giovedì 5 agosto 2010

XIX dom. Anno C

XIX DOMENICA ANNO C

Le letture rispondono a questa cruciale domanda: Qual è la vita che vale veramente?
Nella storia di questi ultimi secoli noi europei abbiamo avuto un decrescendo preoccupante di sapienza, che può essere riassunto in queste tappe:
• E’ più importante la vita spirituale
• E’ più importante la vita materiale
• La vita spirituale è un’illusione consolatoria per i creduloni
• La vita spirituale non esiste affatto.
Nell’opinione comune, si pensa: dobbiamo curarci di costruire da soli il “regno dell’uomo”, non di aspettare il Regno di Dio, pur sentendo il dovere di collaborare attivamente da parte nostra alla sua realizzazione. La religione è l’oppio del popolo (gli si somministra la morfina per non fagli avvertire il dolore della miseria).
Da notare che la vita spirituale è quella propria degli esseri umani: un animale si accontenta di procurarsi il cibo passeggero; l’uomo si distingue perché produce le conquiste della “cultura”, che
sono senza tempo (pensiamo a una scultura di un grande artista come Fidia, o alla conquista di una grande verità filosofica come con Socrate).

La vita spirituale ha alcune caratteristiche.
I – Dà più importanza alle cose che non si vedono (cfr 2Cor 4,18)
Solo un “cuore” (coscienza) non appesantito dall’eccessiva preoccupazione per le cose di questo mondo capisce cha la vita ha senso se è veramente orientata a Dio, al suo Regno (Mt 6,33: “Cercate prima di tutto il Regno…”). Saremo giudicati sulla fedeltà a Dio e alla sua volontà (realizzazione del suo Regno).

II – La vita spirituale guarda più al futuro, che non al contingente, al presente. E’ ciò che fa ogni apprendista, ogni studente: faticare per raggiungere nel futuro una posizione sociale (La cicala e la formica!).
Teilhard auspicava una sintesi fra il concetto di Dio dell’ “In alto” col Dio dell’ “In avanti”.
La fede (che si fonde con la speranza) ci fa guardare avanti (non solo a un centimetro dal naso); forse per questo la vista dall’adulto è segnata dalla presbiopia (presbys = anziano, saggio). Con una conseguenza che può apparire troppo esigente: se l’unica vita duratura è quella futura, dobbiamo relativizzare quella presente; perché siamo amministratori, non padroni (il vocabolo “padrone”, che si riferisce a Dio, compare otto volte nel vangelo odierno).
Dobbiamo dare più importanza all’incontro finale col Signore (giudizio, che viene improvviso e imprevedibile), piuttosto che al conto in banca. Più che dell’estratto conto preoccupiamoci dell’esame di coscienza (questo è il senso della “vigilanza”). Niente attesa spasmodica (della fine del mondo!), ma attesa sapiente e quindi operativa.

III – La vita spirituale è centrata più sulla carità verso gli altri, piuttosto che sul nostro benessere individuale. Al giudizio universale (Mt 25) ci si chiederà: Siete vissuti esclusivamente per voi, o per Dio e i fratelli?
Colui che ha nella chiesa e nella famiglia una responsabilità deve sentirsi sempre a servizio e provvedere più agli altri che a se stesso.

IV – La vita spirituale è fondata non sulle previsioni e progettazioni umane (o sui sondaggi di opinione), ma sulla fede in Dio.
Abramo e Sara (Eb 11) si affidano a Dio (fede e speranza) per avere una discendenza rispettivamente di popolo e di figlio. Abramo, mentre sta per sacrificare il figlio Isacco, si fida che quel Dio che ha dato la vita è anche in grado di vincere la morte. Perché Dio non è prima di tutto padrone, ma eminentemente Padre: ha una cura premurosa per noi, “piccolo gregge”.

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