domenica 17 ottobre 2010

CHIESA E MODERNITA' - Storia dei difficili rapporti della Chiesa con alcune correnti della modernità

PARTE PRIMA

Avvertenza

Prenderemo in considerazione quasi esclusivamente la realtà storica dell’Europa e del mondo occidentale che da essa culturalmente e religiosamente dipende.


INTRODUZIONE

I
Il progresso globale dell’umanità ha solo una movenza positiva? Come si può riscontrare nella storia delle scoperte, nell’ambito delle scienze sperimentali e matematiche.
Purtroppo dobbiamo rispondere negativamente: talvolta c’è un’involuzione. Ad es. nell’uso nefasto delle scoperte (mezzi di distruzione bellica, o cammino verso una catastrofe universale…).
Perché nell’ordine spirituale non è come nella costruzione per es. di sempre più potenti automobili. Si tratta infatti di un patrimonio di sapienza degli antichi, in cui per es. la nostra cultura tecnica occidentale ha molto da apprendere dalle grandi filosofie e religioni orientali sulla realtà misteriosa e insondabile delle profondità dell’uomo. Può darsi che Sofocle o Confucio sappiano cogliere questo mistero meglio di un ricercatore di un’università americana. Naturalmente ciò dipende da quale concezione ci formiamo dell’essere umano: esteriore, interiore, materialista, spiritualista, fisicista, culturale….
Però dobbiamo osservare che, nel linguaggio comune ai mezzi d’informazione, si intendono per “scienze” solo quelle sperimentali-matematiche. Sembra quasi che lo scibile si riduca a parametri di misurabilità e di utilità immediata. Molti qui dovrebbero protestare: e le scienze giuridiche, e le scienze umane (filosofia, psicologia, pedagogia), e le scienze sociali e storiche, e la glottologia, e l’arte? Se poi aggiungiamo le scienze religiose e morali….

II
A partire dall’Illuminismo – con ampie radici nel periodo rinascimentale – in buona parte dei pensatori si è percorsa una strada “in discesa”, mettendo successivamente in crisi:
* la metafisica
* la teologia naturale
* il fenomeno religioso
* il Cristianesimo
* il Cattolicesimo
* la funzione del clero nella Chiesa

III
Ma non tutte le colpe provengono dall’ambiente culturale; mentre ogni movimento storico ha degli aspetti negativi e positivi.
Dovremo quindi chiederci come la Chiesa cattolica, specialmente nei suoi organi dirigenti, ha saputo vedere, anche a lunga gittata, e rispondere alle giuste esigenze che emergevano da quei movimenti, pur selezionando la buona semente dal loglio; e questo facendo con tempestività e saggia decisione.
Perché l’esperienza insegna che, quando tra litiganti o contendenti c’è incomprensione, le colpe dei contrasti non sono mai attribuibili ad uno solo; se non altro, perché, se uno ha fatto leva su pregiudizi, l’altro può aver ignorato le ragionevoli motivazioni del primo.

SUDDIVISIONE E BIBLIOGRAFIA

Tenuto conto che non svolgiamo un corso di Storia della Chiesa, ma cerchiamo di individuare le motivazioni delle convergenze e delle contrapposizioni che si frappongono tra la società religiosa (cattolica) e quella civile, possiamo prospettare una suddivisione in cinque capitoli:
• Dall’Umanesimo al pre-illuminismo
• Dall’Illuminismo all’epopea napoleonica
• Dalla Restaurazione alla I guerra mondiale
• Dal I dopoguerra al Concilio Vaticano II
• Nella temperie del post-moderno

Come bibliografia indichiamo:

G. REALE - D. ANTISERI, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, La Scuola, volumi II e III
F. ADORNO – T. GREGORY – V. VERRA, Storia della filosofia con testi e letture critiche, Laterza, volumi II e III
AA. VV., Storia della filosofia, (cura di C. Fabro), Coletti, vol. II
F.-J. THONNARD, Storia della filosofia, Desclée
N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia (aggiornato da G. Fornero), U.T.E.T.
D. MAGRI’, Lineamenti di storia della letteratura italiana, S.E.I.
AA. VV., Enciclopedia della Letteratura, Garzanti
J. LORTZ, Storia della Chiesa in prospettiva di storia delle idee, Paoline, volume II
AA. VV., Storia ecumenica della Chiesa (editori R. Kottje – B. Moeller), Queriniana, volumi II e III
G. MARTINA, La Chiesa nell’età dell’assolutismo, del liberalismo, del totalitarismo, Morcelliana,
4 volumi
AA. VV., Storia vissuta del popolo cristiano (direz. di J. Delumeau), S.E.I.
S. TRAMONTIN, Un secolo di storia della Chiesa, Studium, 2 volumi
L. BOUYER, Breve dizionario teologico, Ed. Dehoniane


Capitolo Primo
DALL’UMANESIMO AL PRE-ILLUMINISMO


Premessa: L’Evo moderno

La caratteristica più evidente dell’Evo moderno è individuabile nella frattura della precedente unità, dell’universalismo medievale favorito dalla presenza della Chiesa. Si perde l’elemento centrale di tipo religioso e culturale. Si passa pure da un distacco dalla tradizione e perciò ad una crescente accelerazione delle tendenze del mutamento.
Si passa all’individualismo, al soggettivismo, al nazionalismo, al laicismo, alla secolarizzazione.
Le autorità della Chiesa spesso non accompagnarono questo sviluppo, saggiamente facendo passare la popolazione da una dipendenza esteriore ad una interiore, potando gli elementi che facevano prevedere il peggio ma valorizzando e tenendo nel giusto conto le genuine critiche. Non si seppe produrre una vera riforma della Chiesa, di cui tutti avvertivano il bisogno. Ne risultò una civiltà indipendente dalla Chiesa e successivamente ad essa ostile.
Le tappe più importanti sono:
• il rilassamento interno, già iniziato da alcuni movimenti del Medioevo (sfiducia nella Rivelazione) e il recupero della visione “pagana” dell’antichità classica
• la lotta contro la Chiesa cattolica (Protestantesimo)
• la lotta contro la religione rivelata (Illuminismo, razionalismo)
• la lotta contro ogni forma di religione (materialismo, marxismo)
• la sfiducia nella ragione (relativismo).


Paragrafo Primo
UMANESIMO E RINASCIMENTO


Comprendono uno dei momenti più splendidi della civiltà europea e soprattutto italiana, sviluppato a partire da Firenze e Roma. Il fenomeno, che si più considerare unitariamente, pone al centro della visione globale della vita e della realtà l’uomo come essere vivente quaggiù e norma di ogni valore. Sostanziato da un’ammirazione per le “forme” (lingua, arte…) dell’antichità classica pagana, e in molti casi da un’accettazione di alcuni valori (filosofici, morali…) riferibili al paganesimo pre-cristiano.
Esistono tre letture del fenomeno globale culturale riassumibile nel termine Rinascimento:
1) Si pone in frattura nei confronti del Medioevo, considerato come l’epoca buia, in cui l’uomo è oscurato dalla prevalenza del divino
2) Si pone in sostanziale continuità col Medioevo, tenuto conto anche delle origini religiose dell’idea di rinascita
3) C’è una terza interpretazione, che noi preferiamo, quella che pone le due epoche nella linea di diversità nella continuità.
Tenuto conto dell’equilibrio manifestato da grandi autori (S. Tommaso, Dante…), due fra le tendenze predominanti nel Medioevo erano:
• una forte spinta verso la fuga dal mondo
• una tendenza a subordinare tutte le attività umane direttamente alla religione.
Possiamo dire che la spina dorsale del Rinascimento fu “l’esasperata affermazione dell’autonomia temporale” (Martina).
Quindi possiamo dire che esistono due grandi correnti nel fenomeno grandioso del Rinascimento: quella dell’accordo col Cristianesimo e quella dell’insofferenza contro la nostra visione della realtà. Troviamo questa bifocalità (per non dire: contraddizione) in molti autori e persino nei Papi.
Troviamo in Italia Machiavelli che costruisce la sua teoria delle politica prescindendo nettamente dalle considerazioni religiose e morali (assume come modello il crudele Cesare Borgia, figlio del Papa Alessandro VI). Troviamo l’Ariosto che ci dà una splendida fantasmagoria (“superficialità seducente”, come dice Magrì) di un’epopea che in altri tempi sarebbe stata dedicata al trionfo della fede cristiana (come vorrà fare invece il Tasso).
Troviamo anche sacerdoti cattolici che volevano ottenere una fusione tra antichità classica e Cristianesimo: Marsilio Ficino, e soprattutto Desiderio Erasmo di Rotterdam. Il quale ultimo, grande filologo anche biblico, univa insieme un comportamento corretto, una pietà semplice quasi infantile (devozione a S. Anna), l’ideale di una saggezza umana, il sincero desiderio di una purificazione ecclesiale, con una sottovalutazione della dimensione dogmatica e sacramentale, forse troppo sviluppata lungo il Medioevo.
Troviamo dei Papi che sono più umanisti, mecenati e governanti che uomini di Chiesa e pastori del popolo cristiano: Nicolò V, Pio II, Sisto IV, Giulio II….; fino a giungere a quelli che vissero una vita mondana, prevalentemente tesa all’affermazione della loro famiglia, e persino scandalosa: Innocenzo VIII, Alessandro VI.


Paragrafo Secondo
LA RIVOLUZIONE PROTESTANTE


Il Protestantesimo comprenderebbe: Lutero, Zwingli, Calvino e (in senso più ampio) Enrico VIII. Noi parleremo solo degli “evangelici” che si richiamano a Lutero e dei “riformati” che fanno capo a Calvino.

I - Martin Lutero

Questo monaco agostiniano e sacerdote sassone è la scintilla che fa esplodere un incendio che covava da lungo tempo nell’Europa religiosa. I motivi più evidenti del risentimento erano: le vicende del papato negli ultimi decenni, il doloroso scisma d’Occidente e la teoria conciliare, i precedenti fenomeni scismatico-ereticali, il risentimento dei popoli germanici contro tutto quello che richiamavano l’assolutismo e il cattivo esempio del “sistema romano” (le idee del frate agostiniano tanto si accordavano con lo spirito tedesco, espresso nell’etichetta “complesso antiromano”), le idee nuove degli autori rinascimentali non cristiani, l’impoverimento della filosofia e teologia “scolastiche”, il misticismo esagerato e ambiguo di alcuni autori della regione del Reno. Mentre i tentativi di riforma da parte della gerarchia cattolica erano stati scarsamente risolutivi.
La vecchia apologetica cattolica presentava Lutero con le tinte più orribili. Una visione più oggettiva ci fa dire che i principali tratti essenziali del monaco sassone erano “autentica e profonda religiosità, tendenza al soggettivismo, autoritarismo e violenza” (Martina).
Dice il Martina: “l’agostiniano possedeva un carattere forte, unilaterale, eccessivo, esuberante, impulsivo…”; “cadde in uno stato di profonda inquietudine, temendo di non potersi liberare dal peccato, e di appartenere al numero dei dannati”. Su un albero con molti rami danneggiati dalla tempesta Lutero ha prodotto una impietosa potatura che ha eliminato anche elementi essenziali. Qualche acuto commentatore ha detto: Lutero dell’ampia fonte della rivelazione ha prodotto una riduzione alla Bibbia; di questa all’epistolario di San Paolo; di questo alle lettere Rm-Gal; di queste alla questione della “giustificazione”. Egli rivela di aver avuto un’illuminazione meditando su Rm 1,17: “In esso (nel Vangelo) si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto ‘Il giusto per fede vivrà’ (Ab 2,4)”.
Dio non elimina le nostre colpe, ma le copre (cfr Sal 32,1), per cui basta credere (“Sola fide”) per essere salvati. Anzi la vita cristiana si riduce a tre “Sola”:
* “Sola Scriptura” (senza alcun ricorso alla Tradizione né intervento della comunità credente)
* “Sola iustitia Dei” (senza richiedere la nostra adesione di volontà); essendo la nostra natura totalmente corrotta, il cristiano è “simul iustus et peccator”
* “Sola discipula” (la Chiesa non è mater et magistra), non riconoscendo la Chiesa istituzionale.
Mentre i grandi teologi del medioevo definivano la Chiesa “Fides et fidei sacramenta”, qui viene meno tutta la dimensione sacramentale (la mediazione dei mezzi di grazia e della figura magisteriale e sacerdotale). Libero esame e nessuna chiesa conducevano alla possibile configurazione di mille chiese, perché ogni cristiano è una chiesa.

