martedì 23 novembre 2010

I dom. Avvento anno A.

I DOMENICA DI AVVENTO ANNO A

I

In periodi nei quali entrano in crisi la fede e la speranza genuinamente cristiane, la gente si lascia attrarre e impaurire da tristissime previsioni della fine di tutto e dall’ansia di determinarne in anticipo la data.

L’ultimo caso di una storia plurisecolare è stato il fenomeno delle predizioni apocalittiche riproposte dai Testimoni di Geova. (NOTA: Anche se chi conosce la Bibbia sa che l’Apocalisse di Giovanni non è un prontuario di calcoli matematici e ha una “par condicio” tra eventi catastrofici e gloriosi, con una finale tutta luminosa!). Previsioni che col giungere del fatidico anno 2000 sono state rimesse velocemente nel cassetto.

Anche i giudei del tempo di Cristo, sommersi da un’ondata di ansia e paura, si esercitavano su un’apocalittica che presumeva di calcolare le date in anticipo.

II

Ma il Popolo dei credenti aveva già una visione della storia molto più serena e gloriosa. Isaia ci parla di tutti i popoli che verranno al Monte del Tempio del Signore, donde vengono proclamate le vie del Signore (per es. i Comandamenti). E Dio sarà un giudice non arcigno e vendicativo, ma emetterà la sua sentenza su un mondo universalmente pacificato (immagine del Regno di Dio, o dei cieli). Il profeta conclude con un’esortazione: Camminiamo nella luce del Signore.

III

Gli uomini si dividono in coloro che si calano una benda sugli occhi, pensando alle piccole cose quotidiane e vacue, e quelli che guardano riflessivamente allo svolgersi della vita del mondo (l’umanità).

Il vangelo ci presenta un quadro molto realistico dell’umanità:

- la maggioranza bada ad esercitare i suoi affari e a godersi le gioie e i piaceri della vita (traguardi certamente secondari), senza pensare a procurarsi i mezzi di salvezza (nell’esempio: arca di Noè).

- Altri pensano alla fine della loro vita; ma Gesù guarda anche al giudizio universale.

- Un’altra porzione dell’umanità si prepara nella vigilanza all’incontro col Signore, nel giudizio universale, determinante di tutta la nostra eternità.

IV

Cosa dice Gesù su questo problema tanto importante a noi cristiani che iniziamo oggi un nuovo anno liturgico?

Noi credenti dobbiamo essere quotidianamente pronti al giudizio del Signore; che verrà improvviso, in una data che nessuna religione né alcuna scienza o filosofia possono precisare. Quindi ritorna l’esortazione cristiana ad una serena vigilanza.

La paura ci conduce al baratro, non porta alla salvezza: è solo la virtù che ci fa salvi; non come impresa nostra, ma coll’intervento necessario della Grazia di Dio.

1 commento:

  1. In questa prima Domenica di Avvento siamo di fronte ad un’analisi tremendamente attuale del “modus vivendi” di questo nostro tempo: il nostro cuore e la nostra mente sembrano aver dimenticato le cose che realmente contano nella vita e le cose che realmente rendono la vita, degna di questo nome. Il nostro male è il male di cui S. Agostino parla nelle “Confessioni”: amiamo un bene inferiore in luogo di uno superiore. Temo che il nostro tempo sia arrivato addirittura all’adorazione di beni inferiori in luogo del Sommo Bene, che è Dio. Il nostro tempo è contraddittorio. Siamo alla deriva dell’autentico sentimento religioso, spodestato da una secolarizzazione incalzante, e siamo alla deriva della razionalità, spodestata da scelte avventate ed irrazionali. Gia nell’Antico Testamento, Qoelet aveva posto l’attenzione, in maniera poetica ma efficace, sulla “Vanitàs vanitatum”, senza però prendere in attenta considerazione le conseguenze pratiche di un tale atteggiamento di abiura etica e morale.
    Anche in questa parabola, la centralità della tematica del tempo appare inevitabile. Cristo ci mette in guardia, poiché non sappiamo quando verrà il “tempo di Dio” (Il Kairòs). A tal proposito si ricordi un’altra parabola, quella del “ladro di notte”: «Sappiate questo: se il padrone di casa avesse saputo a che ora della notte (Lc: in quale momento ) ...avrebbe vigilato e impedito l'irruzione nella casa. Siate pronti anche voi perché il Figliuol dell'uomo verrà in un momento che voi non vi aspettate»(Mt. 24:43s, Lc. 12:39s).
    Viene da chiedersi allora:quid agerem? Non dobbiamo chiederci quando Dio verrà ma se siamo nelle condizioni di accettarlo pienamente nella nostra vita, di “darci” totalmente a lui. La preghiera, in tal senso, si configura (insieme all’imprescindibile “Grazia”, che assume posizione di preminenza salvifica) condizione per comparire davanti al Figlio dell’uomo, condizione per anelare, riprendendo Kant, alla “santità”.

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