in mezzo a popoli nemici, quando molti maschi erano caduti in battaglia per affermare i diritti di YHWH, mentre si misurava la potenza di un re dalla grandezza del suo harem; c’ che il giusto perseguitato non si faceva vendetta da sé, ma la chiedeva a Dio. NB. A proposito di quell’anatema, certamente non si accorgeva del suo significato (uccisione di tutti i viventi dopo aver vinto gli Amaleciti) colui che citava come esempio di religione pura “Obbedire (all’ordine di Dio) è meglio del sacrificio” (1Sam 15,9).
Il rapporto del NT rispetto all’AT è concepito come superamento, come centralizzazione (nella figura del Messia), come spiritualizzazione, come completamento, come adozione della comunitarietà (che è l‘opposto dell’individualismo).
L’approccio alla Bibbia richiede una lunga preparazione e prevalentemente è raccomandato nella lettura pubblica nella liturgia. Naturalmente non si può fare sempre affidamento a traduzioni (come la latina Vulgata) o a interpretazioni popolari, comuni in un periodo di esegesi pre-critica. NB. E’ possibile capire come sarebbe cambiata la teologia di Agostino sul peccato originale, se egli in Rm 5,12 avesse letto “poiché (o perché) tutti peccarono” invece del latino “in quo”.
Sconsigliamo la proposta di lettura di un libro “problematico” (ad es. Qohelet, Giobbe, Giudici) ai singoli individui non provvisti di un’adeguata formazione personale o istruzione specifica da parte di esperti.
XVIII
Per portare un esempio di ermeneutica, propongo qualcosa su una questione tanto fondamentale quanto difficile: la sopravvivenza dell’uomo alla morte, come appare dal libro del Qohelet (mi servo anche di alcune idee di Paolo Sacchi, Ecclesiaste, Paoline).
A - Due premesse
a) Non è un greco che scrive (orientato platonicamente all’immortalità dell’anima), ma un semita, che quindi non è interessato alla natura dell’uomo, ma all’osservazione del suo destino come è visto dall’uomo comune. Questo semita si pone con impietosa considerazione di fronte al grande problema del male, del limite costitutivo dell’uomo:
- non accetta, come Giobbe, la sentenza della sapienza tradizionale in campo morale (secondo cui il giusto è premiato, il perverso è punito)
- mentre la accetta in campo esistenziale (la conclusione della vita umana è immancabilmente la morte).
b) Essendo il modo di ragionare degli ebrei alquanto differente dal nostro, dobbiamo vedere di comprendere la concezione gnoseologica dell’uomo che è sottesa a quel libro. Il Qohelet presuppone che l’uomo abbia:
- una conoscenza esperienziale e fattuale (ciò che avviene, che appare), per cui “tutto passa, tutto è vanità”;
- una possibile conoscenza del tutto, globale; che per l’uomo, evidentemente limitato, sarà solo parziale, non esaustiva: “Quel che manca (che non cade sotto i sensi) non si può contare” (Qo 1,15). Rimane quindi sconosciuto il “senso” della globalità, che pur deve esistere, dato che Dio lo ha posto negli uomini.
Quindi non entra nell’ambito del pensiero dell’autore la certezza sulla sopravvivenza dell’individuo, che può esprimersi o come immortalità dell’anima (intesa da Sap come partecipazione all’eternità di Dio), o come risurrezione dei morti (come in Dn).
B – Tentativo di ermeneutica
Esaminiamo sull’argomento due testi che si richiamano reciprocamente:
• Qo 3,18-21 (cfr 11,5) - Non c’à differenza (visibile, constatabile) tra uomo e bestia: stessa sorte, stessa morte, stesso soffio vitale (la “ruach”), stessa destinazione; quest’ultima - sulla linea di Gen 2,7; 3,19 – intesa così: tutto viene dalla povere, tutto deve ritornare alla polvere. Non è possibile verificare se il soffio vitale dell’uomo sale in alto e se quello della bestia scende in basso. Quindi è necessario fare ricorso a una conoscenza che non sia solo sperimentale.
• Qo 12,7 – La polvere ritorna alla terra, come era prima, il soffio vitale torna a Dio che lo ha dato. E’ la risposta al brano citato prima: poiché il soffio vitale dell’uomo proviene da Dio, non è destinato all’annichilimento. Non si risponde al “come”, perché solo fin qui arrivava la teologia ebraica di quel periodo, introducendo un’iniziale apertura a una forma di duplice manifestazione (epifania) del “mistero” che è l’uomo, rimanendo in attesa di una possibile ulteriore rivelazione.
