PLURALITA’ DI FEDE, DI RIVELAZIONI, DI DEVOZIONI?
Esiste una sorprendente varietà di risposte che il credente trova nella Scrittura, accompagnate da quelle che noi chiameremmo almeno anomalie; tanto che l’ecclesiologo dei bei tempi passati deve constatare che nei 4 vangeli compare solo 3 volte il vocabolo “chiesa”, mentre il mariologo devoto deve riconoscere che, in tutte le lettere (21 scritti su 27) del NT, compare una generica allusione a Maria desunta da un’espressione comune di Gb 14,1. Come pure i fedeli di Cristo si riconoscono in diverse chiese, con diverse attualizzazioni sia teologiche che liturgiche: si pensi alle diverse teologie e liturgie espresse dalle chiese d’Occidente (es. Roma, Cartagine, Gallia) e dalle varie chiese d’Oriente (es. Pre-calcedonesi, Siriana, Bizantina, Russa; scuole di Alessandria e Antiochia.), come è riconosciuto dai testi dell’ultimo Concilio (LG nn. 13, 23; UR nn. 14-17). Naturalmente le diverse formazioni liturgiche ammettono lingue liturgiche diverse (al di là delle tre del “titulus crucis”, come lo slavo); e i vari orientamenti teologici si avvalgono di filosofie diverse (non era S. Agostino tributario di Platone, e S. Tommaso interprete di Aristotele?), come ammette l’enciclica “Fides et ratio” (nn. 49, 71s, 76). A una certa svolta della storia però la liturgia e la teologia vennero riservate al Clero e il Popolo fedele ne venne escluso. Si identificava quindi “Clero” con “Chiesa” e i semplici fedeli venivano relegati a meri assistenti passivi dell’azione eucaristica (durante la prima parte della quale non era loro proibito di “rimaner fuori”, e per il resto era concesso di…recitare il Rosario).
Mi è facile riconoscere che la complessità della “verità-vita” della via cristiana può essere affrontata secondo almeno tre angolature: intellettuale (con la fede con cui aderiamo a Dio e con la preghiera pubblica che a Lui eleviamo), affettiva (con la preghiera personale, con la devozione, con la mistica) e operativa (con la carità materiale e spirituale). Coi tre organi simbolo: cervello, cuore, mani; coi tre modelli rispettivi di santità: S. Tommaso, S. Bernardo, Madre Teresa di Calcutta. Queste angolature s’intendono necessariamente complementari tra di loro e ciascuna presente in misura maggiore nei vari “tipi” di fedeli. Per cui: un intellettuale senza affettività può essere un buono studioso ma uno scarsamente credente; un intellettuale senza operatività può essere un eccellente teorico, ma non un felice attuatore di ideali; un affettivo senza intelligenza può essere un sentimentalista spesso lontano dall’equilibrio; un affettivo senza operatività può diventare un egoista che pensa solo al suo “particulare”; un operativo senza intelligenza può essere un efficiente operatore sociale ma privo di ogni legame verticale; un operativo senza emotività può ridursi a un freddo funzionario privo di umanità.
Ecco che si profila un sano pluralismo non di fede (i “diversamente credenti” si chiamano eretici!), ma di modalità di preghiera, di sensibilità, di coinvolgente partecipazione. Ecco quindi la possibilità di diverse devozioni.; ma a due condizioni: che la devozione si fondi sulla fede (e non viceversa) e che non prevarichi su di essa (cioè non si ritenga essenzialmente ad essa superiore). Ecco che si formano due posizioni, l’una belligerante contro l’altra: i conservatori immobilisiti, per i quali non esiste distinzione fra centro genetico della rivelazione e sua periferia (fino al punto di attribuire a una lettera di S. Paolo lo stesso valore di uno scritto di Don Bosco, o di Suor Lucia, o di Padre Pio); gli innovatori progressisti, per i quali il mistero dell’uomo è rivelato più pienamente dall’Illuminismo, dal Marxismo, dallo scientismo agnostico, ecc. (fino al punto di considerare quasi sullo stesso piano quattro famosi “rivelatori” ebrei che hanno segnato la nostra storia: Gesù, Marx, Freud, Einstein).
Spesso le devozioni, in un crescendo quasi deterministico seguono queste tappe: prima si affiancano a fede e liturgia; poi si sostituiscono ad esse; in seguito assorbono tutte le energie che il credente dovrebbe riservare alla fede; in fine si pongono in concorrenza con le fede (con la sentenza: Se non sei devoto di “questa” Madonna, non sei credente!). Le devozioni germinano a dismisura quando ricorrono alcune condizioni: non si capiscono più le lingue e i “segni” liturgici; i predicatori abbandonano la riflessione sulla Scrittura; la teologia trascura la “sapienza” e diventa troppo filosofica (vedi il richiamo di Pascal); si oscura il cristocentrismo (Cristo è l’unico centro della storia della salvezza) che, con esagerazione tutta occidentale, storicamente ha corso il rischio di diventare cristomonismo (insignificanza del “pensiero-culto” riservato allo Spirito). Mi sono reso conto che è molto più facile parlare di un’apparizione e molto più impegnativo spiegare tutta la Bibbia, quando ho visto che un buon accompagnatore nei pellegrinaggi europei aveva fatto una pessima figura quando lo si è mandato a sostituire una guida in Terra Santa.
Spesso le devozioni si coagulano attorno a visioni-apparizioni, cui i “devoti” attribuiscono valore assoluto e indubitabile. Se alla fine l’autorità ecclesiastica le riconosce (come nella minoranza dei casi), tutto si convoglia secondo la pietà dei fedeli; ma se (come nella maggioranza dei casi) le cose non vanno nel senso desiderato, si rischia di ottenere un duplice effetto: una spaccatura all’interno della Chiesa e un’ondata di derisioni da parte dei miscredenti. Comunque resta vero che ogni altro aspetto della “verità-vita” della via cristiana si deve fondare sulla risposta di fede alla rivelazione. La fede – per noi che non siamo i primi apostoli – viene dall’ascolto, non dalla visione (Gv 20,29; Rm 10,17; cfr anche 2Cor 5,16). Finché la fondamentale importanza della Bibbia - non assunta da sola, ma interpretata nella Chiesa dalla quale è nata - non sarà accolta da tutti i cattolici, il Vaticano II rimarrà un fenomeno sterile da dimenticare, oppure dannoso da cui liberarsi.
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