RECENTI SVILUPPI DEL PENSIERO SU DIO
Conosciamo le due matrici classiche del pensiero su Dio: le religioni del “lontano Oriente” (es. India) e quelle del “vicino Oriente” (paesi che stanno ad est del Mediterraneo). Vedremo che ambedue hanno un duplice sbocco.
I - Le religioni orientali percorrono la “via mistica”, lungo la quale l’uomo si sforza di scoprire Dio immergendosi nelle profondità del Sé universale - per cui è l’introspezione che salva - nello scenario di un cosmo immobile che si chiude in se stesso; col rischio di vaporizzare la distinzione fra uomo e uomo (panpsichismo), fra uomo e Dio (panteismo).
Questa prima soluzione ha avuto negli ultimi secoli – in sintonia con la nostra tendenza mistica (che è rimasta sempre minoritaria) - uno sviluppo nella spiritualità del “Nordest europeo” (es. il mondo russo), dove si è elaborata una “teologia del cuore”. Secondo un’antropologia che contempla tre modi di conoscenza: empirica (sperimentale), metafisica e mistica; dove il cuore è il midollo della persona, è il centro di tutte le facoltà umane, è tutto l’uomo, è il punto di contatto tra l’uomo e Dio (vedi Spidlik, L’idea russa). Rimangono sempre scultoree le sentenze dell’agostiniano Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non consoce. Il cuore, e non la ragione, sente Dio” (dove mi permetto di sottolineare quel “sente”).
La soluzione “orientale” ha avuto, negli ultimi decenni di avanzata del pensiero post-moderno, uno sviluppo preoccupante: la metamorfosi del sacro; che gli ottimisti ad ogni costo hanno letto come ritorno del sacro. Si tratta delle più fantasiose e utopiche riproposizioni consumistiche della spiritualità orientale (es. New Age), che possono introdurre al sincretismo e alla sovra-esaltazione del sentimento e dell’irrazionale (vedi il mio “Patologia del sacro”).
II - Le religioni dell’est mediterraneo (diffuse però in tutto l’Occidente) sono quelle monoteistiche-rivelate, nelle quali è il Dio personale che scende a mettersi in relazione costitutiva col Tu dell’uomo e per le quali è la fede che salva. In un contesto storico, che nella speranza tende ad una conclusione ultima (escatologica).
Uno sviluppo della teologia cristiana è rappresentato dalla concentrazione sulla facoltà del conoscere (intellettualismo), che nel Medio evo latino ha portato a un’interpretazione essenzialistica (legata al concetto di essere), dovuta all’inculturazione ellenistica. Senza tener conto che questa doveva essere affiancata a una metafisica personalistica, esistenziale (legata alla globalità dinamica del vissuto umano), più biblica, nella quale la verità viene a coincidere con la vita e Dio si comunica come Amore. D’altra parte la tendenza “razionalista” di certi teologi portava a voler capire con concetti astratti il massimo possibile del mondo divino; mente il teologo che vive all’interno della comunità si pone umilmente davanti a quanto Dio ci vuol rivelare (con “racconti” popolari) del mistero. E’ venuta l’ora di svecchiare la nostra apologetica (ora trasformata in teologia fondamentale), per non combattere contro i mulini a vento. Mi sembra necessario però reagire contro una posizione anti-metafisica, fatta propria dal “pensiero debole” (es. Vattimo), riconoscendo che il Dio raggiunto dalla ragione è da identificare col Dio accolto nella fede. Anzi ciò che manca in un confronto in cui il religioso è trascinato da uno scientista, affinché quest’ultimo non possa squalificare la fede come favoletta per ingenui, è l’intervento del filosofo.
Le recenti polemiche suscitate da scrittori neopositivisti e scientisti richiamano al dovere di precisare che il “principio cosmologico” - proprio della modernità derivante da Cartesio e dall’Illuminismo - che considera l’uomo come un semplice osservatore dall’esterno del movimento evoluzionista, oggi da non pochi (es. Dicke, Carter) è da integrare col “principio antropologico”, secondo il quale l’essere intelligente (uomo e, in conclusione, Dio) è quello che dà senso compiuto all’ordine finalistico chiaramente orientato; che è richiesto da un uso appropriato della ragione, benché sappiamo che la ragione non è tutto, come invece vorrebbe il razionalismo dei miscredenti.
Antonio Contri
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