Questo è l’impianto di base delle idee del grande riformatore. Ma l’occasione di quella che doveva essere solo una riforma, mentre divenne una “rivoluzione”, fu la questione delle indulgenze. A queste erano legate le offerte per la costruzione della nuova basilica di San Pietro a Roma e per la somma che doveva versare a Roma il vescovo di Magonza. Si aggiungeva la non esemplare predicazione del domenicano Tetzel. Così Lutero nel 1517 mise in pubblico le sue “95 tesi”. Seguirono pubbliche discussioni ad Augusta (1518) e a Lipsia (1519). Nella sua ribellione Lutero fu appoggiato dai prìncipi (soprattutto da Federico di Sassonia), tendenzialmente sempre insofferenti dell’autorità imperiale.
Con una bolla del 1520 (in cui si chiedeva la ritrattazione) Roma intervenne in ritardo; con un’altra del 1521 il ribelle fu scomunicato. Poi le cose si complicarono; entrarono infatti nel conto:
• le rivalità tra i pretendenti all’impero (Roma era solitamente contraria agli Asburgo), la guerra, la minaccia dei Turchi
• la repressione di tre “rivoluzioni” (dei cavalieri, degli anabattisti, dei contadini) coll’aiuto di quel potere esterno da cui Lutero avrebbe voluto liberare la chiesa
• gli estenuanti colloqui che poi si mutarono in guerre di religione.
Anche il Concilio di Trento cominciò troppo tardi e durò troppo a lungo (1545-1563); Lutero era morto nel 1546
Alla fine due terzi degli stati tedeschi si ritrovarono protestanti.

Un rapido giudizio.
• Contro una struttura istituzionale gravemente inaccettabile, non possono nulla, o quasi nulla, le pie intenzioni.
• Anche i santi vogliono la riforma della Chiesa, ma la fanno cominciando a migliorare se stessi.
Il marchio più evidente lasciato da Lutero alla religione dei suoi seguaci è il soggettivismo (l’individuo in rapporto immediato con Dio) e il deprezzamento della Chiesa (che è solo “creatura verbi”, destinataria della Parola, e non anche “ministra verbi”, amministratrice della Parola).
Mentre la divaricazione tra Oriente e Occidente può essere vista come un semplice scisma (divisione nella disciplina), il Protestantesimo si rivelò una deviazione da alcune realtà che quelle due grandi parti precedenti della Chiesa ritenevano essenziali (cioè una divisione nella fede, un’eresia). Il concilio Vaticano II chiama i gruppi protestanti “comunità ecclesiali”.

II – Giovanni Calvino (Cauvin)

E’ un francese laureato in diritto che ha svolto la sua missione soprattutto a Ginevra.
E’ l’opposto di Lutero: freddo e severo organizzatore, intelligenza sistematica e logica accompagnata da una condotta sobria, commentatore di tutto l’Antico e Nuovo Testamento, rifacitore continuo delle sue opere (Christianae Religionis Institutio), estensore di almeno 4000 lettere.
Ma come il tedesco, egli considerava l’uomo intrinsecamente corrotto, era guidato da un forte senso religioso e ispirato dagli ideali dell’evangelismo (cura della pietà interiore e disistima delle espressioni esteriori).
Secondo Paolo Ricca, sono due le differenze principali tra la teologia degli evangelici e quella dei riformati, per cui Calvino
a) in una chiesa che pure rimane assembleare, individua quattro funzioni negli incarichi ecclesiali
b) ritiene il lavoro una vocazione dell’uomo a rendere un servizio a Dio.
La sua idea di Dio (più veterotestamentario che cristiano) era di un “Signore onnipotente ed onnisciente, severo giudice degli uomini, arbitro assoluto dei loro destini” (Martina); non si tratta di un Dio che ama e vuol essere amato, ma che deve essere adorato. Nella sua predestinazione, Dio ci discrimina ab aeterno in salvati e condannati, senza importanza per le nostre opere; le quali sono a gloria di Dio, sono segno dell’elezione di Dio, fino a manifestare la sua benevolenza per il ricco che ammassa denaro (per Max Weber, il capitalismo deve all’etica calvinista la sua forza propulsiva).
La sua teologia mette in evidenza un forte cristocentrismo (Solus Christus).
Tiene conto dei Concili e dei padri della Chiesa; ma non potendo rifondare la Chiesa consegnata alla tradizione dagli apostoli (che chiama “Mater Ecclesia”), per rifiutare la struttura cattolica a quei tempi segnata dall’autoritarismo e dall’esteriorità, ne forma una di nuovo conio. La sua idea di comunità è quella di una teocrazia (dove la Chiesa impone le sue leggi allo Stato), guidata da quattro uffici: “i diaconi, addetti alle opere di carità, i dottori preposti alle scuole, gli anziani, laici cui era affidata la sorveglianza sui costumi e sulla pietà, i pastori che predicavano e amministravano i sacramenti” (Martina). Avevano un certa preminenza gli anziani che dominavano su tutti gli aspetti della vita privata e pubblica. Non essendoci posto per un vero sacerdozio, viene meno il concetto tradizionale dei sacramenti (Battesimo, Eucaristia, Ordinazione), considerati segni comunitari della fede.
Esigentissimo ed anche intollerante in morale, arrivava ad imposizioni minuziose (persino ridicole: si proibiva il gioco delle carte e la lettura dei romanzi, si controllava il taglio dei capelli) ed anche a pene crudeli (persino la condanna a morte, come nel caso di Miguel Servet). Nonostante tutto, molti accorrevano a Ginevra, specialmente i fuggiaschi dall’Inquisizione cattolica.

III – Giudizio

Aspetti negativi
In duemila anni di storia il Cristianesimo – prendendo come punto di riferimento il Cristianesimo cattolico (con centro Roma) – ha subìto tre dolorose amputazioni:
- a sud, per opera dell’Islamismo
- ad est, per opera della Chiesa ortodossa
- a nord, per opera del Protestantesimo.
E’ venuta meno nel XVI secolo l’unità europea.
L’esaltazione assoluta del soggetto ha portato ad un uso indiscriminato e pericoloso della libertà, al razionalismo, all’eclisse della comunitarietà, alla laicizzazione estrema, al nazionalismo esasperato (Chiese di Stato, subordinazione della Chiesa allo Stato), alla paura che i cattolici avevano della Bibbia.
Tanto che provvidenzialmente il mondo protestante ha sentito più volte il bisogno di “migliorarsi” (vedi ad es. il pietismo, il metodismo).

Aspetti positivi
Sono stati rimessi in auge verità e valori, magari parziali, che la Chiesa precedente aveva trascurato: si è potenziato l’anelito ad una religiosità pura, intima e personale, si è preso coscienza della realtà misteriosa di Dio e della necessità della sua grazia, si sono rimessi sotto attenzione il senso della preghiera liturgica e del sacerdozio dei fedeli, della inviolabilità della coscienza, dell’importanza dei doveri sociali e civici, e degli studi storici e positivi.
Se questi valori sono stati rimessi in circolazione dal concilio Vaticano II, non si deve gridare al cedimento verso gli “odiati” protestanti, ma salutare con gioia il ritorno alle pure radici originarie del Cristianesimo.


Paragrafo Terzo
NASCITA DELLA SCIENZA E DELLA FILOSOFIA MODERNE



A – Nascita della scienza moderna

1 - Con Copernico inizia il cammino – poi proseguito con Tycho Brahe, Kepler, Galilei, Newton - del cambiamento di due visioni della realtà:
• dell’immagine del mondo e dell’uomo: la terra non è più al centro dell’universo conosciuto e l’umanità che conosciamo può essere una delle tante possibili;
• dell’immagine della scienza: la “scienza” è solo sperimentale e si esercita sul mondo della natura; è autonoma dalla filosofia tradizionale (all’aristotelismo si preferisce il neoplatonismo) e dalla teologia (il rifiuto di questa concezione di scienza viene sia dalla Chiesa cattolica che dal mondo Protestante); è usata in unione con la tecnica; vicino alla “scienza” trovano posto l’astrologia, la magia e persino la cabala.
Lo scontro tra scienza e fede raggiunge il suo culmine con l’affare Galileo, con molte implicazioni e risvolti. Dobbiamo riconoscere (cosa che la Chiesa cattolica ha fatto da decenni, anche se i malintenzionati fingono di non saperlo!) che la vera esegesi della Sacra Scrittura, quando questa parla della natura, l’han saputa fare non i tribunali ecclesiastici che lo hanno condannato due volte, ma Galileo (che era credente ed ebbe come figlia Suor Maria Celeste), se nella lettera a Madama Cristina di Lorena del 1615 dice di aver inteso dal cardinal Cesare Baronio (famoso storico della Chiesa) il principio secondo cui “l’intenzione dello Spirito Santo esser d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”.

2 – L’inglese Francis Bacon, chiamato “il filosofo dell’età industriale”, ha affermato l’importanza del sapere pratico, della “filosofia delle opere”, che tende all’utilità.

NOTA: Osservo qui che il pragmatismo, l’utilitarismo è una costante nei pensatori di area inglese e nordamericana.

