domenica 13 aprile 2014

Un senso nel male



Possiamo trovare un senso nel male?


Possiamo trovare una ragione - che necessariamente sarà solo parziale - per darci una qualche risposta sul mistero del male. Mistero è una realtà o un’idea che sta al di sopra delle nostre capacità intellettive; se si trovasse contro queste capacità, si chiamerebbe assurdo.

Sulla scia di S. Agostino possiamo definire il male “defectus boni”, mancanza o privazione di un bene, nella costituzione iniziale e nella conclusione storica (la pienezza dell’essere, la completa sua realizzazione).
Nota etimologica: per-fectum è l’essere che ha raggiunto la sua completezza, pienamente “fatto”;  im-perfectum  (non definitivamente fatto, costruito) è l’essere che non l’ha raggiunta.  de-fectus è la mancanza di questa completezza.

Esiste una catalogazione dei mali:
-         male esistenziale: quello dovuto alla costituzione oggettiva dell’esistente “limitato” (il libro biblico Qoelet esprime questo concetto con “vanità”, vanità immensa)
-         mali fisici: terremoto, malattia, morte…..
-         mali psicologici: depressione, disperazione, fallimento economico….
-         mali morali: peccato, colpa, delitto….

I – Il male nel mondo e nell’umanità

A - Perché esiste il male in generale? Da chi o da che cosa proviene? Chi lo ha voluto? In che cosa sta il “difetto”? E’ la questione dell’origine

            Sia l’individuo sia l’umanità vengono ad esistere non già “finiti”, ma in via di progresso, maturazione e completamento. Il “limite” quindi è connaturale all’esistenza umana.

1 – Per l’ateo
Il male è la prova che Dio non esiste o non si interessa del creato e delle creature. Però resiste la constatazione che la maggioranza delle cose e della vita delle persone è segnata dal bene.
Nel romanzo “La peste”, Albert Camus  sottolinea lo scandalo del dolore degli innocenti; come aveva fatto il credente inquieto Fedor Dostoevskij in “I fratelli Karamazov”.

2 – Per il credente (cristiano)
Il male è segno del limite (creaturalità, il non essere “assoluto”) di una cosa o una persona, che quindi sono imperfetti.

B – Il male sarà superato nella storia e nella vita? E’ la questione della fine

1 – Per il pensatore positivista o agnostico che vede la storia solo nella prospettiva evoluzionistica, o del “progresso infinito”, la natura. la vita, l’uomo alla fine raggiungeranno “autonomamente” la perfezione. Qui per l’uomo non si pone il problema del dopo-morte.

2 – Per il credente, l’uomo sarà portato a compimento (“salvezza”) non solo dalla sua azione, individuale o associata, ma per intervento di Dio che lo ha creato e “programmato”; ha bisogno di un aiuto trascendente per raggiungere l’ultima sua finalità. L’uomo non si realizza pienamente da sé (“autosoterìa”; dove “soterìa” significa salvezza) nella perfezione morale e tantomeno nella sua struttura vitale.


II – Perché il male in me

Perché la malattia ha aggredito proprio me? Perché mi muore un congiunto?
Primariamente il male può essere conseguenza connaturale all’esistenza umana del singolo; ma ciascuno di noi partecipa delle gioie e dei dolori di tutta la comunità (e umanità).

1 – In una inveterata catechesi da superare (sostenuta da una prima fase di riflessione dell’Antico testamento), il male è un castigo per il mio peccato personale.
Però riconosciamo che esso può provenire
a) da mancanze mie (tossicodipendenza, superalcolismo, amministrazione sbagliata dei beni, guida spericolata dell’automobile…)
b) da difetti che ereditiamo dai nostri genitori, o da loro colpe: il male morale può produrre molti mali fisici (aids, sifilide, cattiva educazione, perversione….)
c) dalla comunità in cui viviamo (sforamento dei limiti dell’effetto serra, odio, vendetta, guerra, genocidi….)

