domenica 29 agosto 2010

Immacolata

NEL 150° ANNIVERSARIO DEL DOGMA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE


Cosa afferma il dogma?
Il dogma definito dal Beato Pio IX l’8 dicembre 1854 dice che Maria, fin dal primo istante, fu preservata dal peccato d’origine. Per comprenderlo, dunque, dobbiamo vedere cos’è questo “peccato”.

Come possiamo interpretarlo riesprimendolo in teologia attuale?
Dobbiamo proporre due premesse:
Il dogma esprime una faccia, quella più visibile, di una più grande sintesi teologica, comprendente la dimensione del Cristianesimo orientale (che vede la salvezza come comunione filiale con Dio [cfr. 2 Pietro 1,4], ossia “divinizzazione” dell’uomo) e di quello occidentale (più attento alla “redenzione” dal peccato). Conseguentemente la prima impostazione vede il Battesimo come acqua che feconda (conferisce la filiazione), la seconda invece come acqua che purifica (toglie il peccato). In Romani 6 San Paolo parla del Battesimo senza attribuirgli la liberazione dal “peccato di Adamo”, del quale aveva trattato proprio nel capitolo precedente.
Il testo “sapienziale” di Genesi 3 segue la strada del pensiero del semita - l’uomo della Bibbia - che esprime una verità perenne con un racconto apparentemente semplice (Ricordo il detto orientale: quando uno gli mostra la luna col dito, lo stolto si attarda a guardare il dito).

Qual è dunque l’essenza del peccato originale?
Possiamo tentare di esporre una visione bifocale (che operi la sintesi tra la teologia orientale e quella occidentale) della verità del peccato originale, che B. Pascal riteneva deducibile dalla semplice osservazione della situazione storica dell’uomo.
La vita è essenzialmente “dono”, sia quando è data “originariamente”, sia quando è realizzata “escatologicamente”; perché l’uomo è l’essere che non possiede in proprio la vita, ma la riceve. La sua creaturalità comporta un duplice limite: a) l’uomo è un essere storico, evolutivo: non possiede la pienezza se non al termine del suo percorso; b) l’uomo è un essere libero: non è determinato al bene, deve continuamente scegliere tra bene e male e può prefiggersi un fine che non è il bene, può ritenere assoluto ciò che è solo relativo.
Adamo è l’uomo di sempre che non si può realizzare (cioè non può raggiungere la pienezza della vita) da sé, né nell’ordine dell’esistenza (perché corre irrimediabilmente verso la morte, limite esistenziale dell’uomo), né in quello della morale (perché storicamente spesso inciampa nel peccato, limite etico dell’uomo).
Ogni uomo nasce e vive in uno stato di “alienazione” da Dio – quello che nel Vangelo è chiamato “peccato del mondo” (Giovanni 1,29) – cioè con un duplice limite: incapacità di realizzarsi senza Dio (è lontano da Dio), e rifiuto della dipendenza da Dio (è avverso a Dio). Detto altrimenti: l’uomo non si salva perché non ha la Grazia di Dio (mancanza di comunione con Dio), e perché si oppone alla volontà di Dio (rifiuto della comunione con Dio).
Forse il concetto diventa più chiaro adducendo un esempio: quello di un figlio e un padre, contadini dell’era preindustriale, che devono portare al frantoio che sta su una collina, su un carro senza l’aiuto di un cavallo, alcuni sacchi di olive. La salita non si potrà superare sia nel caso che il figlio da solo non abbia la forza sufficiente (vuol fare a meno del padre), sia che non abbia voglia di aiutarlo (si ribella al volere del padre). La tentazione per il figlio sarà, nel primo caso, “Sei forte, puoi farcela da solo” (peccato di superbia); nel secondo caso, “Perché sei ancora schiavo di tuo padre?” (peccato di disobbedienza).
Questi limiti rappresentano la “ferita della natura” di cui parla il Concilio di Trento. E qui si tocca con mano la pur misteriosa correlazione tra morte e peccato (la morte è “il segno della maledizione che il peccato reca in sé”: L. Bouyer). La nostra natura non è corrotta, come insegnava Lutero, ma è incapace con le sue sole forze di raggiungere i fini ultimi dell’uomo. L’eterna tentazione del Serpente – che si esplicita sommamente nell’orgoglio dell’uomo d’oggi – è la proposta dell’autosufficienza: “Sarete come dèi” (Genesi 3,5); che è l’opposto del fondamentale comandamento “Non avrai altri dèi di fronte a me” (Esodo 20,3).
La trasmissione del peccato originale ad ogni uomo “per generazione” può essere letta come “condizione innata” (L. Bouyer), situazione naturale dell’uomo privo dell’aiuto di Dio (la Grazia) per la sua realizzazione .

In questa sintesi, cosa significano i dogmi mariani definiti negli ultimi secoli?
Per motivare il dogma dell’Immacolata possiamo ragionare così: se l’Incarnazione “come atto” è iniziata all’Annunciazione, era conveniente che Colei che era il principio secondario della natura umana individuale di Cristo, il “perfettore” della natura umana universale (cfr. Efesini 4,13; Colossesi 1,28: “uomo perfetto”), fosse realizzata pienamente (avesse la “vita piena”) fin dal suo concepimento, cioè non fosse “alienata” da Dio, il quale è il primo principio anche dell’esistenza umana di Gesù.
Premesso che la situazione originaria (paradiso terrestre) dell’uomo deve essere letta come prefigurazione della conclusione del suo percorso di realizzazione, Maria è pienamente realizzata da Dio (“piena di Grazia”, cioè “oggetto del favore di Dio”: cfr. Luca 1,28; anche per questo gli Orientali la venerano come “Panagìa”, la Tuttasanta) fin dall’origine della sua esistenza, cioè è esentata dal limite del peccato, priva di quell’alienazione (Immacolata concezione), come avviene per ogni cristiano nel Battesimo; è pienamente realizzata da Dio al termine della sua esistenza terrena (Assunzione corporea), cioè ottiene il dono della vittoria definitiva sul limite della morte (parteciperà alla vittoria sulla morte conseguita da Cristo, suo figlio, il quale colpirà al capo il Serpente: cfr. Genesi 3,15), come avverrà per ogni cristiano alla Parusia. E’ importante precisare che, rispetto a noi, la Grazia e la Gloria in Maria sono date per anticipazione.
Quindi l’Immacolata concezione è lo sbocciare della “vita piena” che fiorirà nell’Assunzione.

Quali possono essere i messaggi dell’Immacolata all’uomo d’oggi?
Tu che tendi perennemente a superare te stesso, con Dio sei un mistero di Grazia, senza Dio sei l’assurdo del Nulla. La storia non è in profondità una lotta tra sfruttatori e sfruttati, tra vincitori e vinti (vedi il Magnificat), ma un gigantesco confronto tra il Bene e il Male. La storia, che ti sembra un’accozzaglia di catastrofi e di fallimenti, se ha come prototipo questa persona umana che è Maria, è orientata da Dio a un lieto fine.

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