B – Nascita della filosofia moderna

a) Con Descartes, latinizzato in Cartesio (+ 1650), abbiamo – come dice Bertrand Russell (filosofo soprattutto della matematica) - il “fondatore della filosofia moderna”. Ma è più storiograficamente esatto affermare che “la storia della filosofia moderna è la storia dello sviluppo del Cartesianesimo nel suo doppio aspetto, di idealismo e di meccanicismo” (A. Whitehead).
Cartesio, che è un notevole scienziato, trovando che la metafisica non raggiunge il grado di certezza della matematica, vuole assicurarglielo con il suo famoso metodo di struttura matematico-geometrica. Da cristiano convinto, intende debellare lo scetticismo e lo fa ricorrendo alla matematica. Concepisce la metafisica come una specie di matematica universale (che è al massimo una metafisica meccanicista). La fisica stessa per lui è assorbita nella geometria. Ma dobbiamo tener conto che la geometria tratta di elementi quantitativi, mentre lo spirito esula da essa, in quanto elemento qualitativo. Non dimentichiamo infine che la metafisica ci apre l’accesso alla sintesi, mentre l’analisi si rivela soltanto come un seppur necessario presupposto (es. i dati numerici per l’architetto, i sintomi per il clinico…).

b) Qui dobbiamo preliminarmente affrontare il problema della certezza. Esistono infatti per l’uomo diversi modi di conoscere:
• la via dell’esperienza sensibile (anche strumentale)
• il calcolo di tipo matematico
• l’affermazione di altri (uomini, o divinità)
• la riflessione sintetica sui principi fondamentali (metafisica).
Alcune di queste “vie” raggiungono una certezza “fisica” (come quando conto le pere in un cesto, o misuro le calorie in una caldaia…), altre invece una certezza “morale” (come quando sposo una persona fidandomi della sua onestà e sincerità; come quando il giudice penale emette una sentenza di colpevolezza…). Per portare un altro esempio: l’impiegato di banca che conta le banconote depositate, e lo stesso che giudica se è sicura la restituzione di un prestito.
In fondo c’è il pericolo di ridurre la verità (questione oggettiva) a certezza (questione soggettiva).

c) Cartesio – dato che la funzione della ghiandola pineale, cioè l’epifisi, è considerato di solito come un espediente alquanto strano - non trova la strada della sintesi tra le due componenti essenziali dell’uomo:
• il pensiero (l’Io), il mondo spirituale, messo in luce dal “Cogito, ergo sum”; è la res cogitans
• la materia (il corpo), il mondo corporeo, segnato dall’estensione; è la res extensa.
Secondo il filosofo francese, l’uomo è composto di due sostanze complete, appartenenti a due sfere irrelative, incomunicabili e irriducibili. Quindi, ritornando al molto criticato dualismo di matrice platonica, favorito peraltro da S. Agostino (“Ego animus”), non riesce nemmeno a fare sintesi tra l’individuo (l’Io) e la comunità degli uomini (presso i quali la relazione si esprime attraverso il corpo). Comunque con la sola matematica non si capisce l’uomo nella sua specificità (di persona intelligente e volente) e nella sua mirabile complementarità tra due dimensioni (il “sinolo” di cui parlava la filosofia tradizionale). Quindi si può riassumere: un difetto è il razionalismo, che esclude il corpo; l’altro è l’individualismo, che ignora la comunità.
Chi non capisce l’uomo (“cifra” dell’universo) si preclude la possibilità di capire la realtà. Questa incomprensione si riflette perciò nella considerazione della realtà dell’universo esistente: non si comprende la possibilità che ha il pensiero di fare metafisica, associata alla possibilità che hanno i corpi di fare esperienza sensibile.

d) Dove tenderà il pensiero occidentale dopo Cartesio?
Purtroppo si spaccherà in due correnti, contrapposte e ugualmente parziali, concorrenti nel loro ineliminabile parallelismo (correnti che saranno riunificate da alcuni pensatori molto vicini a noi, ad es. dai filosofi personalisti, o da Popper con il suo “mondo 3”):

1) La corrente di tendenza antropocentrica (che esagera lo specifico umano), che assolutizza il pensiero, e converge nelle varie correnti dell’idealismo, nel razionalismo.
Sue caratteristiche principali sono:
• La negazione della sostanza materiale: l’unica realtà è il pensiero (Idealismo). Non cogliamo le cose (la realtà), ma le idee.
• La confusione fra l’ordine del conoscere (gnoseologia) e l’ordine dell’essere (metafisica)
• La ragione viene innalzata al massimo, tanto da escludere una rivelazione superiore.
Alcune posizioni particolari:
• l’ontologismo e occasionalismo (Malebranche), fino al panteismo di Spinoza (l’unica sostanza è Dio)
• Leibniz si sforza di costruire il mondo con metodo rigoroso del pensiero (come quello dei matematici), al di fuori dell’esperienza
• Berkeley: inconsistenza delle teorie sulla natura dei corpi. Le idee sono sensazioni ed esistono solo nella mente, la quale costruisce gli oggetti
• Hume: la religione non ha fondamento razionale.

2) La corrente di tendenza cosmocentrica (che trascura lo specifico umano), che privilegia la corporeità, il positivismo, il meccanicismo, l’empirismo.
Posizioni e tendenze comuni:
• La ragione viene depressa, ridotta a capacità di sperimentare (esclusione della ragione astratta). Si elimina il concetto di sostanza
• Tendenza (che va da Cartesio a Hobbes, Hume, Kant…) a ridurre la filosofia entro metodi matematici: filosofia come scienza dei corpi (Hobbes); filosofia della fisica (Berkeley).
Alcune posizioni particolari:
• Materialismo scientista: ogni essere è corporeo (Hobbes)
• Conoscere è sperimentare (Hobbes). Nulla è conoscibile oltre l’esperienza (Locke)
• Hume: Le idee non sono altro che percezioni deboli: l’astrazione è frutto di associazioni abitudinarie
• Hobbes: Non esistono valori morali assoluti. Hume introduce il metodo sperimentale negli argomenti morali: la guida della volontà non è esercitata dalla “ragione pratica”, ma dal “sentimento disinteressato” (per l’utile anche degli altri) di piacere e dolore.
L’uomo erudito da tali maestri è paragonabile a chi controlla la distanza percorsa sul contachilometri e non si cura di vedere dove è diretta la sua vettura. Se tutti guidano l’automobile in queste condizioni, il traffico della città dell’uomo diventa una babele.

Con la conclusione, che rasenta l’improponibile (!), che la prima corrente arriva ad escludere persino la possibilità della fede in nome dell’assoluto della “dea ragione”; mentre la seconda riduce la ragione a capacità di calcolare con le categorie di quella “teoria generale del cosmo” (piuttosto che filosofia nella sua accezione più nobile) che una volta si chiamava cosmologia.

e) Come queste vicende culturali esercitano ancora un influsso sull’opinione pubblica contemporanea?

I modo - Purtroppo nel grosso pubblico si è sedimentata la convinzione che l’unico modo concreto e utile di conoscere è quello della misurazione di tipo matematico, mentre il pensiero di sapore metafisico è talvolta ridotto al rango della fantasticheria inutile…L’unica scusante che posso trovare per certi paralogismi è che si confonde lo scibile umano (tutto lo scibile!) con una sua porzione, non certo la più elevata, che si chiama scienza sperimentale. Questa posizione, che giustamente è stata chiamata “scientismo”, non si accorge di essere….anti-scientifica: escludere la consistenza oggettiva di un secondo sapere che applica principi superiori ad un primo è quanto mai simile al professore di chimica che dichiara non scientifiche le affermazioni del suo collega di fisica….
Ho trovato delle persone molto aggiornate in tutto il bagaglio “scientifico” che, nel loro convincimento antimetafisico e antireligioso, sono ancor oggi ferme e irremovibili su un positivismo del tempo di A. Comte (+ 1857). Anzi chi si è fissato su quegli “anti-dogmi” protesterà contro questa mia impostazione storiografica. E questo vezzo di voler ad ogni costo trovare in ogni argomento una dimostrabilità di tipo esperienziale-matematico è molto duro a morire; mentre nel post-moderno si corre dietro a qualsiasi superstizione, assurdità, mistificazione e ingenuità! Avevano ragione gli antichi nel sentenziare “Vulgus vult decipi” (il popolo vuol essere ingannato); aveva ragione Chesterton nel dire che l’uomo d’oggi, non credendo in Dio, si è condannato a credere ad ogni cosa!
II modo – Dopo le non poche delusioni riservate all’uomo moderno dai fallimenti della (prima divinizzata) scienza, con la tecnica sua ancella, nell’epoca post-moderna una corrente - che si ispessisce sempre più - va alla ricerca di altre visioni del mondo (Weltanschauungen) in gran parte mutuate dalle grandi culture orientali, che presentano nuove religioni o (meglio) spiritualità, modi di alimentarsi, di curarsi, di esprimere il bello, di sondare l’interiorità umana, eccetera: è la cultura che si rifà generalmente al New Age. E’ la rivolta dell’uomo macchina alla ricerca di un universo spirituale che gli era stato negato.


Paragrafo Quarto
DUE AUTORI CONTRO CORRENTE


Non possiamo abbandonare la considerazione di questo periodo se non trattiamo, seppur molto brevemente, di due autori. I quali ci fanno notare che, oltre alla ragione e alla sperimentazione, esistono altre due realtà: la rivelazione divina e la storia umana.

Il giudizio più tranciante su Cartesio lo dà il grande (anche lui scienziato) Blaise Pascal (+ 1662): “Descartes inutile e incerto”!
Seguendo lo spirito del pensiero agostiniano, egli distingue fra sapere scientifico (sottoposto a un continuo progresso) e fede (fonte di principi immutabili). Distingue l’esprit de finesse (che concerne la vita, il sentimento, l’intuizione) e l’esprit de géométrie (che lavora su fatti che stanno sotto gli occhi di tutti, sull’osservazione).
Ritiene che la ragione – da lui giansenisticamente considerata corrotta - sia impotente a fondare i veri valori: “Il cuore, e non la ragione, sente Dio. E questa è la fede: Dio sensibile al cuore e non alla ragione”. “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”.
Le verità più importanti non si provano con la metafisica, ma si percepiscono con la rivelazione superiore. “Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano”.
E celebrando (senza sovrastimarla) la specificità dell’uomo: “L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa”.
NOTA: Consiglio una lettura meditativa dei “Pensieri”

Il grande napoletano Giambattista Vico, distingue le scienze morali (discipline morali) dalla ricerca scientifica (discipline naturali).
In quanto filosofo della storia, distingue la filosofia (principi universali, ricavati dalla storia), che tende alla ricerca del “vero” (l’idea), dalla filologia (analisi dei fatti e dei documenti storici), che si interessa del “certo” (i fatti). “La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia osserva l’autorità dell’umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo”.

Sguardo retrospettivo sul capitolo

Dobbiamo distinguere due presentazioni storiche dell’Umanesimo europeo:
• una che coniugava insieme l’uomo con Dio
• un’altra che tendeva ad emarginare Dio in nome dell’assolutezza dell’uomo.
Contro quest’ultima si alzò forte la voce di Martin Lutero, che contrastava anche l’eccessiva importanza attribuita da una visione cattolica medievale all’aspetto umano (di potere) della Chiesa. E come spesso accade, ad una esagerazione si risponde con un’altra di segno opposto; per cui la grandiosa visione del monaco sassone arriverà a considerare “una” particolare lettura di San Paolo (Galati, Romani) come l’unica interpretazione corretta del Cristianesimo.
La visione antropomonistica sfocerà poi nella corrente prevalente dell’Illuminismo anticristiano.

