Possiamo trovare un senso nel male?
Possiamo
trovare una ragione - che necessariamente sarà solo parziale - per darci una
qualche risposta sul mistero del
male. Mistero è una realtà o un’idea che sta al di sopra delle nostre
capacità intellettive; se si trovasse contro queste capacità, si chiamerebbe assurdo.
Sulla scia di S.
Agostino possiamo definire il male “defectus
boni”, mancanza o privazione di un bene, nella costituzione iniziale e
nella conclusione storica (la pienezza dell’essere, la completa sua
realizzazione).
Nota
etimologica: per-fectum è l’essere
che ha raggiunto la sua completezza, pienamente “fatto”; im-perfectum (non definitivamente fatto, costruito) è
l’essere che non l’ha raggiunta. de-fectus è la mancanza di questa
completezza.
Esiste una
catalogazione dei mali:
-
male esistenziale: quello dovuto alla costituzione
oggettiva dell’esistente “limitato” (il libro biblico Qoelet esprime questo concetto
con “vanità”, vanità immensa)
-
mali fisici: terremoto, malattia, morte…..
-
mali psicologici: depressione, disperazione, fallimento
economico….
-
mali morali: peccato, colpa, delitto….
I – Il male nel mondo e nell’umanità
A - Perché
esiste il male in generale? Da chi o da che cosa proviene? Chi lo ha voluto? In
che cosa sta il “difetto”? E’ la questione dell’origine
Sia
l’individuo sia l’umanità vengono ad esistere non già “finiti”, ma in via di
progresso, maturazione e completamento. Il “limite” quindi è connaturale
all’esistenza umana.
1 – Per l’ateo
Il male è la prova che Dio non
esiste o non si interessa del creato e delle creature. Però resiste la
constatazione che la maggioranza delle cose e della vita delle persone è
segnata dal bene.
Nel romanzo “La peste”, Albert
Camus sottolinea lo scandalo del dolore
degli innocenti; come aveva fatto il credente inquieto Fedor Dostoevskij in “I
fratelli Karamazov”.
2 – Per il credente (cristiano)
Il male è segno del limite
(creaturalità, il non essere “assoluto”) di una cosa o una persona, che quindi
sono imperfetti.
B – Il male
sarà superato nella storia e nella vita? E’ la questione della fine
1 – Per il pensatore positivista
o agnostico che vede la storia solo nella prospettiva evoluzionistica, o del
“progresso infinito”, la natura. la vita, l’uomo alla fine raggiungeranno
“autonomamente” la perfezione. Qui per l’uomo non si pone il problema del
dopo-morte.
2 – Per il credente, l’uomo sarà
portato a compimento (“salvezza”) non solo dalla sua azione, individuale o
associata, ma per intervento di Dio che lo ha creato e “programmato”; ha
bisogno di un aiuto trascendente per raggiungere l’ultima sua finalità. L’uomo
non si realizza pienamente da sé (“autosoterìa”;
dove “soterìa” significa salvezza)
nella perfezione morale e tantomeno nella sua struttura vitale.
II – Perché il male in me
Perché la malattia
ha aggredito proprio me? Perché mi muore un congiunto?
Primariamente il male può essere
conseguenza connaturale all’esistenza umana del singolo; ma ciascuno di noi
partecipa delle gioie e dei dolori di tutta la comunità (e umanità).
1 – In una inveterata catechesi
da superare (sostenuta da una prima fase di riflessione dell’Antico
testamento), il male è un castigo per il mio peccato personale.
Però riconosciamo che esso può
provenire
a) da mancanze
mie (tossicodipendenza, superalcolismo, amministrazione sbagliata dei beni,
guida spericolata dell’automobile…)
b) da difetti
che ereditiamo dai nostri genitori, o da loro colpe: il male morale può
produrre molti mali fisici (aids, sifilide, cattiva educazione, perversione….)
c) dalla
comunità in cui viviamo (sforamento dei limiti dell’effetto serra, odio,
vendetta, guerra, genocidi….)
2 – Secondo una catechesi
purificata dai limiti delle riflessioni “primitive”
La risposta al vero “perché a
me?” rimane un mistero (come dicevamo: una realtà superiore alla mia
ragione).
Possiamo raggiungere
razionalmente una finalità ottimistica da assegnare al dolore? Senza giungere
alle sublimità della visione religiosa, possiamo dire che il dolore è un
provvidenziale “motore” sia delle ricerche della scienza, sia della gratuità
della solidarietà (che per un cristiano può assumere il nome di “carità”).
