mercoledì 17 novembre 2010

XXXIV dom. AnnoC

XXXIVannoC

GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

La prima lettura ci presenta il Re modello del Popolo d’Israele: Davide (notiamo che il re era un capo-tribù di grado più elevato). Quando questi, che si trova ad Ebron nel Sud, diventa re anche delle tribù del Nord della Palestina.

Il brano dice tre cose:

  • Il motivo dell’unione è la comunanza di sangue (consanguineità) di tutte le tribù
  • L’ufficio principale del re è quello del pastore, della guida del popolo (e Gesù si proclamerà “buon Pastore”)
  • Il re per gli ebrei era il consacrato (l’unto) del Signore. “Unto”, consacrato coll’unzione sacra, è il significato di Christòs, il Messia-Re.

Gesù è Re dell’universo. Re perenne (un re è senza limiti di tempo, non come un presidente). Questo titolo, superiore a tutti quelli umani, ci apre all’universalità:

  • Cristo è il mezzo di cui si è servito Dio per creare l’universo. Centro di sintesi, centro di coesione universale. Tutta la realtà è concentrata in Lui. Tutto si orienta verso di Lui (è il “punto Omega”)
  • Immagine di Dio, cioè volto umano di Dio nell’Incarnazione. Gesù potrà affermare: “Chi ha visto me ha visto il Padre”.

Però si rivela a noi come un Re del tutto speciale:

  • Ci viene presentato come un Re morente, nell’incomprensione totale di chi non ha il dono della fede. Gesù muore come uomo. Il Regno di Dio è la comunità degli uomini obbedienti a Dio; e la morte per amore è l’atto supremo di obbedienza, la somma fedeltà all’alleanza tra Dio e l’umanità. Nel Regno di Dio noi uomini riconosciamo di non essere “dio”.
  • Un re apparentemente fallito: “Salva te stesso”; e non si salva! Un re (martire/eroe) salva il suo popolo nella grande lotta contro il nemico.
  • Gesù è un Re salvatore; è proprio di un re concedere la grazia. “Quando sarai nel tuo regno”: Gesù quindi dispone pienamente del Regno di Dio.

Che cosa significa per noi?

  • Il Regno s’instaura oggi, dalla Croce, che è il trono dell’amore che perdona (perché il Dio cristiano non è qualificato soprattutto dall’onnipotenza, ma è essenzialmente Amore).
  • La redenzione è la riparazione della disobbedienza dell’uomo. Nella riconciliazione Gesù ri-pacifica con Dio ogni cosa col suo sangue. E noi passiamo dalle tenebre alla luce del Regno del Figlio
  • Cristo è il Primo tra i risorti (sempre come uomo). Ottiene il primato universale anche sul suo Corpo, che è la Chiesa.

1 commento:

  1. Questa Domenica l’evangelista Luca ci pone d’innanzi all’aspetto più dirompente del Cristianesimo: lo scandalo della Croce. Questo “scandalo”, di cui parla Paolo nella “Lettera ai Galati”, mostra come Gesù sia esemplificazione di una morale, di un’etica, di un insegnamento che contrasta nettamente con ogni impostazione o tematica simile. La salvezza che Egli ci ha donato, al prezzo della sua stessa vita, non è trionfo sfarzoso, non è superiorità del vincitore sul vinto bensì sacrificio, sofferenza e morte. Ma perché, come chiedono i ladroni (precisamente Dimaco, quello “cattivo”) Gesù non si è salvato? La domanda potrebbe essere ancora più abissale: perché il Padre non ha salvato Suo Figlio? La risposta è univoca: per amore verso gli uomini. La chiave di volta è allora l”Agàpe”. Il Padre che non interviene è il simbolo non di un disinteresse ma dell’estremo atto d’amore per noi: un amore così sconfinato da accettare la morte del proprio Figlio; Figlio che a sua volta, per il medesimo atto d’amore, si sacrifica per noi e per la nostra Salvezza. Cristo è il “Rex Iudeorum: quale re si lascia sbeffeggiare, insultare e crocifiggere come un malfattore qualunque? E’ dunque questo un re? Gesù non è un re. Egli è “Il” Re: e come tale non compie un “regifugium” ma come custode, garante dei suoi “sudditi” si sacrifica per il bene comune, per la salvezza di tutti, a scapito della sua stessa vita. Nel dialogo tra Tito e Dimaco emerge un concetto fondamentale: il timore di Dio (φοβῇ σὺ τὸν θεόν). Come osservato in altri scritti, questo è uno dei sette doni dello Spirito Santo e pertanto un dono di amore. Il “Timor Dei” non è quella paura che alcuni sacerdoti in epoca medievale erano soliti incutere nei fedeli con visioni allucinate e terrificanti dell’Inferno al solo scopo di riempire le chiese e di accrescere il potere temporale della Chiesa. Il timore di Dio è l’accettazione incondizionata dell’amore che il Padre ha verso i propri figli. I “timorosi” sono allora quei figli che nel loro amore verso il Padre temono di mancargli di rispetto, temono il venir meno della Sua fiducia e di incappare nella disapprovazione. Il timore di Dio è innanzitutto una lezione di umiltà alla quale noi oggi, in un epoca di idolatria e di totipotenza umana, dovremmo rifarci. Quell’umiltà è la stessa che ci permette la Grazia che ha salvato l’anima di Tito. Nella speranza allora, oggi, ahimè, forte, che Cristo non sia morto invano.

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