Capitolo Secondo
DALL’ILLUMINISMO ALL’EPOCA NAPOLEONICA


Paragrafo Primo
QUATTRO AUTORI, L’ENCICLOPEDIA, IL SISTEMA DI KANT


I – Voltaire

E’ un brillante polemista che sa usare l’ironia e il sarcasmo fino agli estremi del buffonesco. Ciò nonostante le sue critiche sono giustificate dalle intolleranze di larghi strati di credenti e alcune sue idee si collocano alla base delle conquiste positive della Rivoluzione francese, che sono passate poi nelle nostre costituzioni democratiche.
Egli approva Cartesio solo in quanto questi ha messo in crisi “le assurde chimere delle quali la gioventù era infatuata da duemila anni”; approva Bacone in quanto questi ha messo in guardia dalle “parole vuote” della filosofia tradizionale; elogia sotto ogni aspetto Locke.
Voltaire trova nella cronaca gli spunti per esercitare la sua critica corrosiva:
• Critica la negata sepoltura a un’attrice (categoria che allora equivaleva spesso a “peccatrice”)
• Irride alla fiducia nella Provvidenza divina in seguito al disastroso terremoto di Lisbona nel 1755
• Critica l’esecuzione avvenuta a Tolosa del protestante calvinista Jean Calas (insieme ad alcuni famigliari) perché questi aveva ucciso un figlio che voleva convertirsi al cattolicesimo
• Deplora la tortura e l’esecuzione del cavalier De la Barre per empietà.
Le sue affermazioni più importanti sono le seguenti:
a) Voltaire rifiuta sia l’ateismo (se la prende contro i pensatori che sono più geometri che filosofi) che il teismo (cioè il sistema delle religioni “positive”, storiche, che talvolta confonde con “sètte particolari”; la fede è superstizione e porta al fanatismo), per affermare il deismo (l’esistenza di Dio è provata dalla ragione e non dalla fede; “dio” è il grande orologiaio che assicura nella creazione l’ordine del mondo, ma poi si disinteressa del mondo che viene lasciato alle cure dell’uomo nella storia)
b) La sua critica all’idea di Provvidenza va contro gli scrittori cattolici Bossuet e Chateaubriand e contro Leibniz (nel provocatorio romanzo “Candide”, scritto nel 1759, questo filosofo protestante è deriso nella figura di Pangloss) e la sua idea che il mondo attuale sia il migliore dei mondi possibili.
c) L’affermazione della tolleranza (Traité sur la tolérance) è fatta contro le eccessive pretese cognitive dei teologi (“Noi non possiamo saper nulla, con le nostre sole forze, dei segreti del Creatore”; “La nostra conoscenza è limitata e tutti siamo soggetti all’errore”) e le pretese autoritative delle gerarchie ecclesiastiche; la tolleranza è guidata dal ricorso sereno alla ragione.
d) Contrasta le affermazioni (forse) un po’ troppo pessimistiche di Pascal - che egli definisce “un grande genio”, ma anche “un sublime misantropo” - in quanto l’uomo non è (come invece ritiene il filosofo francese) né un enigma né un insieme di miseria. Ma, se posso avanzare una mia critica, non aveva appena detto che siamo soggetti all’errore?

II – Rousseau

A) Una personalità complessa e di difficile interpretazione
Sulla razionalità prevalgono in lui il sentimento e l’acquiescenza alle passioni. E’ più artista (letterato e musicista) e autore politico (ha preparato la Rivoluzione francese e, in parte, quella sovietica) che filosofo rigoroso. E’ psicologicamente instabile (manie e disturbi nervosi), utopistico e contraddittorio.
Non ha fatto studi sistematici; quindi non ha una solida base né in filosofia (può essere letto come illuminista, ma soprattutto come romantico), né in morale (attento solo alla morale politica, non a quella individuale e famigliare; conduce una vita non propriamente esemplare), né in religione (è passato dal calvinismo al cattolicesimo e viceversa; è stato condannato sia dalle autorità religiose di Ginevra che di Parigi).
Si capirà, dopo queste premesse, perché ci meravigliamo che sia ammirato da molti, anche come educatore (Emilio).

B) Non dà una visione accettabile della natura dell’uomo e della sua storia (che possiamo suddividere in tre “quadri”)

a/ La natura originaria dell’uomo è da lui enfatizzata (Maritain parla di “santità della natura”)
L’uomo integro, nello “stato di natura”, è il “buon selvaggio”: al di fuori e prima di ogni civiltà, specialmente quella occidentale
E’ buono tutto ciò che l’uomo ricava dalla sua “razionalità interiorizzata”: un naturalismo razionalista, all’opposto della “ragione” degli Illuministi
Dalla ragione-natura (la natura come è rilevata dalla ragione dei semplici) Rousseau ricava ciò che è essenziale e utile alla specie umana.

b/ L’uomo originario, nella storia, è stato rovinato dalla “cultura” prodotta dalla società (arriva a dire che le scienze sono causa dei mali dell’uomo). Rousseau si schiera contro la ragione-cultura (il prodotto della società a scapito dell’individuo)
Questa società sbagliata tende al bene (benessere) individuale (egoismo); come per es. nell’accaparramento della proprietà privata
Conseguentemente Rousseau insegna che tutte le religioni “positive” – che non vengono dalla natura bensì dalla “cultura” – ma soprattutto il Cristianesimo, sono dannose per l’uomo.

c/ Rousseau propone di rifondare la società, nella quale si tenda decisamente al bene comune
Ma, poiché l’uomo in società non sa scegliere il bene, la libertà deve essere ben guidata. Con tre conseguenze:
* che lo “Stato sociale” è guidato dalla “volontà generale” (“Contratto sociale”, tra eguali);
* che la morale e la religione devono essere guidate dalla politica;
* che questo obiettivo può essere ottenuto da un Legislatore, una specie di Filosofo-Re, che presiede allo Stato.
Si dà quindi libero corso al dispotismo di una maggioranza elitaria (totalitarismo).
Si sarà notato che Rousseau trascura sorprendentemente l’importanza della famiglia e del matrimonio.

C) La religione di Rousseau è esclusivamente naturalistica. L’uomo si salva da sé, perché è originariamente buono. Quindi non trova posto quella misteriosa realtà che noi chiamiamo “peccato originale”: quell’incapacità di riconoscere e di evitare il male (Ma mi domando: cos’era allora quell’orientamento egoistico verso il bene individuale che esclude gli uguali e Dio?)
Rousseau ignora il male che è nell’uomo e perciò il bisogno e la realtà della redenzione (e così non è né calvinista né cattolico, bensì razionalista).
Perciò è inutile, se non proprio dannosa, una religione comunitaria (organizzata in chiesa) che pretenda di insegnare il bene e di escludere chi opera il male. Si ammette la tolleranza, ma solo verso chi è tollerante (arrivando in realtà al relativismo).

III – Reimarus

Questo professore di lingue orientali si proclama difensore della religione naturale (deismo) contro le religioni rivelate (bibliche). L’Antico Testamento è una congerie di assurdità e malvagità
Nel 1754 espone, ma per giustificati timori non pubblica, alcune idee sul Cristianesimo che saranno pubblicate da Lessing negli anni che vanno dal 1774 al 1778
Non accetta i miracoli e riduce l’insegnamento di Cristo a “una religione razionale pratica”
Per lui nella vicenda di Cristo si devono distinguere due cose:
• Gesù era un comune giudeo che, secondo la tradizione del suo popolo, auspicava la venuta del Regno di Dio, inteso come liberazione dalla dominazione romana; che inoltre riteneva di essere inviato da Dio come “figlio di David”. Ma il progetto politico di Gesù si concluse col fallimento della crocifissione
• La risurrezione di Gesù fu inventata dai suoi discepoli per dimostrare che il Maestro doveva essere considerato il “Figlio dell’uomo” di cui parlava il profeta apocalittico Daniele.

IV – Lessing

Questo filosofo della religione distingueva il contenuto etico da quello dottrinale, come pure la religione naturale (per la quale andavano le sue predilezioni) da quella positiva, ossia rivelata.
Propose quello che egli riteneva un irrisolvibile paradosso: non è possibile superare l’ideale “fossato” che separa la verità storica (o storiografica) dalla verità soprastorica (metafisica e morale). Cioè la vita e l’insegnamento del Gesù storico dalle affermazioni dogmatiche, quali la concezione del Dio Padre di Gesù, la divinità di Cristo, la sopravvivenza dell’anima umana.
A parte la risposta che dà Kierkegaard – secondo cui la fede è necessariamente un “rischio” – penso che l’incomprensione si sarebbe potuta superare tenendo conto che le affermazioni dogmatiche (più semplicemente: le affermazioni delle religioni rivelate) sono deducibili dall’insegnamento di un singolarissimo Profeta nel quale i discepoli hanno riconosciuto i segni della presenza e rivelazione di Dio in terra.
Tra la verità (che è assoluto possesso di Dio) e l’aspirazione alla verità, Lessing dichiara che dobbiamo accontentarci alla seconda. Anche qui possiamo rilevare una ribadita incomprensione di ciò che significa “rivelazione”, cioè comunicazione anche di verità che superano la comprensione dell’uomo naturale (comunque Dostoevskij, con la sua logica paradossale, dichiara che tra Cristo e la verità sceglie Cristo)
Lessing nella maturità propose delle affermazioni che conducono al panteismo (sulle tracce di Spinoza)

V – L’Enciclopedia

Fu un’impresa nuova e colossale, in buona parte benefica. I molti volumi, usciti dal 1751 al 1772, ebbero come direttori Diderot e D’Alambert e portano la firma di illustri collaboratori.
Il fine dichiarato era la diffusione nei ceti popolari di una cultura rinnovata e critica.
Il titolo: Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri
L’attenzione prevalente era verso le “arti meccaniche”, un tempo, trascurate, nei confronti con le “arti liberali”.
I rilievi critici, da parte nostra, non riguardano soprattutto le voci teologiche (che non erano molto criticabili); riguardano invece le voci filosofiche che presentavano due distorsioni recepite dalla cultura dell’ambiente, il quale, come abbiamo visto, non era favorevole alla metafisica e alle religioni positive.

a/ Un concetto riduttivo di filosofia
Già il titolo faceva sospettare questa lacuna, che proveniva dalle affermazioni di un noto gruppo di pensatori, fra i quali Bacone, Newton e Locke. L’origine di ogni conoscenza era posta nelle sensazioni
Ma la filosofia, privata della sua specifica dimensione metafisica, purtroppo diventa una “teoria generale delle scienze”. Trascura i principi che stanno alla base di tutte le conoscenze, quali ad es. il concetto di causa efficiente e finale.
D’Alambert definiva la filosofia “la scienza dei fatti” e dichiarava il 1700 “il secolo della filosofia”. Diceva che i principi di ogni scienza si devono ricercare nei fatti. “I fatti semplici e noti….in metafisica sono il risultato delle nostre sensazioni”. “La filosofia non deve perdersi dietro le proprietà generali dell’essere e della natura, in questioni inutili su nozioni astratte…”. Se la prende col gusto per i “sistemi” metafisici, “più adatto a lusingare l’immaginazione che a illuminare la ragione….”

b/ Affermazione del deismo, in contrasto con le religioni positive
D’Alambert difende il deismo, la morale naturale riconosciuta da tutti i popoli (che prescrive i doveri verso i propri simili), che non è in rapporto con la religione (che prescrive i doveri verso l’individuo). Dice che esistono cose superiori alla ragione, ma che queste sono inconoscibili.
Più angoloso di lui troviamo Diderot, che professa decisamente un deismo sulla scia di Voltaire. Anzi sembra giungere al materialismo, se è vero che al “Deus sive natura” di Spinoza aggiunge “….sive materia”.

Appendice: Come rispondere a una provocazione?

Obietta Diderot:
Chi stabilisce la divinità delle Scritture? La Chiesa. Ma dove si fonda la Chiesa? Sulla Scrittura. E conclude: “Non posso accettare l’infallibilità della Chiesa se prima non mi sia stata dimostrata la divinità delle Scritture. Eccomi dunque ricondotto a un inevitabile scetticismo”.

Osservazioni sulla forma del discorso, che vorrebbe denunciare un fallace “circolo vizioso”
Non si fa distinzione tra Chiesa apostolica (che precede la Scrittura) e Chiesa sub-apostolica (che segue temporalmente la Scrittura).
Le convinzioni di tipo spirituale non possono essere provate con dimostrazione di scienza sperimentale né con prove storiche apodittiche. Per portare un esempio analogo: non posso dimostrare che le idee di Socrate siano quelle espresse nei dialoghi di Platone, ma devo fare ricorso alla fiducia (che, anche etimologicamente, richiama la “fides”).
Ma nel nostro caso non si tratta del pensiero di un filosofo, bensì della rivelazione divina. L’ispirazione (che Diderot chiama equivocamente “divinità”) delle Scritture infatti è una questione di fede.
Non si deve far riferimento all’infallibilità della Chiesa, ma alla credibilità storica della sua testimonianza.

