Chi dobbiamo arrestare per il terremoto?
La colpa è
della Cirinnà o di Adamo ed Eva? Pur sapendo che la polemica (stile vecchia
apologetica) non aiuta a vedere i punti
positivi degli avversari e tantomeno quelli negativi espressi da noi, mi metto
a scrivere (in fretta!) qualcosa
anch’io, su una “affaire” che “ha
scosso cielo e terra”.
I disastri
naturali non sono attribuibili alla volontà perversa nostra e tantomeno a
quella di Dio. Essi sono ascrivibili alla finitudine del creato, alla
“non-perfezione” di questo povero mondo,
destinato a scomparire; che non è “il migliore dei mondi possibili”, come
ingenuamente ipotizzava il pio filosofo protestante Leibniz (giustamente irriso
da quel volpone di Voltaire, che aveva discusso con lui, e meno felicemente col
Rousseau, sul terremoto di Lisbona del 1755).
Nel periodo di
composizione della Scrittura ebraico-cristiana, durante almeno un millennio, le
teorie della retribuzione divina alla condotta morale del credente son
transitate per forme alquanto diverse. Una delle quali, e la più costante nel
tempo, è quella del ferreo meccanismo “peccato/castigo”, arrivando a dire (in
extremis!) che la nostra contabilità con Dio è di "do ut des”, cedendo così alla dolce suasione dell'antropomorfismo.
Mi spingo fino a tentare una concentrata sintesi della forma definitiva della rivelazione di tutta la Scrittura: chi si rifiuta di aderire a (alla volontà di) Dio, più che perdere i beni di Dio (castigo materiale), perde la comunione (amicizia, alleanza) con Lui, che è Amore fedele prima di essere implacabile Giudice; e la perde in questa vita e in quella avvenire.
Mi spingo fino a tentare una concentrata sintesi della forma definitiva della rivelazione di tutta la Scrittura: chi si rifiuta di aderire a (alla volontà di) Dio, più che perdere i beni di Dio (castigo materiale), perde la comunione (amicizia, alleanza) con Lui, che è Amore fedele prima di essere implacabile Giudice; e la perde in questa vita e in quella avvenire.
I peccati più
gravi commessi da chi ignorava che l’ermeneutica non fa un discorso quantitativo
sono all’origine delle “cantonate” che l’autorità religiosa (non solo della
Chiesa cattolica) ha recepito nei secoli. Mi irritava sentire per esempio,
quando ero seminarista, un buon frate che si sfiatava nel ricordare che nei
vangeli per ben 17 volte si parlava di fuoco nell’inferno. Mi chiedevo (molto
sottovoce….) come facesse l’anima a subire una pena in chiave termologica.
Nel pur
necessario intervento romano si è fatto un caso polemico delle unioni civili e
si è lasciato in ombra il compresente motivo del peccato originale, ambedue espressi
dal P. Cavalcoli. Il che avrebbe richiesto un proficuo ricorso a un’illuminata
(non illuministica!) ermeneutica.
NOTA
Per riparare alla lacuna dello
scrivere in breve su un argomento “formidabile”, posso fare riferimento almeno
ad altri post che ho inserito in questo mio blog:
-
Dov’era Dio…..? (5-9-16)
-
Sull’esistenza di Dio (22-6-16)
-
Un senso nel male (13-4-14)
-
Sul problema del male (23-12-13)
POSTILLA
Qualche
lettore – forse abituato a leggere nella Bibbia versetto per versetto e
attribuendolo a una “dettatura meccanica” - mi chiede di spiegare cosa
s’intenda per ermeneutica. In un argomento così vasto, dirò soltanto due cose:
l’ermeneutica conduce, oltre il linguaggio, a cogliere il significato che
l’autore umano intendeva; e, applicando la gradualità della composizione dei
testi della rivelazione, a tener conto soprattutto del passaggio tra A. e N.T. Naturalmente
nessuno di noi insisterebbe nell’affermare il valore eterno di temi come la
guerra santa, il kerem, l’apparente disapprovazione del culto esteriore,
l’obbligatorietà della Torah, eccetera.
Soprattutto
l’A.T. è sommerso da una quantità di minacce di castighi, che ci presentano un
Dio vendicatore spietato: da Osea: “Guai a loro, se io li abbandono…. Ho preso
a odiarli…non avrò più amore per loro” (9,10-17); da Amos: “Odio i suoi (di
Samaria) palazzi” (6,8; cfr. 6,11).
Insieme a
questi, per fortuna esistono testi di perdono per chi si converte: da Osea: “Non tornerò a distruggere
Efraim, perché sono Dio e non un uomo” (11,9); “Io li guarirò dalla loro
infedeltà, li amerò profondamente, perché la mia ira si è allontanata da loro”
(14,5); da Amos: “Cercate me, il Signore, e vivrete” (5,4.6; cfr 5,14). E non
trovo logico qualcuno che interpreta l’assassinio di Nabot (1Re 21) come esempio di
un mezzo cattivo per ottenere un fine buono.
Già
nell’A.T. i castighi sono presentati con la finalità medicinale: Amos 4,6-11
riporta cinque volte l’accorato dispiacere di Dio che, essendo stati ignorati
altrettanti flagelli, dice: “Ma non siete ritornati a me!” . E’ definitivamente
Gesù che ammansisce i due focosi fratelli che chiedevano un fulmine (Lc 9,54);
che sconnette il legame essenziale
intrecciato dal popolo tra peccato e castigo (Lc 13,4; Gv 9,2s).
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