PROPOSTA DI UN METODO DI PREPARAZIONE ALL'OMELIA
E' vero che per preparare un'omelia è essenziale esercitarsi nella preghiera (orale e mentale) e rimanare in attesa delle ispirazioni dello Spirito, ma il carisma non deve fungere da comodo surrogato che ci dispensa dalla laboriosa ricerca (esegesi, ermeneutica), evitando il rischio di dire ideee umane e di non "tradurre" la Parola di Dio (chi mi assicura che le mie idee siano ispirazioni divine ?) nella quale sicuramente c'è l'ispirazione. Infatti non è la mia parola che devo annunciare ! Devo anche tener conto che esistono molteplici vie per raggiungere il midollo della Scrittura (interpretazione allegorica, tipica, lectio divina, ecc.), pur senza giungere agli estremi di cui può essere un esempio l'interpretazione agostiniana dei 38 anni del paralitico di Gv 5: cioè sottraendo 2 a 40 (In Ioh Tract. 17, 4-6; edizione Città Nuova, vol. I, 394-399). Può interviene un secondo argomento: la Scrittura, che è nata in comunità viventi ed è stata da esse convalidata (canone biblico), deve essere interpretata in comunità viventi, cioè ecclesialmente. Comunque dobbiamo riconoscere che siamo "servitori" della Parola ("servi inutiles sumus"): più volte, magari dopo diverso tempo, un fedele mi ha ricordato una frase che avevo detto in omelia e di cui non ricordavo nulla. Dio, dicevano una volta alludendo al cap. 15 dei Giudici, opera meraviglie persino con una mascella d'asino !
Non mi sembra il migliore - nella situazione attuale e salvo eccezioni - il metodo di prendere un versetto della lettura biblica e farne oggetto totale di un tema di predicazione. Come la Teologia (Optatam totius, n. 16), anche l'omiletica deve partire dal'integrità dei "temi biblici". Se mi si consente, dirò una verità mediante due paradossi: 1) Quanto purgatorio dovrà scontare la Chiesa cattolica che, per fini certamente comprensibili e giustificabili, ha privato della fonte biblica la predicazione per la durata di 400 anni ? 2) Il Vaticano II avrà ottenuto il suo frutto più qualificante quando la nuova generazione di presbiteri costruirà le omelie partendo ex toto dalla Scrittura. Penso che, se molti si perdono dietro alle sètte ex-cristiane e se altri perdono tempo dietro a false o dubbie "rivelazioni" dal contenuto meschino e ripetitivo, dobbiamo chiamare in causa questa malaugurata disaffezione per la Bibbia. In un periodo di faticosissimo e lento recupero della fondamentalità (ma non del fondamentalismo) della Scrittura nella predicazione di noi cattolici, è necessario adottare un metodo rigorosamente biblico, che può essere esplicato in quattro gradini e due percorsi, che tengono conto dell'adagio latino "primus in intentione, ultimus in executione". Percorsi che devono godere della stretta connessione consequenziale della logica, mentre purtoppo esistono "predicabili" (brutto vocabolo per un infelice sussidio, "il Mac Donald dell'omiletica") nei quali il biblista spreme le sue celebrate meningi e il pastoralista s'industria per dimostrare la sua invidiata sincronia coi "segni dei tempi", col risultato della convergenza che può intercorrere fra gli assi degli occhi di un guercio.