Proviamo a impostare correttamente la questione
1/ Gli apostoli nella loro predicazione sono convinti (fino a dare la vita!) che il Dio d’Israele si è rivelato e ci ha salvati in Gesù di Nazaret, il Cristo. Questa è un’affermazione di fede (una convinzione), indimostrabile secondo le scienze sperimentali e la ragione umana.
2/ La Chiesa apostolica ha espresso la storia della formazione della fede e i suoi contenuti essenziali (compresa la filiazione divina di Gesù) nella Scrittura (Nuovo Testamento). Questa Scrittura - per fede - è ritenuta ispirata da Dio nello Spirito Santo.
3/ La Chiesa sub-apostolica ha determinato il catalogo (canone biblico) dei libri nei quali è espressa la testimonianza originale della Chiesa apostolica. E questa è un’affermazione di tipo storico.
Quindi possiamo dire:
• che la Chiesa apostolica, quanto alla fede, si fonda sugli insegnamenti di Cristo
• che la Chiesa sub-apostolica, quanto alla storia, si fonda sulla documentazione della Scrittura.

VI - Kant

Tra le opere più importanti del filosofo faremo riferimento a:
• Critica della ragione pura
• Critica della ragione pratica
• Critica del giudizio

I - Premesse

A - Alla base dei nostri rapporti religiosi troviamo due percorsi ben distinti:
1/ Credere in Dio: abbiamo fede nella presenza del Dio della rivelazione nella nostra vita (è la fede del credente)
2/ Dimostrare Dio (la sua esistenza) con la filosofia:
• con argomenti “scientifici” (in senso stretto), cioè con la “ragione pura”, come vorrebbero intendere i “filosofi” dell’Illuminismo (ma questa possibilità è da loro negata)
• con la via del pensiero etico (la “ragione pratica”).
• con principi “metafisici” (es. il principio di causalità) per raggiungere l’Assoluto trascendente (come vuole la filosofia tradizionale, non solo medievale).

B - Kant è uno dei massimi autori della filosofia; ma non ha pronunciato l’ultima parola che ha chiuso per sempre ogni discorso (come vorrebbe chi ritiene che egli abbia concluso che la mente umana non può affermare l’esistenza di Dio). Studiando i volumi di Antiseri, ho trovato circa venti filosofi che gli muovono obiezioni. Non vorremo certo applicargli il criticatissimo detto, che era applicato per es. ad Aristotele: “Ipse dixit”!
Un esempio di posizione superficiale, da parte di chi certamente filosofo non era, è questa:
“decapitaro, Emmanuel Kant, Iddio,
Massimiliano Robespierre, il re”
(Giosuè Carducci, Giambi ed epodi, Versaglia).
Teniamo conto che i Protestanti sminuiscono l’importanza della ragione umana per potenziare la fede (tanto che oppongono fede a religione). Su questa linea si pone il protestante Kant (che per di più apparteneva al movimento del “pietismo”); ma anche l’altro grande pensatore protestante Kierkegaard (che elogiava la “via regale di Kant”) e il cattolico di tendenze giansenistiche, Pascal, il quale scrive: “Il cuore, e non la ragione sente Dio. Ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, e non alla ragione”; “Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe; non dei filosofi e dei dotti….Dio di Gesù Cristo”.
Ha dichiarato Kant: “Io ho dovuto sopprimere il sapere per sostituirvi la fede”; intendendo con ciò “una ‘fede’ filosofica che trova solo nella legge morale che è dentro di noi il proprio fondamento” (Franceschelli) “Ha scritto Gadamer che l’intuizione fondamentale di Kant fu “quella di mostrare al sapere i suoi limiti, per fare spazio alla fede”.

C – Con Max Scheler (vedi “L’eterno nell’uomo”), dobbiamo precisare che metafisica e religione sono parallele, convergenti su un unico risultato (la realtà divina, Dio), ma non coincidenti. Per cui
a) la metafisica approda a un ente assoluto, necessario, causa prima e fondamento ultimo della realtà;
b) la religione procede oltre parlando di un Dio vivente, personale, libero, della rivelazione.
Scheler, con la sua teoria delle tre forme del sapere (religioso, metafisico e tecnico), supera il processo dialettico dello Spirito assoluto dell’idealista Hegel e la legge dei tre stadi del positivista Comte.

II - Dove si manifesta il suo “riduttivismo” nella “Critica della ragione pura”?

A - Kant segue la corrente di quegli autori (parte dei quali abbiamo già trovato) che ritengono dimostrabile con certezza “scientifica” solo quelle realtà che possiamo toccare e vedere (riduttivismo scientista); benché egli ne dia una strutturazione teoretica grandiosa e molto (forse troppo) articolata.
Non è possibile, per lui, conoscere la cosa in sé (il “noumeno”) se non in dipendenza dalla sensibilità, raggiungendo così la certezza dei metodi della matematica, della geometria, della fisica…Solo questa conoscenza avrebbe la dignità di “scienza”. Quindi la metafisica non è scienza (nel senso stretto, che oggidì va molto di moda….).
La “ragione” è l’intelletto in quanto si spinge al di là dell’orizzonte dell’esperienza possibile. Le “idee” della ragione (il mondo, l’anima, Dio) hanno soltanto un valore regolativo, benché non si possano dire né illusorie né superflue.
Prima si dichiara che l’unica conoscenza certa è quella derivata dalla sensibilità; poi si afferma: ciò che supera la sensibilità non è raggiungibile come realtà, perché - si dice - è imposto dall’intelletto del soggetto come schema alla realtà.

III - Quale posto è riservato alla Ragion pratica?

Come possiamo dire (con Antiseri) che, in Kant, “la ragione torna a Dio come postulato della ragione pratica”?
Va precisato subito che la qualifica “pratica” è ben lontana dal significare “non reale e certo”, se è vero che Kant assegna “il primato alla ragione pratica”, che considera “la più viva e appassionante” delle sue opere (sempre citando Antiseri). “Pratica” significa capace di determinare la volontà senza dipendere dalla sensibilità. Il “noumeno” è conoscibile non per via scientifica, ma per via etica; diviene accessibile praticamente.
Se l’uomo è la “cifra” di tutto l’universo, le realtà più importanti sono superiori alla sensibilità.
Nel periodo precritico, Kant stesso aveva scritto: “La Provvidenza non ha voluto legare una conoscenza così importante a sottili ragionamenti, ma alla naturale intelligenza degli uomini”.
Quale rapporto esiste fra le due “Critiche”? La Critica della ragion pura è l’atrio che conduce alla ragione pratica; ciò che là era esigenza, qui diventa realtà. Le “idee” diventano “postulati” con realtà oggettiva: libertà, immortalità dell’anima, Dio (e sappiamo che, per es. in fisica, i postulati non sono pie intenzioni….)
Concludiamo con la frase scultorea di Kant (nella Ragione pratica): “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di riverenza….: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me” (Annoto che nella prima parte forse allude alla scienza di Newton).

IV - Possiamo dire che le nostre critiche a una lettura antireligiosa di Kant sono serie?

A - Sapendo che potrò provocare un’ondata di…disapprovazione per questa mia lettura, mi faccio dovere di citare tre considerazioni di Antiseri, uno dei migliori studiosi del pensiero filosofico.
“Kant giunge… a denominare ‘metafisica della natura’ lo studio del complesso dei principi che costituiscono le condizioni della scienza della natura; ma è evidente che tale metafisica è l’epistemologia della scienza galileiano-newtoniana, che programmaticamente si mantiene all’interno dell’orizzonte del fenomeno, escludendo recisamente l’accessibilità conoscitiva del noumeno”.
Una certa scelta di Kant “dipende unicamente dal radicato pregiudizio “scientistico”, che lo portava ad ammettere come conoscenza pleno iure solo quella di tipo matematico-geometrico e quella di tipo galileiano-newtoniano”.
A proposito della “Critica del giudizio”, “molte considerazioni di Kant lo porterebbero a conclusioni metafisiche, che egli invece respinge, a motivo dei pregiudizi che si porta appresso dalla prima Critica”.

B – Alcune osservazioni
Una forma di sapere non rende inutile l’altra.
Ogni scienza ha i suoi strumenti peculiari. Esempi: non si può vedere l’atomo col cannocchiale; nell’ambito della sperimentabilità non si possono “dimostrare” i principi; bontà e giustizia non si controllano coi metodi matematici, in quanto sono realtà (non fisime!) percepibili solo dalla mente dell’uomo
Non si deve confondere certezza con verità. Esempio: l’ippogrifo non è reale (verità); la data della fine del cosmo non è certa (ma reale). Ciò che non riesco a misurare “con certezza” può essere reale “in verità”. Nessuno potrà dire per es. che l’odio nel mondo civile e politico è meno “reale” di una vuota trasmissione televisiva….
I principi metafisici (es. quello di causalità) stanno alla base anche delle scienze sperimentali (donde le leggi fisiche). Sono essi “imposizioni” a priori del soggetto? Se la caduta d’acqua aziona la ruota del mulino, ciò non è prodotto dalla mia mente; questa ricava dalla riflessione intellettuale (etimologicamente da intus legere) il legame tra i due fenomeni.

Appendice

Per chiarire ulteriormente la distinzione tra i due modi di conoscere, propongo questo schema:
I – Mondo della natura materiale, oggettivo, dell’esteriorità, della necessità (determinismo) II – Mondo antropico, dello spirito, soggettivo, dell’interiorità, della libertà
Scienze sperimentali, di tipo matematico (chimica, fisica, astronomia) Scienze umane (metafisica, psicologia, morale, diritto)
Conoscibilità (dimostrazione)
• con osservazione semplice
• con osservazione strumentale Conoscibilità (deduzione da principi)
• con ragionamento semplice
• con ragionamento “scientifico” (nel senso largo)
Ambito: realtà dimostrabili (Ragione pura) Ambito: domande di significato (Ragione pratica)
Certezza fisica, “scientifica” (nel senso stretto) Verità (certezza) morale, “razionale”
Esempio per I: esame delle ferite di un cadavere in autopsia medico-legale
Esempio per II: attribuzione di colpa (delle ferite inferte al defunto) ad una persona che viene condannata in sede giuridico-penale.

Paragrafo Secondo
L’ASSOLUTISMO


Il fenomeno dell’ancien régime nell’età del barocco (ma ha una continuazione nel periodo della restaurazione) è frutto “di un lungo processo in cui confluirono la lotta intrapresa dalla monarchia contro la nobiltà e la rottura della distinzione medievale fra il potere civile e quello religioso” (Martina).

Ha dei risvolti civili:
• Il sovrano si dichiara sciolto da ogni altra autorità; per cui egli non è soggetto alla legge, tutto nello stato è al suo servizio, il regno è considerato sua proprietà privata
• Ad alcune classi è riconosciuta una serie di privilegi, per cui è impensabile da parte loro un lavoro manuale, come ogni attività commerciale
• L’eredità, alla morte del sovrano o nobile, passa a chi da lui è designato (fedecommesso, maggiorascato); per i privilegiati esistono tribunali, pene, tasse ben diverse dagli altri
• L’economia dello stato deve servire agli interessi della monarchia e dell’imperialismo (più o meno temperato).