In una comprensione del cristianesimo
propria di persone che lo vivono veramente (e anche misticamente), il male può
essere visto
a)
come una meritoria purificazione delle colpe nostre o
di altri, per partecipazione al loro dolore
b)
come invito divino alla conversione
c)
come sublime preghiera per la conversione dei
peccatori, per il sollievo degli ammalati, per la consolazione degli addolorati
d)
come sequela dei sublimi esempi dei martiri e in primo
luogo di Cristo (che ci salva soprattutto con la sua morte in croce).
APPROFONDIMENTO
Ci chiediamo quale sia il
rapporto tra la morte, massimo male in questa vita, e la salvezza.
- Il peccato-condanna dell’uomo
consiste nella presunzione di auto-divinizzazione al fine di
appropriarsi di una vita piena (immortalità);
con la conseguente risposta divina che ci lascia in balia della morte
(Gen 3).
- La redenzione-salvezza consiste
nell’umanazione di Dio nella “kénosi” e accettazione della morte da
parte dell’uomo Gesù, come segno della propria creaturalità; Dio Padre risponde
col “risuscitamento” di Gesù e col dono della divinizzazione-pienezza di
vita incipiente e definitiva del cristiano (San Paolo).
Quindi l’unica risposta che dà la
fede cristiana alla realtà del dolore è il mistero della Pasqua di morte
e risurrezione, cioè del mirabile incrocio tra l’amore riparatore dell’uomo
Gesù che chiede il perdono e l’amore condiscendente di Dio padre che concede la
salvezza.
Non comprende le Scritture chi
interpreta “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt, Mc) come un
grido da disperati.
Il “grido della notte” deve
essere letto sulla totalità del salmo 22 (cfr anche Is 53) che tematizza la
sofferenza accompagnata dalla lode e coronata dalla vittoria e
dall’universalismo. Tre sono i temi da leggere in profondità:
1 - “Perché mi abbandoni alla
morte?”. Perché Dio accoglie la morte di Gesù come segno della creaturalità
accettata umilmente da ogni uomo.
2 - “Perché non mi rispondi?
Perché non intervieni?”. Il Padre risponderà nel risuscitamento conferendo a
Gesù non una vita destinata ancora una volta alla morte, ma una vita senza
fine, per cui l’uomo è elevato alla dignità della vita stessa di Dio.
3 - “Come si realizza il tuo
Regno tra gli uomini, che io ho proclamato come emblema della mia
predicazione?”. La morte di Gesù sarà feconda in una moltitudine universale (chiesa
cristiana “cattolica”) che accetta di vivere sotto le insegne del Regno di Dio.
Come cantava Venanzio Fortunato: “Regnavit a ligno Deus”.
CITAZIONI BIBLICHE
Inviti alla
conversione: il profeta Amos a nome di Dio rimprovera perché nonostante i
castighi la gente non è arrivava alla conversione: “Non siete tornati a me” (Am
4,6-11); di fronte a una disgrazia di lavoro occorsa ad alcuni operai, Gesù
corregge: “Credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di
Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo
stesso modo” (Lc 13,4-5)
Talvolta la
guarigione del male dell’uomo viene significativamente sublimata al livello di miracolo
(o “segno”) per proporre una verità di fede: Gesù chiarisce sulla disgrazia del
cieco nato:“Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano
manifestate le opere di Dio” (Gv 9,2); la risurrezione di Lazzaro è segno
prefigurativo di quella di Gesù stesso: “Questa malattia non porterà alla
morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio
sia glorificato” (Gv 11,4).
NOTE
Il dolore non
è un bene in se stesso (anzi!), ma per volgerlo al bene deve essere motivato
dall’amore (che è quasi il segno algebrico positivo davanti alla cifra
del dolore). Salvo il caso di una speciale vocazione di Dio al fine di riparare
i peccati dei nostri “fratelli”, non è sano cercare il dolore per se stesso
(dolorismo).
Cristo non è
salvatore perché ha perso la vita per una disgrazia, ma perché l’ha donata per
amore.
Il classico
libro biblico di Giobbe presenta la situazione drammatica dell’uomo nel dolore davanti
al Dio santo e onnipotente (in cui, pur nel dolore, crede); alla fine della sua
ricerca di una risposta, confessa a Dio di non averla trovata nell’opinione veterotestamentaria
di chi connetteva dolore e peccato: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i
miei occhi ti hanno visto” (Gb 42,5).
