LE GRANDI DOMANDE DELL’UOMO MERITANO IL PRIMO POSTO NELLA NOSTRA RIFLESSIONE
Prendiamo l’avvio dai tre modi che abbiamo a disposizione per conoscere la realtà extrapersonale: a) osservazione limitata agli oggetti sperimentabili coi sensi, eventualmente organizzata in un sistema logico (come una teoria generale delle scienze); b) riflessione su realtà dedotte da principi razionali che riguardano la dimensione conoscitiva o etica dell’uomo; c) adesione alle affermazioni di altre persone sia nel campo naturale (storia, stati d’animo o colpevolezza altrui…) sia in quello soprannaturale (religione rivelata).
Nell’affrontare la massime questioni del pensiero umano – quali l’esistenza di un Essere assoluto personale e la sopravvivenza dell’Io umano oltre la morte - ci dividiamo in altrettante categorie di pensatori, in ciascuna delle quali si accettano le conquiste della precedente: a) C’è un tipo di scienziato moderno che ritiene realtà solo quelle che si possono sperimentare (è la posizione dello scientismo positivista), risultato che si potrebbe ottenere anche col sussidio di uno strumento; b) C’è il filosofo che sa ricavare principi generali dall’osservazione sintetica della realtà (è la posizione della metafisica che, in alcuni pensatori dopo l’interpretazione riduttiva di Kant, sta riavendo la fiducia che merita), ma ritiene necessario confrontarsi con le conclusioni cui sono addivenuti gli altri (e può cadere nell’individualismo, che esclude la relazionalità intraumana); c) C’è chi fa un ulteriore passo e tiene conto delle testimonianze di altri che riportano sia il consenso del genere umano (che viene giudicato fonte sicura nell’ambito delle grandi domande di senso), sia le tracce di un’eventuale rivelazione superiore. In questo terzo caso si raggiungono le mete spirituali dell’apertura etica.
Nella prima delle tre posizioni il soggetto, prigioniero della sua miopia, non si rende conto di avere una concezione miseramente riduttiva dell’uomo, e che anche le scienze della natura fanno ricorso obbligatoriamente ai principi metafisici, per esempio quello di causalità (dice Aristotele che la scienza è “conoscenza dimostrativa” per cui “si conosce la causa di un oggetto”). Nel secondo caso l’individuo può arrivare all’estremo di non riconoscere la possibilità e utilità del contributo di altri per risolvere le questioni. Chi rifiuta la terza soluzione probabilmente lo fa perché la sintesi di tutto il discorso potrebbe chiedergli di rinunciare a quell’assoluta autosufficienza dell’Io e dell’umanità che arriva a proporre l’assurdo dilemma “O Dio, o l’uomo”. E’ evidente invece che tutto nell’uomo mostra i suoi limiti esistenziali (non onnipotenza né indistruttibilità), vitali (dolore, morte) e morali (disordine etico); benché l’attività scientifica, applicando le leggi naturali, produca frutti meravigliosi, e la coscienza sia norma prossima, ma non assoluta, di comportamento.
Le insopprimibili richieste di trascendenza vengono da due considerazioni: la complessità irriducibile del reale fisico, e l’inadeguatezza delle immanentistiche spiegazioni di senso. Per godere di una visione globale del “mosaico” della realtà fisica è necessario procedere oltre il controllo delle singole “tessere”; e per avere una visione della realtà umana è necessario mettersi in ascolto della comunicazione interpersonale.
I sostenitori “appassionati” di ciascuna posizione possono essere fortemente determinati nelle loro conclusioni da considerazioni esperienziali e vitali, oltre che da diffusi presupposti che assomigliano a comodi pregiudizi o “luoghi comuni”. Lo scienziato”scientista” trova facile percorrere le vie dell’ironia facendo apparire le ragioni del metafisico come fantasticherie inconcludenti, e le affermazioni del credente come poesie consolatorie per ingenui o innocue fole per bambini. L’apologeta cristiano può considerare praticamente uguali il credere in Dio e il verificare i motivi razionali della sua esistenza, attribuendo a quest’ultima argomentazione l’etichetta di superfluo esercizio accademico. Il dialogo conciliante fra le parti diventa poi precluso nel caso che ambedue gli estremi (il positivista e il credente) neghino la consistenza del ragionamento filosofico. Mi sembra che il positivista nutra un concetto ristretto di “razionalità”: organizzazione dei dati sperimentali; mentre il credente ne ha uno troppo ampio: aspirazioni e sentimenti dell’essere razionale.
L’esistenza di un Essere assoluto personale (Dio), non trova dimostrazione nella Bibbia (che la ritiene di per se stessa evidente); ma, secondo le più tradizionali correnti filosofiche, è raggiungibile con le sole risorse della ragione (come aveva detto il Concilio Vaticano I nel 1870).
La sopravvivenza dell’Io umano alla morte - che viene espressa con “immortalità dell’anima” in alcune filosofie (per es. il platonismo) - non è riconosciuta da altre. Aggiungiamo che i grandi scrittori dei primi secoli del Cristianesimo la ritenevano un dono soprannaturale di Dio che opera la “nuova creazione” nel Cristo risorto (vedi in 1Cor 15,44 l’espressione “corpo spirituale”, da intendersi nell’ambito dell’antropologia biblica). Il Catechismo della Chiesa Cattolica - che in linea con la Bibbia parla ampiamente di “risurrezione” - accenna quasi di sfuggita all’immortalità dell’anima (n. 366, riassunto nel 382), mettendoci sulla via della comprensione di un’immortalità per grazia, più che per natura.
Nessun commento:
Posta un commento