Ha anche risvolti ecclesiali
La società è dichiarata ufficialmente cristiana
• Deve regnare un perfetto parallelismo fra l’ordine politico e quello religioso, per cui la società civile guarda come a suo modello alla società religiosa
• Il re regna per diritto divino ed è ispirato nelle sue decisioni, rende conto solo a Dio (qui verrà fuori l’indipendenza dagli ecclesiastici!), gli si deve obbedienza cieca, riceve la consacrazione liturgica, ha il potere di guarire alcune malattie; solo la monarchia è la forma legittima di governo
• L’unità politica si fonda sull’unità religiosa (“Un roi, une loi, une foi”); chi non segue la religione dominante è privo anche dei diritti politici e civili
• La religione è religione di stato
• Il re ha il dovere di difendere e promuovere la religione (per es. proibire il proselitismo degli eretici)
• Le leggi civili sono in armonia con quelle canoniche, sul matrimonio (con difficoltà si avanza l’ipotesi di matrimonio civile), sui precetti ecclesiastici, sulla libertà di stampa e censura ecclesiastica
• I doveri religiosi possono essere imposti col “braccio secolare”; inoltre i vescovi hanno i loro tribunali (che comminano pene fisiche ai “pubblici peccatori”), un corpo di polizia e carceri
• Imposizione ai medici di non curare a lungo chi non si era confessato
• I lavoratori erano organizzati in corporazioni, ed anche in confraternite (parallele alle università)
• La chiesa aveva il monopolio dell’assistenza e dell’istruzione
• Esistevano le immunità (dal diritto comune) reali (beni esenti da tasse e inalienabili; esazione di “decime”), locali (diritto d’asilo) e personali (esenzione dal servizio militare, dai tribunali civili; il Papa esercitava l’alta sovranità feudale sul regno di Napoli).

Lo Stato mal tollerava un’altra autorità fonte di diritto nei suoi confini; la Chiesa - che non si accorgeva che il Medioevo era tramontato! - riteneva questi privilegi necessari alla sua sopravvivenza o indipendenza, portando il popolo a staccarsi sempre più dal clero.
Si cercò di rimediare con i concordati (non privi di ambiguità).
Non si rendevano conto che tutto ciò portava
• a una Chiesa controllata dallo Stato
• a una Chiesa mondanizzata (ricca, tiepida, autoreferenziale)
Su quest’ultimo aspetto (e anche sul prossimo) non possiamo soffermarci.

Per grazia di Dio, la Chiesa aveva le sue vecchie e nuove risorse soprannaturali (grandi santi, nascita di istituti religiosi, devozione al Sacro Cuore….).


Paragrafo Terzo
LA RIVOLUZIONE FRANCESE

Come tutti i grandi eventi, presenta aspetti sia negativi che positivi.

Giudizi
Positivi:
• Al di là delle efferatezze, si deve guardare agli effetti buoni di un cambiamento epocale che ha aperto la strada alla civiltà moderna.
• Goethe, gli idealisti, Michelet, Carducci ci vedono almeno l’inizio di una realtà più libera, giusta, uguale, legale.
• I cristiani Rosmini e Lacordaire, oltre a Mazzini, ci vedono un’affinità coi principi evangelici e una purificazione degli eccessi precedenti nella Chiesa
• Si tenga anche conto che in un primo tempo i rivoluzionari volevano distruggere tutto ciò che era il passato; in un secondo tempo capirono che alcune cose del vecchio regime erano da ritenere.
Negativi:
• Gli estremisti cattolici (J. De Maistre) vedevano solo gli aspetti negativi (catastrofe della civiltà)
• Alcuni cattolici criticavano non solo gli eccessi, ma anche i princìpi ispiratori. A questo proposito osservo che dei tre principi (non nuovi!) affermati dalla Rivoluzione – Liberté, Fraternité, Égalité – il più trascurato fu quello più esplicitamente “cristiano”: Fraternità.
• Altri autori (Burke, Taine, Manzoni) ritenevano che la Rivoluzione avesse interrotto un positivo movimento di riforma già in atto (ma sappiamo che le grandi riforme solitamente non si ottengono con le…buone maniere)

Conseguenze
Positive:
• Nella linea dell’uguaglianza, si erano aboliti molti privilegi e discriminazioni (ma la borghesia ne ricavò troppi benefici, come per esempio il voto secondo il censo)
• Nella linea della libertà (anche religiosa, anche economica) si affermò il principio (non ideale, secondo me) di potere fare ciò che non nuoce agli altri
Negative:
• Una volta affermati i giusti principi in astratto, non si seppe trovare un giusto equilibrio nella prassi concreta
• Nella linea dell’uguaglianza, una volta abolite le corporazioni, si passò a un discutibile individualismo, senza un ente (Stato) che proteggesse le classi più deboli (pauperismo)
• Lo strapotere dello Stato giunse ad affermazioni di “laicismo” e allo “Stato etico” (che determina il bene e il male); soprattutto dobbiamo disapprovare una tendenza, che dura ancor oggi, dello Stato che concede alla Chiesa l’esercizio della beneficenza, ma le impedisce ogni intervento nell’istruzione
• Abbandonando in pratica i principi cristiani, si arrivò all’autonomia assoluta dell’umano e al razionalismo (la ragione eretta e metro di tutto)
• Si arrivò alla separazione ostile dello Stato dalla Chiesa, i cui beni, anche ottenuti per libera donazione e destinati alla beneficenza, vengono (specialmente in Germania) “incamerati” dai non disinteressati prìncipi delle varie regioni; benché Annibale Della Genga (che poi fu Papa, non certo aperturista, col nome di Leone XII) e Rosmini videro nelle spogliazioni una benefica spiritualizzazione dei ministeri ecclesiastici.


Capitolo Terzo
DALLA RESTAURAZIONE ALLA I GUERRA MONDIALE

Paragrafo Primo
IL CONFRONTO DELLA CHIESA CON LA MODERNITA’

In generale possiamo dire che i problemi sul tappeto erano tre:
• il rapporto tra fede e scienze, fondato su basi filosofico-teologiche non proprio aggiornate
• il rapporto tra chiesa e stato, dopo il crollo dei principi precedentemente ritenuti validi
• la corsa ecclesiastica alla centralizzazione, in difesa dagli stati ritenuti oppressori e dalle idee ritenute pericolose (Vaticano I).

Caratteristiche del nuovo ambiente socio-culturale

La secolarizzazione ha destituito le principali strutture pubbliche ecclesiastiche (incamerandone le sedi e i beni): vescovadi, monasteri e persino lo Stato pontificio.
Si tendeva a privilegiare l’individuo di fronte all’autorità (individualismo) e il soggetto di fronte al mondo oggettivo ad esso estraneo con continui cambiamenti di parametri (soggettivismo).
Si produce una mondanizzazione del senso della vita, nella quale assumono importanza i valori “mondani”: la conoscenza materiale (“scienza”), la soddisfazione di ogni piacere, la ricerca totalizzante del guadagno.

Atteggiamento della Chiesa gerarchica

La modernità rappresenta una cultura complessa, di fronte alla quale la Chiesa ha manifestato spesso incomprensione ed ha assunto un atteggiamento difensivo e condannatorio.
Sembrava un cedimento imperdonabile riconoscere, nei giusti termini, l’autonomia della società civile e del laicato.
La Chiesa non capì generalmente la portata della rivoluzione industriale (il rapporto conflittuale dell’operaio col capitale) e urbana (la fuga dalla vita contadina tradizionale); né capì il valore politico del sistema liberale e costituzionale.
La Chiesa osteggiò l’arroccamento dei singoli stati nell’autonomia della propria cultura, che però portò spesso all’idolatria assolutizzante dello stato (anche con la fondazione di “chiese nazionali”).
Avendo avuto nel passato l’assenso del popolo cristiano (che ad essere esatti è sinonimo di “chiesa”) soprattutto coll’autoritarismo delle gerarchie, si insistette
• nel curare le strutture esteriori (senza preoccuparsi della convinzione e dell’interiorità)
• nel difendere la discutibile “uniformità” (oltre alla necessaria “unità”) sacrificando personalità emergenti che tenevano conto dei “segni dei tempi”
• nell’ignorare la strutturale gradualità nella comprensione della verità rivelata (assolutizzazione dei dogmi)
In pratica non si capì del tutto
• che chiesa e stato potevano vivere senza predominanza dell’uno sull’altro (si cercò di provvedere coi “concordati”)
• che non era più valida la lotta per preservare il popolo (considerato un perenne “educando”) dal male, ma che si doveva formare interiormente i cristiani per resistere al male
• che assumevano sempre maggiore importanza i mezzi di comunicazione di massa (stampa),

Paragrafo Secondo
LA FINE DELLO STATO PONTIFICIO


E’ un argomento che interessa soprattutto noi italiani e il nostro Risorgimento politico.
I papi già dai tempi di S. Gregorio Magno (+ 604), nell’assenza di un’autorità civile, avevano dovuto svolgere funzioni temprali. Lo “Stato della Chiesa” (come pure si chiama) è nato nel 754 col patto tra Pipino, padre di Carlo Magno, e il papa Stefano II, come difesa dagli interventi dei Longobardi.

Situazione a Roma prima degli anni cruciali

Si può vedere come sia difficile unire le funzioni di un capo di stato (per di più assoluto) e di un pastore universale, e come sia naturale distinguere evangelicamente Dio da Cesare. Inoltre possiamo dire che lo Stato non andava proprio bene…
Dall’anno 1800 al pontificato di Pio IX c’era stata un’altalena tra un papa conservatore e uno innovatore:
• Pio VII, moderato
• Leone XII, eletto dagli intransigenti (“zelanti”)
• Pio VIII, moderato
• Gregorio XVI, intransigente
• Pio IX, che inizia come amato aperturista e finisce odiato da molti.
Questo papa veramente pio aveva un carattere impulsivo, instabile, con atteggiamenti pseudomistici (si attendeva da un intervento divino la miracolosa soluzione dei problemi più quotidiani) non sorretti da robusta formazione teologica.
Ebbe la sfortuna di dover dipendere dal card. Antonelli, mondano, astuto, esperto in politica ed economia, e di guidare la Chiesa (e lo Stato) per un periodo particolarmente lungo (1846-78) in uno dei momenti più difficili, segnato da continui mutamenti e rivoluzioni.
Se il Papa si fosse affidato più al Rosmini che all’Antonelli, le cose sarebbero andate diversamente. Dobbiamo anche riconoscere che l’ideologia del Gioberti (una federazione di stati italiani guidata dal Papa) attingeva all’irrealismo.

Come andarono i fatti?

Nel 46 il Papa concesse un’amnistia, nel 47 la libertà di stampa. Ma l’anno cruciale fu il fatidico 1948, su due versanti:
• il 10 febbraio pronunciò la famosa frase “Benedite, gran Dio, l’Italia”; nel marzo concesse la costituzione
• scoppiata la guerra fra l’Austria e il Regno di Sardegna, le truppe pontificie. senza alcun ordine da Roma, passarono il Po; per cui il Papa – a seguito delle poteste da Vienna - proclamò (29 aprile) di non poter far guerra ad una nazione cattolica come l’Austria, il che dai patrioti italiani fu considerato un tradimento.
Dopo l’assassinio di Pellegrino Rossi, il Papa lascia di nascosto Roma, dove viene proclamata la repubblica romana (1849). Solo l’anno seguente il Papa, coll’aiuto dei francesi, rientrerà in sede; ma la riorganizzazione dello stato si mostrò insufficiente.
Di questa situazione approfittarono i piemontesi, che istigarono le insurrezioni e favorirono le annessioni.
Alcuni (sembra anche Napoleone III) suggerivano di ridurre lo stato a Roma e dintorni, Cavour prospettava una libera rinuncia del Papa promettendo (sinceramente?) libertà per la Chiesa, non certo garantita dal principio “Libera Chiesa in libero Stato”. Mentre si prometteva libertà, in diverse regioni si cacciavano i religiosi e si chiudeva la Chiesa nelle sagrestie.
Dopo la breccia di Porta Pia (1870), il Papa fece ricorso alla scomunica (che era iniziato nel 1860); si arrivò all’ambigua legge delle “guarentigie”.