Un primo percorso va dalla Parola alla Vita (intesa non solo come pratica morale, ma anche come vita di fede). 1) Devo quindi domandarmi cosa dicono le letture. E qui mi viene in mente il gustoso libretto di G. Ricciotti, Bibbia e non Bibbia (Morcelliana 1946, IV edizione) e ricorre l'obbligo di ringraziare gli ultimi traduttori del NT - due dei quali sono miei colleghi d'insegnamento allo Studio Teologico San Zeno di Verona - che hanno resistito alla tentazione di versioni "ideologiche" imposte dalla dogmatica (ad es. Rm 5,12 rispetto alla Volgata; Fil 2,6 rispetto alla Traduzione CEI). Mi sembra buon metodo cominciare dal Vangelo e dal suo versetto, per poi passare alla prima lettura col suo salmo. Sconsiglierei, salvo nei tempi forti e nelle grandi feste, di prendere in metodico esame la seconda lettura, che segue una lectio semi-continua; nessun letto di Procuste logico né alcun soprannaturalismo d'ispirazione magica (apriamo una pagina a caso e vediamo ciò che lo Spirito ci suggerisce) possono essere utili ad una buona esegesi; oppure (ma questo è un altro paio di maniche) potrei predicare per un triennio prevalentemente ispirandomi alla seconda lettura. La prova del nove si trova di solito nell'orazione colletta propria di ogni ciclo annuale. 2) Fatto questo non breve lavoro, è necessario isolare dalle letture una o al massimo due idee o situazioni che si vogliono far oggetto della catechesi o omelia. Queste idee pastoralmente e catecheticamente possono essere "programmate" in modo da dare in tre anni una visione essenziale e completa della fede, morale e liturgia del Cristianesimo. Così pure la programmazione è necessaria di fronte a complessi quali il cap. 6 di Giovanni (Cristo dono del Padre, con l'equivalenza Io=pane=vita, e Cibo dono di Cristo, con l'equivalenza pane=carne=vita) che leggiamo nelle domeniche dalla 17^ alla 21^ dell'anno B. Di fronte ad una solennità, come per es. l'Assunzione, sarà meglio dedicare l'attenzione ai "privilegi" di Maria quando teniamo un panegirico, ma nell'omiletica riservare tutta la considerazione all'inserimento della celebrazione nell'anno liturgico, che è cristocentrico, e all'intervento salvifico di Dio in Maria.
Il secondo percorso è quello che apparirà evidente a qualsiasi ascoltatore dell'omelia. Esso va dalla Vita alla Parola. 3) Quelle ideee cioè che abbiamo individuato devono essere "tradotte" in domande che emergano dal vissuto cristiano dei laici che ci ascoltano. Possono anche essere individuate con una "pre-lettura" fatta qualche giorno prima della domenica dal sacerdote insieme con un gruppo elitario di laici insieme coi quali si è meditata la liturgia della Parola. 4) Non resta alla fine che adattare il linguaggio al tipo di ascolatori che di solito parteciperà a quella Eucaristia. Altre volte ho fatto rilevare che il nostro uditorio è il più eterogeneo che si possa ipotizzare.
E poi....Dio ce la mandi buona. Si educhi con progressività ma anche con decisione alla puntualità nella partecipazione alla Messa. Poi non sarei così populista (magari citando l'ingresso di Gesù a Gerusalemme) da accettare piccoli che strillano frequentemente e a lungo durante un'omelia, che rappresenta l'unico essenziale contatto della maggioranza dei fedeli con la Parola di Dio. Mi associo a chi, nella ricorrente discussione sull'argomento, diceva che tutto dipende dal concetto che abbiamo di celebrazione eucaristica: quella antiquata, in cui la Messa è un contenitore dove una tempo trovava posto persino la ...devota recita del Rosario mariano, oppure quella "liturgica" in cui la mensa della Parola è essenzialmente e prioritariamente connessa con la mensa del Pane-Vino tanto da formare un'unica azione liturgica. Alcune parrocchie hanno tentato di risolvere il problema (per chi non trova altre soluzioni più semplici, come scambiarsi nella custodia degli infanti a casa) dedicando un locale isolato con una parete di vetro dal resto della chiesa con uso dell'altoparlante.
Non dobbiamo mai dimenticare che - per usare un'approssimazione numerologica - il novanta per cento dell'attività magisteriale del Presbitero passa attraverso l'omelia della Messa domenicale e che uno dei primi motivi per cui le sètte fanno man bassa della catechesi una volta tradizionale è la nostra plurisecolare trascuratezza dell'unica fonte biblica.
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