Rivelazione che verrà con Cristo: si pensi all’insolito Mt 10,28 (“Quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima”), o ai molti testi di Paolo.
C – Mi sembra che lo spirito dell’uomo che ritorna a Dio (12,7) non sia molto lontano da quello che “sale in alto” (3,21).
E’ facilmente pensabile che Qohelet tenesse in conto la distinzione animale/uomo che sottostà ad ambedue le teologie dell’inizio della Genesi:
a) Secondo la fonte J, non gli animali (2,19), ma solo l’uomo ha ricevuto lo spirito di vita; tanto che Festorazzi (in La Bibbia e il problema delle origini, Paideia) riconosce che “l’uomo non possiede soltanto la vita fisica, ma anche un principio spirituale”;
b) Secondo la fonte P, è vero che gli animali hanno uno spirito di vita (1,20.21.24.30), ma solo l’uomo è creato a immagine, secondo la somiglianza di Dio (1,26s); tanto che Festorazzi (ibidem) ammette una relativa somiglianza di carattere spirituale.
Possiamo concludere con due pensieri di illustri biblisti: “Non si può dire che Qoelet identifica l’uomo con l’animale, in quanto egli riconosce all’uomo le caratteristiche sue proprie”; “Qoelet ammette la libertà e la responsabilità: l’uomo ha dei doveri da compiere….Inoltre il Qoelet crede a un giudizio divino” (Festorazzi, in Il messaggio della salvezza, vol. 5, LDC); “Lo spirito come principio di vita è quasi sempre considerato un elemento estraneo all’uomo, dato da Dio e ripreso da lui” (McKenzie). Non dimentichiamo che per la maggioranza del padri della Chiesa, la sopravvivenza alla morte è un dono, non un’esigenza di natura.
Uno dei più profondi tra i Pensieri di Pascal (Brunschvicg, 347; Serini, 377) dà ragione a questa interpretazione non spaventosamente pessimistica: “L’uomo è solo una canna….ma sa di morire”. Al quale si affianca quell’impareggiabile pessimista che fu G. Leopardi: “O greggia mia che posi, oh te beata, che la miseria tua, credo, non sai!” (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia).
XIX
Con un secondo esempio intendo mostrare che spesso l’interpretazione dipende dallo schema individuato nel libro.
Poiché è difficile trovare un autore che ripeta lo schema di un altro sull’ultimo libro della Bibbia, mi sia concesso dare un esempio di come io suddividerei il prodotto più singolare degli scritti attribuiti alla misteriosa personalità di Giovanni.
L’APOCALISSE: teologia della storia
Il “vangelo eterno” della speranza cristiana: “Scrivi le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito” (1,19)
I - La chiesa contemporanea all’autore
CRISTO PASTORE
Introduzione al primo settenario
1 Cristofania
2-3 Primo settenario: Cristo rianima i buoni e rimprovera i difettosi nelle chiese dell’Asia
II - La chiesa nella storia cristocentrica
A) Preparazione alla rivelazione
CRISTO SIGNORE
L’Agnello domina la storia e può “rivelare” in essa il piano di Dio: castighi medicinali e salvezza
Introduzione al secondo settenario
4 Visione del trono di Dio
5 Il libro sigillato e l’Agnello che solo lo può rivelare
Secondo settenario: i sigilli
6 Sei sigilli
7 Gli eletti provenienti da Israele e da altri popoli
8,1 Settimo sigillo
B) Nell’attesa della manifestazione storica
CRISTO PROMESSO SALVATORE
Azione di Dio che manda i castighi per il ravvedimento dell’umanità
La storia di Israele che converge su Cristo, “telos”; interpretazione della storia dell’AT alla luce di Cristo
Terzo settenario: le trombe (flagelli) suonate da angeli
8 Quattro trombe – L’aquila minaccia tre guai
9 Quinta tromba: le cavallette - Sesta tromba: la cavalleria - Ma non c’è conversione
Interludio
10 Un libretto portato da un angelo è ingoiato
11,1-14 I due testimoni
11,15-19 Settima tromba: lode a Dio – l’arca dell’Alleanza
C) Al centro della storia della salvezza
CRISTO SALVATORE
L’intervento di Cristo come arco di volta di tutta la storia
12 La Donna (Israele dell’AT e del NT) e il figlio – Il Drago combatte la donna e Michele, e alla fine è precipitato sulla terra
13 La prima e la seconda (il falso profeta) bestia
14 I compagni dell’Agnello – Annuncio del giudizio (mietitura e vendemmia)
III - La chiesa della manifestazione escatologica
CRISTO GIUDICE
Introduzione al giudizio
Quarto settenario
15 Le coppe (flagelli) – Il cantico e la tenda della Testimonianza
16 Le coppe versate da angeli – Ma non c’è conversione - Tre spiriti di demoni – Introduzione alla condanna di Babilonia
Il giudizio finale
17-18 Caduta di Babilonia
19-20 Trionfo in cielo – Combattimenti – il Millennio – Giudizio sulle nazioni
CRISTO OMEGA
21-22 La beatitudine nella Gerusalemme escatologica
L’Apocalisse di Giovanni è profezia della totalità: di luce e di ombra.
