venerdì 4 giugno 2010

Sul New Age

VOGLIAMO RIDURCI A CREDERE NELLA DEA MADRE?

Come aveva previsto il grande Dostoevskij, la civiltà moderna ha ucciso quel modello millenario di Padre che è il Dio dei monoteismi rivelati. Ma, siccome non è affatto facile concepire un essere cosciente e libero che non abbia un genitore (anche perché l’essere umano è costitutivamente “culturale”), la società post-moderna lo ha sostituito con la più primitiva figura della “dea madre” (come si vede nelle impressionati statuette conservate nel museo ittita di Ankara). La quale figura rappresenta la base della vetero-religione pagana del Mediterraneo.
Questa femminilità conduce a privilegiare nell’uomo l’elemento in-personale (il “non-Tu”), l’elemento emozionale, e sfocia nel “mare magnum” dell’indistinto e indefinibile.
L’uomo post-moderno – che “sente” di essere il “non-Assoluto”, il “non-solo-materia” – ha impellente bisogno di crearsi un elemento di “mistero”, che mostra ad evidenza la sua sete di quella dimensione antropica, prevalentemente fiorente nell’Oriente, che è il simbolismo.
Nel secolo precedente sono germinati qui da noi almeno tre tentativi di creare quella figura di “uomo nuovo” (che non vorrà mai riconoscere di dipendere culturalmente dalla “nuova creatura” inventata dal Cristianesimo). Il primo è stato quello del marxismo: l’uomo nuovo “senza pietà” (senza pure la “pietas” pagana) il quale – assolutizzando la classe del proletariato - ha condotto al baratro della distruzione dell’uomo nei campi di sterminio che, se avessimo il coraggio civile di essere criticamente sinceri, valuteremmo come molto più numerosi ed estesi di quelli hitleriani. Il secondo tentativo è rappresentato dalla troppo lunga epoca cocciutamente dominata dallo scientismo: l’uomo nuovo “senza autocoscienza” (né coscienza morale) presentato con sicumera ad un grosso pubblico che fa il tifo per tutto eccetto che per la metafisica; l’homo robot che, dopo le smentite promesse, arriva al tragico di manomettere la natura (che, come è noto, non perdona nessun errore). Il terzo è quello dello pseudo-ecologismo ideologico: l’uomo nuovo “senza persona”; perché la persona - questa luminosa invenzione della teologia cristiana - è costituita da una relazione paritetica (e con essa si manifesta), in modo tale che l’uomo, alla scuola sempre valida di Aristotele, è costitutivamente compreso come un animale sociale. Non deve dirci nulla la constatazione che i primi due tentativi sono finiti nel fallimento più carico di conseguenze per l’uomo?
Questa mentalità “New Age”, giunta alle estreme conseguenze, dopo di aver distrutto l’uomo-persona, passa allegramente a livellare la natura tutta, nell’olismo, per cui ogni essere è identico all’altro. Per cui quel “nuovo dio” che deve finalmente sostituirsi a quello rivelato - imboccando il vicolo cieco di tipo spinoziano: “Deus sive Natura” - ha la consistenza di una nebulosa spiritualità panteistica che conduce praticamente all’ateismo dell’immanenza più assoluta, perché se tutto è Dio, il Dio vero non esiste. Al posto di questi, la pseudo-spiritualità New Age propone fantasmagoricamente la fisima di un’Energia universale che, schiacciata dall’ondata di una deterministica emanazione, si espande dai componenti subatomici e finisce all’infinità delle galassie. Ma cos’è un mondo che segue una logica mancante di genere e differenza specifica, se non un amalgama incomprensibile e indecifrabile? E là dove latita la dimensione etica si arriva al tragico paradosso che chi voleva “adorare” la natura finisce col comprometterla miserevolmente e definitivamente distruggerla. A nulla serve la sdolcinata poesia con cui si paluda il pensiero (meglio: il sentimento) newagino., se non a riempire il desolante vuoto delle conversazioni salottiere del tè alle cinque della sera.

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