IV DOMENICA DI AVVENTO “A”
In preparazione alla celebrazione del mistero dell’Incarnazione (farsi uomo) del Figlio eterno di Dio, oggi la liturgia della Chiesa ci chiede uno sforzo: una meditazione teologica sul mistero di Dio, di cui noi uomini possiamo capire solo una parte (e solo per rivelazione, nella fede). Quindi in questa omelia privilegiamo gli aspetti concettuali rispetto alle applicazioni alla vita.
In questo senso la lettura più utile per la riflessione è quella di San Paolo.
I
L’inizio della lettera più importante dell’Apostolo ci traccia uno schema della identità di Cristo.
Il Figlio di Dio:
1/ Nella natura umana è discendente del Re Davide: il Messia davidico
2/ Nella natura divina, inizia la storia di un evento che nasce dall’eternità: la storia dell’Incarnazione (come diciamo nel Credo), che avrà il suo culmine nella Risurrezione (cfr. At 13,33) per cui non possiamo separare il Natale dalla Pasqua. San Paolo ci dice che Gesù viene dallo Spirito.
Il concepimento di Gesù non è una generazione da parte di un padre umano, ma una nuova creazione (Ratzinger). Dio è padre di Gesù fin dall’eternità. Gesù è l’uomo definitivo (nell’opera della creazione) e l’uomo modello (per noi), che siamo creati in Cristo Gesù (Ef 2,10; ma anche l’inno di Col 1).
Dio è padre di Gesù anche come uomo.
II
Maria, che è vera madre di Gesù, è lo strumento dell’intervento creatore di Dio. La sua verginità per la fede cristiana è segno che la salvezza dell’uomo viene solo da Dio.
A - Questo è presentato come modo solito dell’agire di Dio dalla prima lettura.
Isaia ci riporta a un momento difficile della storia israelitica. Il re Acaz, per la paura dell’esercito nemico, agisce al di fuori di Dio (o senza Dio): per idolatria (fa offrire sacrifici umani); per fiducia nella potenza degli assiri. Isaia rivela che sarà Dio a salvare il suo popolo mandando un nuovo re: Ezechia. Nella rilettura cristiana di San Matteo, questo figlio nasce da una vergine (Maria) ed è il vero e definitivo discendente di Davide, Gesù.
B - Il racconto teologico di Matteo ha un’altra novità:
a) oltre a presentare la discendenza umana e dinastica di Gesù come non fisica ma giuridica, secondo le promesse fatte da Dio nell’AT,
b) ci dice che la madre è incinta per opera dello Spirito santo. Cioè Dio supera le premesse dell’AT e ci dona una discendenza divina filiale (soprannaturale).
Gesù è figlio di Dio anche fin dall’inizio della sua esistenza terrena, non nella gloria, ma nell’umiltà e nel nascondimento. E’ veramente “Dio con noi” e noi possiamo gioire per avere Dio come fratello.
Giuseppe, di fronte al grande misero che intravede, pensa di ritirarsi umilmente, perché è “giusto” (si sforza di adempiere la volontà di Dio) e presta una vera fede (anche se difficile) nell’intervento soprannaturale di Dio. E riceve l’incarico di mettere a quel figlio il nome di Gesù (che significa: Dio salva).
In questa quarta Domenica di Avvento l’evangelista Matteo, riprendendo il tema dell’Immacolata Concezione (che abbiamo celebrato da poco), ci narra del “concepimento” di Gesù (Ἰησοῦ Χριστοῦ ἡ γένεσις) per opera dello Spirito Santo. Come è noto infatti, Maria è stata concepita “sine macula originalis”. Verrebbe da porsi una domanda che, prima facie, potrebbe apparire banale ma in realtà non lo è. Quale ruolo è conferito allora a Giuseppe? Egli non è padre “biologico” (mi si passi l’espressione) di Gesù ma suo padre legale, in quanto lo riconosce davanti alla Legge (degli uomini). Tale riconoscimento conferisce a Gesù la discendenza davidica e abramica. Leggiamo infatti nel secondo libro del profeta Samuele “καὶ ἀπαγγελεῖ σοι Κύριος ὅτι οἶκον οἰκοδομήσεις αὐτῷ” (Sam 7, 11). Il termine “οἶκον” si riferisce alla dinastia davidica che troverà massimo splendore in Cristo, sublimazione nel disegno di Dio. L’importanza di Giuseppe è allora fondamentale per il compimento di quanto annunciato nel veterotestamento dal profeta Samuele e in maniera ancora più esplicita da Isaia il quale afferma “ἀκούσατε δή, οἶκος Δαυίδ…. διὰ τοῦτο δώσει Κύριος αὐτὸς ὑμῖν σημεῖον· ἰδοὺ ἡ παρθένος ἐν γαστρὶ ἕξει, καὶ τέξεται υἱόν, καὶ καλέσεις τὸ ὄνομα αὐτοῦ ᾿Εμμανουήλ”. Il termine Emmanuele, come è noto, significa “Dio con noi”. Un Dio, perciò, che non resta negli “intermundia” ma che si fa uomo in mezzo e che, come estremo atto di amore (agàpe), permette che suo Figlio venga crocefisso per la nostra salvezza. Si è detto allora dell’importanza che Giuseppe riveste in quanto “padre legale” di Gesù. Ma Giuseppe assume rilevanza anche su di un piano più concreto, un piano esemplificativo di modello sa seguire. Egli è infatti “δίκαιος “, in quanto obbediente alla Legge divina, pur nella sua difficoltà ad accettarla. In tal senso l’uomo “giusto” è l’uomo “timorato di Dio”, rispettoso del Suo volere e conscio della propria limitatezza. L’atteggiamento di Giuseppe (che è uomo) deve essere per noi, alle soglie del Natale, sia “modus vivendi” dell’Incarnazione stessa sia del nostro cammino di fede per l’anno che verrà.
RispondiEliminaTrovo nel brano evangelico l'assoluto rispetto, da parte di Dio, della liberta' dell'uomo. non e' solo l'uomo che si fida di Dio per diventare suo strumento, ma e' anche Dio che si fida dell'uomo rispettando la sua scelta di diventare suo ostacolo.
RispondiEliminaGiuseppe si trova di fronte a un dilemma: essere giusto secondo la legge ripudiando Maria o essere giusto ascoltando il proprio cuore.
Nel primo caso sarebbe stato ostacolo al piano divino, nel secondo si apre ad un mistero che non comprende.
Solo dopo che ha superato questa prova, Dio si manifesta attraverso l'angelo.