Quando trattiamo dell’argomento degli argomenti, l’esistenza di Dio, spesso sovrapponiamo due questioni ben diverse: se dobbiamo ammettere l’esistenza di un Essere assoluto, emettendo un giudizio sulla logicità (e questo è argomento di metafisica); se dobbiamo credere alla possibile rivelazione di Dio (e ciò è un argomento di credibilità, di pertinenza della fede). Le due risposte sono parallele, per cui San Tommaso, dopo aver esposto ciascuna delle famose cinque vie, conclude: “è quello che intendiamo con Dio”; assumendo che questo Essere sia il Dio della rivelazione, come si può vedere dalla citazione di Esodo 3,14 in questo testo (I, 2, 3) della Summa Theologica. I protestanti invece, sulla linea di Kierkegaard e di Barth, giudicano le due direzioni contrapposte: l’uomo che dà la scalata al divino; Dio che scende verso l’uomo. E’ lo sesso discorso di Pascal nel famoso Memoriale. Guardiamoci comunque dal restringere l’argomento all’intelletto, e magari a un discorso cosmologico; mentre dobbiamo giungere al Dio personale, connesso col discorso antropologico e quindi personalistico, esistenziale e culturale.
In occasione di un confronto siamo soliti introdurre, oltre al filosofo e al teologo, un terzo interlocutore: l’esperto in scienze della natura. Il quale non ha nulla da dire sull’esistenza di Dio: quando interviene su ciò, sta parlando fuori dei suoi mezzi di acquisizione (vedi la nota risposta di Laplace a Napoleone). Il guaio è che la nostra mentalità comune “crede” solo a ciò che vede, esperimenta e calcola. Ci troviamo di fronte a due riduzioni: lo scienziato positivista nega ogni senso alla metafisica; il razionalista attribuisce valore solo alla ragione umana. Quest’ultimo non accetta l’affermazione per asserzione, che implica la libera volontà del soggetto; mentre almeno l’80% di quanto conosciamo viene dall’asserzione di terzi.
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