Dio e l’uomo: due poli della realtà
C’è una razionalità nella realtà da noi conosciuta (prima c’era il “caos”: vedi Genesi cap. 1). Dove c’è un ordine nella natura (es. atomo, finalismo), si deve postulare un “logos” (ragione, pensiero) ordinatore precedente. Non si spiega una casa guardando il cumolo di mattoni che la comporranno.
L’uomo è segnato dalla finitudine nell’ordine dell’intelligenza (non esaustiva conoscenza) e dell’azione (incompleta salvezza). Questa finitudine si manifesta nelle tre dimensioni temporali: nell’origine, nell’attuazione storica, nello scopo ultimo. L’uomo è un essere sempre insoddisfatto e orientato all’auto-superamento (tensionalità, dimensione escatologica). La sua creazione non è statica, ma un impulso verso la programmata realizzazione (vedi Efesini cap. 1).
Il peccato fondamentale di ogni uomo è la presunzione di “auto-soterìa” (realizzarsi da sé; vedi Genesi cap. 3). Per conoscere tutte le verità essenziali egli ha bisogno della rivelazione; per attuare tutte le operazioni che lo portano alla piena realizzazione ha bisogno della grazia divina.
Prima della persona umana c’è la natura (posseduta anche dall’uomo). Le scienze scoprono, utilizzano e applicano le leggi della natura a nuove realtà, anche nel caso di produzione di un nuovo organismo (e qualche “scientista” parla impropriamente di creazione).
La persona supera essenzialmente la natura fisica, nelle sue varie dimensioni (nessun animale è produttore di una cultura, di un’arte, di una storia, di un sistema economico). L’encefalo non spiega il pensiero. L’uomo è una fragile “canna che pensa”.
La persona si distingue dagli altri esseri viventi per l’autocoscienza e la libertà. Con la prima avviene la scoperta della relazione paritetica dell’Io con il Tu e coi i Tu (Noi); con la seconda l’uomo può scegliere i mezzi più adatti per giungere alla piena auto-realizzazione (salvezza).
Prima della libertà (libero arbitrio) dell’uomo c’è la persona, con la sua costituzione naturale; quest’ultima non prende origine dalla persona. Perciò l’uomo deve regolare la sua azione prima di tutto sulle norme fondamentali della natura sia fisica che antropica. L’uomo, che evidentemente non è apparso per un suo progetto, non è il padrone assoluto della natura, ma nemmeno di se stesso.
Nella fede l’uomo si scopre dipendente essenzialmente dall’Assoluto e comprende di essere fatto a imitazione della relazione esistente nella vita interna del Dio Tri-uno (o Uni-trino).
L’ateismo e l’agnosticismo fanno dell’uomo un assurdo (una realtà senza ragione né finalità); la fede ne fa un mistero (una realtà superiore alla nostra totale comprensione), che ci fa presagire la definitiva pienezza.
Solo il non credente - il quale “crede” fermamente che l’uomo rappresenti la perfezione - rimprovera a un ipotetico Creatore di aver dato origine a un essere imperfetto (segnato da limiti, dolore, morte, male).
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