2 – Secondo una catechesi purificata dai limiti delle riflessioni “primitive”

La risposta al vero “perché a me?” rimane un mistero (come dicevamo: una realtà superiore alla mia ragione).
Possiamo raggiungere razionalmente una finalità ottimistica da assegnare al dolore? Senza giungere alle sublimità della visione religiosa, possiamo dire che il dolore è un provvidenziale “motore” sia delle ricerche della scienza, sia della gratuità della solidarietà (che per un cristiano può assumere il nome di “carità”).

In una comprensione del cristianesimo propria di persone che lo vivono veramente (e anche misticamente), il male può essere visto
a)      come una meritoria purificazione delle colpe nostre o di altri, per partecipazione al loro dolore
b)      come invito divino alla conversione
c)      come sublime preghiera per la conversione dei peccatori, per il sollievo degli ammalati, per la consolazione degli addolorati
d)      come sequela dei sublimi esempi dei martiri e in primo luogo di Cristo (che ci salva soprattutto con la sua morte in croce).

APPROFONDIMENTO

Ci chiediamo quale sia il rapporto tra la morte, massimo male in questa vita, e la salvezza.
- Il peccato-condanna dell’uomo consiste nella presunzione di auto-divinizzazione al fine di appropriarsi di  una vita piena (immortalità); con la conseguente risposta divina che ci lascia in balia della morte (Gen 3).
- La redenzione-salvezza consiste nell’umanazione di Dio nella “kénosi” e accettazione della morte da parte dell’uomo Gesù, come segno della propria creaturalità; Dio Padre risponde col “risuscitamento” di Gesù e col dono della divinizzazione-pienezza di vita incipiente e definitiva del cristiano (San Paolo).
Quindi l’unica risposta che dà la fede cristiana alla realtà del dolore è il mistero della Pasqua di morte e risurrezione, cioè del mirabile incrocio tra l’amore riparatore dell’uomo Gesù che chiede il perdono e l’amore condiscendente di Dio padre che concede la salvezza.

Non comprende le Scritture chi interpreta “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt, Mc) come un grido da disperati.
Il “grido della notte” deve essere letto sulla totalità del salmo 22 (cfr anche Is 53) che tematizza la sofferenza accompagnata dalla lode e coronata dalla vittoria e dall’universalismo. Tre sono i temi da leggere in profondità:
1 - “Perché mi abbandoni alla morte?”. Perché Dio accoglie la morte di Gesù come segno della creaturalità accettata umilmente da ogni uomo.
2 - “Perché non mi rispondi? Perché non intervieni?”. Il Padre risponderà nel risuscitamento conferendo a Gesù non una vita destinata ancora una volta alla morte, ma una vita senza fine, per cui l’uomo è elevato alla dignità della vita stessa di Dio.
3 - “Come si realizza il tuo Regno tra gli uomini, che io ho proclamato come emblema della mia predicazione?”. La morte di Gesù sarà feconda in una moltitudine universale (chiesa cristiana “cattolica”) che accetta di vivere sotto le insegne del Regno di Dio. Come cantava Venanzio Fortunato: “Regnavit a ligno Deus”.

CITAZIONI BIBLICHE

Inviti alla conversione: il profeta Amos a nome di Dio rimprovera perché nonostante i castighi la gente non è arrivava alla conversione: “Non siete tornati a me” (Am 4,6-11); di fronte a una disgrazia di lavoro occorsa ad alcuni operai, Gesù corregge: “Credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,4-5)
Talvolta la guarigione del male dell’uomo viene significativamente sublimata al livello di miracolo (o “segno”) per proporre una verità di fede: Gesù chiarisce sulla disgrazia del cieco nato:“Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio” (Gv 9,2); la risurrezione di Lazzaro è segno prefigurativo di quella di Gesù stesso: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato” (Gv 11,4).