Sono
certamente esagerate alcune indicazioni (avvalorate anche da qualche nota serie
di “apparizioni”….) delle catastrofi finali per il mondo peccatore. Dio non è
un vigile urbano che gode nel dare la multa: è un padre che corregge e aiuta il
figlio che sbaglia.
La teologia
(“spiritualità”) del male si può leggere sullo schema delle tre virtù
teologali:
a)
fede: affidarsi a Dio, fidarsi di lui
b)
speranza: attendere con fiducia la soluzione che verrà
da Dio (in questa o in un’altra vita)
c)
carità: nonostante il male, amare sommamente Dio, e
amare oblativamente il prossimo (volere il suo bene, senza secondi fini).
APPENDICE FILOSOFICO-LETTERARIA
Due autori che più contrapposti non potrebbero essere
Nietzsche
intendeva demolire l’idea di Dio che l’Occidente ha ereditato dai grandi
pensatori della Grecia classica. Al cuore del suo discorso si colloca l’eterno
problema “Dio e il male” e di conseguenza egli proclama “Dio è morto” (la morte
di Dio); ma in un significato non del tutto negativo: col semplice evento
dell’Incarnazione, Dio ha accettato per sé l’eventualità della morte, e di
fatto l’ha subita.
Dopo avere
scritto nel 1813 uno dei suoi cinque Inni sacri, “Il Natale”, alla morte
avvenuta il 25 di dicembre della sua amatissima prima moglie Enrichetta (sua
vera “Beatrice”), Manzoni si accinge a comporre “Il Natale del 1833”. Ci lavora in due riprese
fino al 1835. Guarda il neonato Gesù
accarezzato dalla Madre mentre il suo cuore sanguina di fronte a una
tragedia umanamente incomprensibile; ma poi il verso subisce una svolta: “Ma tu
pur nasci a piangere….(perché tua Madre) ti seguirà sul monte e ti vedrà morir”.
Terminata la quarta strofa, inizia la seguente con la sospensione
“Onnipotente….”. Usando poi una citazione di Virgilio, scrive in calce “Cecidère
manus” (mi caddero le mani). Mi sembra che comunque il poeta abbia compreso
molto bene che il dolore trova una pur non esaustiva consolazione nel
constatare che il Figlio si è incarnato per poter offrire al Padre la sua
morte.
FUORI ONDA
Così ho risposto alle sollecitate osservazioni di un mio lettore:
1 - Il male è consustanziale alla natura umana proprio perchè l'uomo è limitato (creaturalità) e non un dio. Già il più grande poeta della Grecia classica, Omero, per parlare degli uomini usava il termine "mortale" (brotòs), mentre gli dèi erano per lui immortali (athànatoi).
2 - Per l'aspetto comunitario: siccome l'uomo esiste all'interno della famiglia (comunità) dei propri simili (e senza di questa non si realizza), come partecipa dei lati positivi (scoperte, conoscenze, gratuità, solidarietà, ecc.) così fa anche di quelli negativi (cattiveria, dolore, morte, disgrazie, sconfitte, ecc.). Il saggio Giobbe rispondeva - nel suo tormentato, ma religioso, pensiero - con la stessa considerazione alla moglie: "Se da Dio accettiamo il bene, perchè non dovremmo accettare il male?" (2,10)
FUORI ONDA
Così ho risposto alle sollecitate osservazioni di un mio lettore:
1 - Il male è consustanziale alla natura umana proprio perchè l'uomo è limitato (creaturalità) e non un dio. Già il più grande poeta della Grecia classica, Omero, per parlare degli uomini usava il termine "mortale" (brotòs), mentre gli dèi erano per lui immortali (athànatoi).
2 - Per l'aspetto comunitario: siccome l'uomo esiste all'interno della famiglia (comunità) dei propri simili (e senza di questa non si realizza), come partecipa dei lati positivi (scoperte, conoscenze, gratuità, solidarietà, ecc.) così fa anche di quelli negativi (cattiveria, dolore, morte, disgrazie, sconfitte, ecc.). Il saggio Giobbe rispondeva - nel suo tormentato, ma religioso, pensiero - con la stessa considerazione alla moglie: "Se da Dio accettiamo il bene, perchè non dovremmo accettare il male?" (2,10)
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