Quale giudizio possiamo dare?

Lo scontro era senza mezzi termini:
• il Papa riteneva che la sua necessaria indipendenza fosse garantita solo dal possesso di uno stato
• il governo laicista esigeva una rinuncia totale e incondizionata e formulava le sue proposte con un atto unilaterale.
Questo fenomeno accentuò l’aspra divisione degli italiani in cattolici papalini e anticlericali laicisti.
E’ un “peccato originale” che noi italiani ci porteremo appresso per molto tempo: la contrapposizione tra l’ideale di fede e quello di patria.
Comunque papi, teologi e storici (citiamo solo il vescovo Bonomelli e Paolo VI) da tempo riconoscono che la Chiesa si è liberata da una anacronistica, dannosa zavorra.

Paragrafo Terzo
LA DIFESA DELLA CHIESA SOTTO PIO IX

Il lunghissimo pontificato di Papa Mastai fu caratterizzato soprattutto da tre fatti: la proclamazione dogmatica dell’Immacolato concepimento di Maria (1854), la condanna di molti errori nel Sillabo (1864), la celebrazione del concilio Vaticano I (1869-70).
Il tono generale dell’azione pontificia era quello della concezione di una Chiesa come “cittadella assediata”, con una serie di risposte marcate dalla caratteristica della difesa, poco adatta ai metodi comunemente usati nell’epoca moderna. Cìò portava ad escludere quasi completamente la considerazione di quella parte di verità che generalmente è contenuta negli errori umani.

I - Il Sillabo
Questo duro documento fu pubblicato come allegato all’enciclica “Quanta cura” e consisteva in una raccolta di errori (in 80 proposizioni) già condannati dal Papa in precedenti documenti (se ne elencano 32).
Conteneva la condanna:
• del razionalismo assoluto e moderato
• del socialismo e comunismo, delle società bibliche e liberali
• di errori sulla Chiesa e sulla società civile
• di errori intorno all’etica
• di errori sul potere temporale dei Papi.
Benché si debba fare una distinzione tra i contenuti presi di mira e il linguaggio usato (tono negativo), il Lortz lo considera un’occasione perduta nel tentativo di dialogo nuovo tra la Chiesa e l’ostile mondo moderno.

II - Il concilio ecumenico Vaticano I
Fu preparato con 50 documenti, dei quali riuscì a produrre soltanto due costituzioni.

A) Prima costituzione: Dei Filius, contro il razionalismo
Le soluzioni portarono a un sostanziale equilibrio sulla ragione umana: è un dono di Dio, ma non è l’unica fonte di verità (essendo necessaria la rivelazione soprannaturale).

B) Seconda costituzione: Pastor Aeternus, sulla concezione della Chiesa (verticismo)
Il percorso (ad ostacoli!) si dipanò tra una maggioranza favorevole alle tesi “romane” e una combattiva minoranza che vi si opponeva, mentre l’arbitro (il Papa), specialmente nella fase conclusiva, esercitava pressioni anche consistenti sull’episcopato. Benché si debba riconoscere che sostanzialmente il concilio era libero di decidere.
Le questioni scottanti sul tappeto – che furono risolte adottando il “centralismo” romano - erano due:
a) il primato universale di giurisdizione del Papa. Notiamo subito che il primato è un dato della fede cattolica, ma che le sue realizzazioni, applicazioni ed estensioni variarono nei secoli. Si riprese la posizione del concilio di Firenze (1439-45), ma rimase aperta la questione se i poteri del Papa si sovrapponevano a quelli dei vescovi sulle loro diocesi (sembrava di concludere che i vescovi fossero soltanto funzionari del Papa).
b) l’infallibilità personale pontificia. In pratica Pio IX l’aveva già esercitata nella definizione dell’Immacolata. Un quinto dei vescovi nella discussione era contrario (alcuni ritenevano la definizione inopportuna, altri non ne accettavano il contenuto), ma nella votazione un quarto non espresse l’assenso. Si definì che le affermazioni del Papa in materia di fede e di morale erano infallibili “per se stesse, non per il consenso della Chiesa”. Opportunamente il relatore vescovo Gasser precisò che l’oggetto erano solo le verità rivelate, e che l’infallibilità del Papa era sul tipo di quella della Chiesa e concerneva quello che da essa era creduto. L’opposizione della minoranza consentì di limare i documenti evitando espressioni troppo accentuate. Dobbiamo anche dire che – in risposta a una circolare del cancelliere Bismarck (del 1872, ma pubblicata alla fine del 1874) che disapprovava il “totalitarismo” del Papa – all’inizio del 1875 una dichiarazione collettiva dei vescovi tedeschi respinse quella interpretazione. Nello stesso anno Pio IX confermò chiaramente le dichiarazioni dei vescovi con la lettera “Mirabilis illa” e in un importante discorso ai cardinali.

Giudizio
Il risultato più negativo fu lo scisma del “vecchi cattolici” (tedeschi che poi si unirono alla chiesa giansenista di Utrecht) che prendevano le mosse dalle posizioni antipapali del Döllinger, professore a Monaco.
Oggi giudichiamo il concilio tributario di una teologia ecclesiologica che guardava più al passato che non al futuro, e provvidenzialmente sospeso “sine die” un mese dopo la “breccia di Porta Pia”, in quanto la teologia cattolica avrebbe dovuto maturare con lungo e benefico travaglio una concezione più equilibrata di Chiesa (collegialità accanto al primato), che sarà il frutto dei lavori del Vaticano II. Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint (1995) arriverà ad auspicare (nn. 55, 61, 95) che si ritorni alla situazione del primo millennio; cioè prima della riforma di Gregorio VII.
Comunque ne uscirono degli effetti buoni:
• l’accentramento romano (che ha un’analogia con quello operato da Gregorio VII) impedì che l’arroccamento centripeto dei vari episcopati – subordinati a re e imperatori - portasse come conseguenza la costituzione di chiese nazionali
• gli schemi che non furono discussi servirono per dare materiale prezioso nel pubblicando Codex Juris Canonici (Benedetto XV: 1917).
• la fine del potere temporale si coniugava con la concentrazione sulla funzione teologica e pastorale dell’autorità della Chiesa; parallelamente al passaggio da un’ecclesiologia troppo giuridica ad un’altra pneumatologica (cioè spirituale).
In concreto i Papi, dopo il Vaticano I, fecero ricorso all’infallibilità personale solo una volta: nella definizione dell’Assunzione corporea di Maria (Pio XII, 1950).

Paragrafo Quarto
INDUSTRIALIZZAZIONE E QUESTIONE SOCIALE


I – La rivoluzione industriale

In un periodo che grosso modo può essere fissato nella prima metà dell’800, il mondo occidentale passa attraverso un fenomeno complesso che si può chiamare rivoluzione.
Si passa da una civiltà contadina e paesana ad una industriale e urbana: la città e la fabbrica diventano il nuovo mondo in cui opera l’uomo.
La tecnica trasforma il modo di operare, di vivere in comunità e di pensare; fa questo rendendo meno faticosa la prestazione manuale e più fruttuosa l’azione dell’uomo sulla materia, ma rendendo più conflittuali e meno equilibrati i rapporti intraumani.

II – La questione sociale

La rivoluzione industriale porta alla divisione, quasi sempre conflittuale, della popolazione
a) in un gruppo immenso di operai che costituiscono il proletariato, che deve vivere con molti doveri e nessun diritto
b) in un ristretto gruppo nelle cui mani si concentra la ricchezza e che forma il capitalismo, nel sistema che si chiama liberalismo economico.
Quest’ultimo può essere descritto con quattro caratteristiche:
• amoralismo economico, per cui l’economia non ha alcuna regola etica, ma solo la finalità del guadagno
• la libera concorrenza, che è guidata unicamente da quelle che chiamano leggi del mercato (domanda/risposta)
• l’assenteismo statale, per cui il potere pubblico non deve intervenire nei rapporti tra le classi produttive
• l’individualismo, che non riconosce alcun contratto collettivo né le associazioni professionali.
Con uno slogan necessariamente riduttivo, si può dire che il liberalismo è “libertà senza giustizia” e il comunismo è “giustizia senza libertà”.

Questo portò a prese di coscienza e lotte nelle quali agì prioritariamente l’ideale socialista e comunista e solo in un secondo tempo la tormentata formazione di una sociologia cristiana e cattolica. Non subito i cristiani capirono che era superato il tempo del corporativismo (mettere insieme gli imprenditori e gli operai secondo la categoria).
In campo cattolico si distinsero per decenni due tendenze:
a) La corrente conservatrice, che nella maggioranza delle sue espressioni raccomandava ai ricchi la generosità e ai poveri la pazienza, mentre organizzava un’assistenza capillare di tipo caritativo (con spirito paternalistico)
b) La corrente sociale, che invitava gli operai ad organizzarsi in sindacati (per alcuni, unendo le forze socialiste a quelle cristiane), metteva in evidenza i loro diritti e creava strutture nuove (ad es. le “casse rurali”). Citiamo solo due nomi: quello del vescovo di Magonza Emmanuel von Ketteler (eletto poi deputato al Reichstag), che invocava (1848) l’intervento dello Stato ed esigeva il pronunciamento della Chiesa in una questione tanto chiaramente morale; e quello dell’economista Giuseppe Toniolo, insegnante a Pisa.
Perché i cattolici arrivarono tardi? Soprattutto
• per la sfiducia nello Stato (che in Italia si era unificato contro i diritti, veri o discutibili, della Chiesa) ed era spesso orientato a derive anticlericali e massoniche
• per la riprovazione dei non pochi eccessi presentati dall’azione socialista, come la lotta continua (benché sappiamo che di solito chi ha dei privilegi non è disposto a cederli per pie considerazioni…)
• per il pericolo della perdita della fede intravisto in chi seguiva gli ideali rivendicativi più esasperanti.
Leone XIII, che in un primo tempo mostrava di preferire la linea conservatrice della paura, nel 1891 scrisse la innovatrice (certamente per quei tempi!) enciclica “Rerum novarum” che accoglieva il meglio dell’azione quasi cinquantennale (dal 1848, l’anno stesso della pubblicazione del “Manifesto del Partito Comunista”) dei cattolici socialmente avanzati: portò un equilibrio tra opposte posizioni e arrivò a riconoscere la funzione dei sindacati.
Pio X intraprese un’opera di contenimento della corrente sociale, fino prendere le distanze dal Toniolo e a sciogliere la gloriosa “Opera dei congressi”, che pure aveva introdotto delle novità tra molte dilacerazioni e con molta lentezza. Anche la ”Quadragesimo anno” (1931) di Pio XI risente in alcune parti dell’incertezza nell’appoggio alle novità che si affacciavano.
Il ritardo dei cattolici portò all’allontanamento dalla religione masse immense di operai. Ma, insieme a mete di giustizia raggiunte, non possiamo non rimproverare questo al comunismo: non ci ha dato quel benessere materiale per ottenere il quale ci aveva tolto altri beni (primo fra i quali la libertà).