NOTE

Il dolore non è un bene in se stesso (anzi!), ma per volgerlo al bene deve essere motivato dall’amore (che è quasi il segno algebrico positivo davanti alla cifra del dolore). Salvo il caso di una speciale vocazione di Dio al fine di riparare i peccati dei nostri “fratelli”, non è sano cercare il dolore per se stesso (dolorismo).
Cristo non è salvatore perché ha perso la vita per una disgrazia, ma perché l’ha donata per amore.
Il classico libro biblico di Giobbe presenta la situazione drammatica dell’uomo nel dolore davanti al Dio santo e onnipotente (in cui, pur nel dolore, crede); alla fine della sua ricerca di una risposta, confessa a Dio di non averla trovata nell’opinione veterotestamentaria di chi connetteva dolore e peccato: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno visto” (Gb 42,5).
Sono certamente esagerate alcune indicazioni (avvalorate anche da qualche nota serie di “apparizioni”….) delle catastrofi finali per il mondo peccatore. Dio non è un vigile urbano che gode nel dare la multa: è un padre che corregge e aiuta il figlio che sbaglia.

La teologia (“spiritualità”) del male si può leggere sullo schema delle tre virtù teologali:
a)      fede: affidarsi a Dio, fidarsi di lui
b)      speranza: attendere con fiducia la soluzione che verrà da Dio (in questa o in un’altra vita)
c)      carità: nonostante il male, amare sommamente Dio, e amare oblativamente il prossimo (volere il suo bene, senza secondi fini).

APPENDICE FILOSOFICO-LETTERARIA

Due autori che più contrapposti non potrebbero essere

Nietzsche intendeva demolire l’idea di Dio che l’Occidente ha ereditato dai grandi pensatori della Grecia classica. Al cuore del suo discorso si colloca l’eterno problema “Dio e il male” e di conseguenza egli proclama “Dio è morto” (la morte di Dio); ma in un significato non del tutto negativo: col semplice evento dell’Incarnazione, Dio ha accettato per sé l’eventualità della morte, e di fatto l’ha subita.
Dopo avere scritto nel 1813 uno dei suoi cinque Inni sacri, “Il Natale”, alla morte avvenuta il 25 di dicembre della sua amatissima prima moglie Enrichetta (sua vera “Beatrice”), Manzoni si accinge a comporre “Il Natale del 1833”. Ci lavora in due riprese fino al 1835. Guarda il neonato Gesù  accarezzato dalla Madre mentre il suo cuore sanguina di fronte a una tragedia umanamente incomprensibile; ma poi il verso subisce una svolta: “Ma tu pur nasci a piangere….(perché tua Madre) ti seguirà sul monte e ti vedrà morir”. Terminata la quarta strofa, inizia la seguente con la sospensione “Onnipotente….”. Usando poi una citazione di Virgilio, scrive in calce “Cecidère manus” (mi caddero le mani). Mi sembra che comunque il poeta abbia compreso molto bene che il dolore trova una pur non esaustiva consolazione nel constatare che il Figlio si è incarnato per poter offrire al Padre la sua morte.

FUORI ONDA
Così ho risposto alle sollecitate osservazioni di un mio lettore:

1 - Il male è consustanziale alla natura umana proprio perchè l'uomo è limitato (creaturalità) e non un dio. Già il più grande poeta della Grecia classica, Omero, per parlare degli uomini usava il termine "mortale" (brotòs),  mentre gli dèi erano per lui immortali (athànatoi).
2 - Per l'aspetto comunitario: siccome l'uomo esiste all'interno della famiglia (comunità) dei propri simili (e senza di questa non si realizza), come partecipa dei lati positivi (scoperte, conoscenze, gratuità, solidarietà, ecc.) così fa anche di quelli negativi (cattiveria, dolore, morte, disgrazie, sconfitte, ecc.). Il saggio Giobbe rispondeva - nel suo tormentato, ma religioso, pensiero - con la stessa considerazione alla moglie: "Se da Dio accettiamo il bene, perchè non dovremmo accettare il male?" (2,10)

Nessun commento:

Posta un commento