martedì 6 marzo 2012

Quale esegesi?

Che pensare dell’esegesi post-conciliare

Rivelazione e ispirazione

Cos’è rivelazione (pubblica, s’intende)?

Il n. 7 (cfr anche il 18) della costituzione conciliare “Dei verbum”tiene presente direttamente la funzione trasmissoria degli apostoli di Cristo, ma indirettamente anche quella dei mediatori veterotestamentari della Parola (vedi per es. l’ordine di annunciare, e qualche volta di scrivere, impartito a diversi profeti).

Il Cristo ordinò di predicare il vangelo (non nel senso limitativo di “libretto”) e ciò fu eseguito in due modi:

a) dagli apostoli, i quali nella predicazione orale trasmisero quanto avevano ricevuto da Cristo e imparato per suggerimento dello S.S.

b) dagli apostoli e uomini della loro cerchia, i quali sotto l’ispirazione dello S.S. misero in iscritto l’annunzio della salvezza.

Come si vede, la rivelazione è contenuta non solo nell’insegnamento di Cristo, ma anche nell’azione dello S.S. che spinge a predicare e a scrivere. Così pure si sottolinea la funzione della comunità credente nelle sue dimensioni propriamente istituzionali.

Lo stile biblico è prevalentemente connotato da un discorso funzionale e simbolico, per cui certe idee vengono espresse con racconti (per es. parabole), certi eventi con liturgie (per es. Es 12) e certi pensieri vengono proposti con discorsi attribuiti al personaggio.

Dopo l’età della chiesa apostolica, non ci può essere una nuova rivelazione (Dei verbum, n. 4), ma solo un progresso nella comprensione (Dei verbum, n. 8).

Cos’è ispirazione?

Tenuto conto delle mille impostazioni diverse (per non dire contraddizioni) rinvenibili nei 73 libri della Bibbia (canone cattolico e ortodosso), è onestamente impossibile accettare la vecchia visione (anche se opportunamente adattata) della “dettatura meccanica”.

Il pensiero che Dio vuol comunicarci è espresso in una comunità credente (coi suoi organi direttivi) secondo il suo contesto culturale (ambiente semitico, ellenistico) e soprattutto cronologico (lungo i molti secoli o decenni in cui sono stati composti rispettivamente l’AT e il NT).

Se qualcuno chiede: “Allora dov’è finita l’azione specifica di Dio ?” rispondiamo che non si deve assumere la concezione categoriale di Dio, che sarebbe la prima causa all’interno della serie delle cause, ma quella trascendentale, per cui Dio agisce come colui che dal di fuori dà alla creatura la capacità di causare.

La vita e l’insegnamento di Cristo

I vangeli (sinottici) non vogliono essere una cronaca-storia della vita e dell’insegnamento di Gesù, ma l’annuncio salvifico (Dei verbum. n. 11: “per la nostra salvezza”) della sua missione e del suo messaggio.

Lo strato pre-pasquale della vita e opere di Gesù è raggiungibile col “metodo storico-critico” (soprattutto con la distinzione dei generi letterari e coll’ausilio della “scuola delle forme”: vedi Dei verbum, nn. 12 e 19), distinguendolo dal corposo apporto della comunità post-pasquale dell’epoca apostolica, alla triplice luce della Pasqua, della meditazione sull’AT, e dell’esperienza comunitaria di vita in Cristo. Tenendo conto che ogni evangelista presenta la comprensione cristologica post-pasquale della sua comunità particolare e quindi è un vero autore libero nelle sue scelte (vedi il n. 19 della Dei verbum).

Una volta si applicava lo schema dell’affastellamento nella successione delle tante azioni e discorsi di Gesù, per cui un vangelo riempiva le lacune aperte da un altro, facendo così emergere un rassicurante diario, o addirittura orario, nelle giornate del Salvatore (per cui si arrivava a dire: “Alle ore 16,30 di quel giorno….”); oppure si desumeva l’ordine della sinossi dei vangeli dal famoso viaggio lucano verso Gerusalemme, dove invece la città santa assume i contorni del traguardo teologico.

NB - I certi risultati del “m.s.c.” non devono far dimenticare i possibili rischi (P.C.B., L’interpretazione della Bibbia nella chiesa, 21-IX-1993, I/A).

E’ evidente che la comprensione di Cristo non è rinvenibile solo nei vangeli (e colui che si chiama per antonomasia “apostolo”, cioè San Paolo?).

Che dire del IV vangelo?

Lo chiamano così perché l’identità di Giovanni è messa in discussione anche da “non rivoluzionari” biblisti.

Si possono affermare due cose:

a) I Sinottici privilegiano una lettura semitica storico-funzionale della vicenda di Gesù, con un linguaggio narrativo e simbolico, arrivando all’affermazione paolina “Dio agiva in Cristo” (2Cor 5,19), in un certo senso velando la sua natura divina (che i vangeli esprimono in un quadro ancora dominato dal monoteismo assoluto della tradizione ebraica: Dt 6,4). Si ricordi che alcune volte nei Sinottici il titolo “Figlio di Dio” può non avere tutto il peso di un concetto ontologico e significare semplicemente “inviato” (vedi per es. le pagine del battesimo e della trasfigurazione, che sembrano da leggersi sulla linea di Is 42,1). Questa impostazione è propria delle comunità giudeo-cristiane, che però concluderanno il loro contributo teologico col IV secolo.

b) I vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca e inoltre le lettere paoline della prigionia aprono la pista che conduce al vangelo secondo Giovanni; il quale - pur comprendendo molti elementi precisati da un testimone oculare, e inoltre la dichiarazione netta dell’essere filiale di Gesù - in un ambiente culturale di matrice ellenistica, è tutto proteso all’affermazione della sua natura divina, in un iniziale contesto di monoteismo trinitario, con concetti sistematico-filosofici. Quest’affermazione sarà in seguito ampliata dai concili ecumenici del primo millennio, nei quali si trova un linguaggio dogmatico-ontologico: sostanza, natura, persona.

L’interpretazione della Scrittura è affidata alla chiesa, dal cui seno è nata, sotto la guida dello S.S. dal quale è stata ispirata (Dei verbum n. 12). L’ermeneutica è data dalla conoscenza dei testi (scienza biblica, in continuo sviluppo) nel contesto della fede della comunità credente. Abbiamo quindi un magistero dei dotti e un magistero dei pastori. Dio non è solo verità, ma essenzialmente amore; così la Bibbia ci è donata non per fare un professore, ma molti credenti (vedi Dei verbum, nn 5 e 8).

La teologia deve basarsi sulla Bibbia (Dei verbum n. 24), e la Parola di Dio non può dipendere dalle scelte teologiche (o dal magistero dei pastori: vedi Dei verbum n 10).

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