C’è in essa tutta la storia del Popolo di Dio: passato, presente, futuro intrastorico e definitivo.
Ma c’è anche tutta la vita dell’uomo e delle sue organizzazioni civiche e religiose.
Ambedue i percorsi sono segnati da coppie di elementi disposti in contrapposizione dialettica:
• trionfo/sconfitta
• amore/dolore
• vita/morte
• fede/idolatria
• ortodossia/eresia
• fervore/tiepidezza
• grazia/peccato
• premio/castigo
• felicità/dannazione
XX
Quanto abbiamo suggerito può avere delle conseguenze nell’orientare l’attività catechetica e pastorale? Chi ha seguìto il nostro percorso può aver individuato che abbiamo cercato di collocarci su una via mediana che si tiene lontana da due derive opposte nel non facile avvicinamento alla fede.
1/ Un percorso che tende a deviare per difetto: scientismo
E’questa la mentalità di chi accosta il mondo religioso secondo i canoni dell’opinione più diffusa del contemporaneo pensiero “scientifico”: si considera mistificatorio qualsiasi discorso che tenda a superare la “concretezza” propria delle scienze sperimentali a risultati misurabili; si considera qualsiasi percorso spirituale come irrazionale, in contrasto cioè con le conoscenze di una ragione ridotta alle dimensioni del pensiero matematico.
2/ Un percorso che tende a deviare per eccesso: pietismo e conservatorismo
Per non pochi cattolici la fede si fonda quasi esclusivamente sull’emotività e sul devozionismo entusiastico (rincorsa di qualsiasi fenomeno che proponga visioni, apparizioni, nuove rivelazioni magari punitive o apocalittiche, o spiritualità). Per altri gruppi si tratta di interpretazioni bibliche nettamente letteralistiche della Bibbia, o di un attaccamento fondamentalista alle tradizioni, specialmente liturgiche, della propria confessione cristiana. Si tratta di atteggiamenti arazionali oppure anti-intellettuali, purtroppo per secoli proposti anche dai pastori.
Per non giungere infelicemente alla ben nota dispersione delle comunità protestantiche, ci auguriamo che la Grazia di Dio ci renda convinti
• che la Parola di Dio deve essere letta tenendo conto della sua “kenosi” umana (vocabolo ricorrente nell’epistolario paolino che può avere una parentela con lo “zimzum”, contrazione, della qabbalà di Luria),
• che questa Parola deve stare alla base della vita, teologia e pietà del cristiano,
• che l’unica rivelazione obbligante all’assenso è quella affidata alla chiesa apostolica e che una devozione non deve essere confusa coll’unica fede
• che la Tradizione liturgica non è una mummia ma è eminentemente vitale,
• che la fede procede non contro ma oltre i sentieri della ragione umana rettamente intesa, per la quale non è un ostacolo ma una grazia.
Consiglio la lettura dei documenti conciliari Dei verbum e Sacrosanctum concilium, e dell’enciclica Fides et ratio.
PER L’APPROFONDIMENTO
Documenti recenti della Chiesa cattolica
Pio XII, Lettera enciclica sul modo più opportuno di promuovere gli studi biblici “Divino afflante Spiritu” (30 settembre 1943)
Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione “Dei verbum” (18 novembre 1965)
Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), con prefazione del Card. J. Ratzinger (21 settembre)
Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001)
BenedettoXVI, Esortazione apostolica postsinodale sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa “Verbum Domini” (30 settembre 2010).
Messaggio del S. Padre Benedetto XVI in occasione dell’assemblea plenaria della P.C.B. (2 maggio 2011).
Presentazione ampia e completa del fenomeno religioso e in particolare del modo di capire la Bibbia.
RispondiEliminaIl discorso, come è ordinariamente nello stile dell'autore, è lquanto stringato: ogni affermazione meriterebbe una spiegazione adeguata, che rernderebbe troppo lungo il testo.
Ognuno può rileggere e riflettere su questi spunti di teologia e troverà risposte adeguate ai tanti interrogativi della nostra menta piuttosto razionalista, o meglio "scientista"
Bepi