Paragrafo Quinto
LA CRISI MODERNISTA


All’inizio del XX secolo la Chiesa cattolica si trovava ad affrontare questioni che serpeggiavano da tempo: come conciliare la verità delle affermazioni di fede con le mutevoli conquiste delle scienze naturali, umane (storiche) e teologiche (bibliche, patristiche). Altrimenti detto: la Rivelazione divina (la Parola) rimane assoluta e immutabile quando prende forma nelle nostre culturalmente diverse e storicamente situate parole umane? Si deve accettare quel principio che sarà espresso da Pio XII nel 1943:
“Come il Verbo sostanziale di Dio si è fatto simile agli uomini in tutto, “eccetto il peccato”, così anche le parole di Dio, espresse con lingua umana, si sono fatte somiglianti all’umano linguaggio in tutto, eccettuato l’errore”
(“Divino afflante Spiritu”: EB n. 559)? E’ la Bibbia che si deve conformare alla teologia, oppure (come aveva detto Leone XIII nel 1893: “Providentissimus Deus”: EB n. 114) la teologia alla Bibbia? Può un “dogma”, parola seppur infallibile della Chiesa in un determinato contesto storico, essere più determinante del senso vero della Bibbia? Il dogma è la “verità” allo stato puro, esente da condizionamenti culturali e linguistici? La Tradizione è una rete che, per precisare i contenuti, si chiude progressivamente ad imbuto in modo da considerare confusionarie anticaglie le espressioni del passato, anche glorioso? Sull’interpretazione della Scrittura ha voce in capitolo solo il solenne Magistero dei Pastori, o anche il più dimesso magistero dei teologi?
Sono domande fondamentali che si presentano a noi cattolici in alcune “svolte” epocali: alla nascita del Protestantesimo, alla crisi modernista, alla questione della “théologie nouvelle”, al Concilio Vaticano II e nell’attuale crisi post-moderna.

I problemi affrontati dai modernisti erano di tre tipi:
* filosofici (agnosticismo e razionalismo)
* religiosi (intimismo nell’espressione religiosa)
* teologici (evoluzionismo dei dogmi).

In sintesi si può dire che si tratta del rapporto
* tra natura e sopra-natura
* tra ragione-scienze e fede-rivelazione
* tra filosofia medievale e pensiero moderno (Kant, Schleiermacher, Ritschl, Blondel, Laberthonnière….)
* tra Magistero dei pastori e ricerca teologica
* tra Chiesa gerarchica e laicato (per es. cattolicesimo liberale).

I pericoli all’orizzonte erano
* soggettivismo (anti-istituzionalismo)
* naturalismo (negazione del soprannaturale)
* razionalismo e immanentismo
* anti-intellettualismo (prevalenza del sentimento religioso)
* relativismo (teoria della duplice verità: della storia e della fede)
* negazione della Tradizione (rifondazione del Cristianesimo).

I pericoli erano gravissimi. Il pensiero era indeterminato e spesso espresso anonimamente.
Gli autori più in vista furono: Loisy (storico ed esegeta), Tyrrell (filosofo e teologo), Buonaiuti (compagno di studi di Roncalli; criticò la concezione del dogma). L’ondata si estese anche ad altri: Murri, Fogazzaro….

Si veniva da un’aria di apertura (tentata riconciliazione con la modernità, apertura verso l’ecumenismo e il dialogo, riviltalizzazione del tomismo) operata nel miglior periodo del pontificato di Leone XIII.. Ancor prima in Germania - insieme alle esorbitanze dello storico Döllinger - alcuni teologi (Sailer, Möhler) avevano aperto nuove strade.
La risposta della Chiesa gerarchica fu durissima, coi difetti di non distinguere autore da autore, di non dialogare e invece condannare ogni posizione ed ogni autore (anche solo sospettato).
San Pio X si lasciò consigliare da cardinali conservatori (Merry del Val, De Lai, Vives) ignorando le perplessità di altri (Mercier, Gasparri, Maffi, Ferrari, Schuster) e si affidò al sistema poliziesco di mons. Umberto Benigni (Sodalitium Pianum).
Fra i più colpiti (messi a tacere o condannati): Lagrange (grandissimo biblista), Roncalli, don Orione, Maffi, Ferrari.
I documenti più importanti furono:
* il decreto Lamentabili (condanna di 65 proposizioni)
* l’enciclica Pascendi (con una parte teorica, in cui si individuava l’errore comune a tutte le posizioni, e una parte storica, coi vari provvedimenti, soprattutto sui seminari)
* il “motu proprio” Sacrorum antistitum (giuramento anti-modernistico).

Si passò al controllo degli studi (fondazione dell’Istituto Biblico) e delle regole (preparazione del Codice di Diritto Canonico).

Effetti
• negativi: intolleranza e chiusura su qualsiasi espressione della modernità; grave ritardo negli studi teologici; sacrificio di moltissimi pensatori e pastori di grande levatura intellettuale e morale;
• positivi: salvaguardia del deposito della fede e della natura soprannaturale della Chiesa; rifiuto di posizioni (per esempio degli studiosi tedeschi sulla Bibbia) che poi si sarebbero rivelate esagerate o fuorvianti; argine imposto alla supremazia della mentalità scientifica.

Formuliamo l’esempio della divergenza sull’argomento principale: la rivelazione/fede.
Questo binomio – del quale prendiamo come parola chiave la “fede” - può essere letto da un duplice versante:
Fondata sulla conoscenza Fondata sul sentimento
Fides quae creditur (le verità di fede) Fides qua creditur (la virtù della fede)
L’oggetto della fede (che si può professare esteriormente) insegnata dalla Chiesa L’atto delle fede (la fede fiduciale, come intendeva Lutero) con cui si aderisce a Dio
Nucleo essenziale dei dogmi (universale e permanente) Espressione concettuale e linguistica (secondo la cultura e il periodo storico)
Oggettivo (ciò che è comune). Soggettivo (ciò che è individuale)

Naturalmente si doveva difendere la prima concezione, ma nello stesso tempo non escludere l’altra.
La grande Tradizione della Chiesa cattolica si basava sulla prima; i “novatori”, in quanto insistevano eccessivamente sulla seconda, erano accusati di soggettivismo. La sintesi tiene conto dell’uno come dell’altro aspetto (non si raggiunge col “tiro alla fune”!).

Non è facile emettere un giudizio equilibrato sulla crisi modernista.
Proviamoci con un esempio desunto dal mondo della salute:
- La maggioranza delle idee dei modernisti erano come un vero tumore maligno ai polmoni, limitato però a ridotti ceti intellettuali. Un medico sottovaluta la malattia; molti continuano a far uso di tabacco.
- Il chirurgo interviene ampiamente per evitare la metastasi nel corpo della Chiesa….
- …ma estende troppo l’estirpazione, danneggiando anche molte cellule sane….
- …le quali rappresentano gli oggettivi problemi indilazionabili che ritorneranno in seguito.
APPENDICE: Sulle sicurezze dell’anti-modernismo

Principi

La caratteristiche peculiari della fede (e morale) cristiana – che esprimono la sua collocazione nel tempo e nel luogo - sono: Incarnazione (mediazione) e sacramentalità (segno). Questa legge generale della rivelazione comporta che le varie forme di “corpo” di Cristo (quello individuale-fisico e quello comunitario-mistico) si esprimono nei limiti delle imperfezioni legate all’umanità (il tentativo di eliminare la natura umana in Cristo, il monofisismo, è stato condannato dai Concili come eresia; la Chiesa non è il Regno di Dio, ma solo il suo “germe e inizio”: Lumen gentium, n. 5).
La regola somma è: quando Dio esce da sé (nella creazione, nell’opera della salvezza) si limita. Già dall’AT le personificazioni e i nomi di Dio (Parola, Spirito, Sapienza, Nome, ecc.) segnano un “adattamento” alla creatura, per poter comunicare ed agire su di essa.

Conseguenze

A - La verità e la grazia sono immutabili ed eterne nella mente e nella vita interna di Dio (onniscienza e onnipotenza), ma sono storicizzate nella creazione e nella sua Parola rivelata.
Nel NT troviamo Gesù che non “conosce” qualcosa (Mc 13,32: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio”) e non riesce a fare qualche altra (Lc 13,34: “Gerusalemme…quante volte ho voluto…e voi non avete voluto”). Perché egli, seppur Figlio di Dio, è ed opera, in quanto uomo, come il “sacramento originario” (sacramento dell’incontro con Dio).
Quindi la Scrittura, benché sia il libro della fede, va interpretata secondo il metodo storico-critico (In quale contesto storico-culturale è stato scritto quel testo? Il testo biblico è divisibile in “fonti”?).
Portiamo un esempio di progressione sostanziale nella rivelazione che riguarda il premio che Dio dà a coloro che si comportano bene. Prendiamo i due estremi:
a) Nell’AT si dice: “Se avrete dato ascolto a queste norme….il Signore tuo Dio….benedirà il frutto del tuo seno e il frutto del tuo suolo, il tuo frumento, il tuo mosto e il tuo olio…” (Dt 7,12s);
b) Nel NT si dice: “Sappiamo che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è” (1Gv 3,2).
Un altro esempio riguarda il “luogo” dove Dio è presente e dove l’umanità incontra Dio:
a) nell’AT è il Tempio: “I miei occhi e il mio cuore saranno là tutti i giorni” (2Re 9,3);
b) nel NT è il “corpo” di Cristo: “Egli parlava del tempio del suo Corpo” (Gv 2,21); oppure il cuore dell’uomo che adora Dio “in spirito e verità” (Gv 4,21-24).

Perché la Bibbia è parola di Dio espressa nelle diverse parole degli uomini, che vivono nel loro secolo, nel loro ambiente culturale, nel loro sviluppo spirituale (dovrebbe essere sepolta da tempo l’idea dell’ispirazione come dettatura meccanica).

B – La Parola di Dio rivelata e scritta (la Bibbia) è più stabile di quella della Chiesa, anche quando questa si esprime ai massimi livelli. Per esempio, tra i concili ecumenici sono avvenuti dei progressi sostanziali e delle mutazioni di dichiarazioni. Sono avvenuti naturalmente sviluppi storico-teologici tra di dogmi, che poi sono quasi sempre espressi in contrasto con una particolare dottrina ereticale (si veda ad esempio la differenza tra il Simbolo (Credo) cosiddetto apostolico, o romano, e quello niceno-costantinopolitano). L’infallibilità si deve intendere in riferimento ai contenuti concettuali, ma non estesa alle forme espressive e al linguaggio. Si deve evitare ad ogni costo una “divinizzazione” della Chiesa, la quale non è l’assoluto, ma il “sacramento universale” (Lumen gentium, n. 48) che esiste ed opera “nella forma del segno”.
C – Un altro ambito in cui si deve porre una distinzione fra l’ordine di Dio, dotato di assolutezza, e l’ordine degli uomini, soggetto alle vicissitudini della storia, è quello della coscienza morale. Si riconosce la voce della legge morale con un duplice criterio: uno remoto e oggettivo, che è la legge naturale e quella rivelata (soprattutto nei Comandamenti e nel Vangelo); un altro prossimo e soggettivo, che è la coscienza individuale di ogni persona. La coscienza morale è quindi la “mediazione” che rende operativa per me, ma nello stesso tempo “riduce”, la volontà eterna di Dio.
La costituzione Gaudium et spes al n. 16 dice: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria”; viene però ventilata la possibilità di una coscienza erronea e quasi cieca, e poco dopo si parla di “coscienza retta” e di “norme oggettive della moralità”; al n. 43 si precisa ulteriormente a proposito dei laici: “Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di iscrivere la legge divina nella vita della città terrena”.

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