giovedì 7 ottobre 2010

XXVIIIannoC

XXVIII DOM. ANNO C

Vediamo la differenza tra fiducia e fede. Nella protezione di un santo si può avere fiducia; ma solo in Dio si deve avere fede: “Credo in un solo Dio…”
Cosa significa credere? Non solo avere fiducia di essere aiutati, ma soprattutto riconoscere con gratitudine che solo Dio può salvarci. In altra forma: solo un Dio ci salverà.
Troviamo due brani in cui si passa dalla fiducia alla fede.

Incontriamo la figura di un lebbroso, simbolo dell’uomo peccatore. La lebbra deve essere vista simbolicamente: raffigura la situazione di peccato e di lontananza da Dio.
Non è appartenente al Popolo fedele a Dio, ma lo diventerà. La salvezza viene data a un estraneo, perchè come dirà san Paolo:“Dio vuol salvare tutti gli uomini”; la remissione dei peccati è per tutti, non, come credevano i farisei, loro proprio appannaggio..
Naaman, un pagano, è ammalato: non ha la pienezza della vita; deve essere “salvato”, cioè deve essere portato (non può giungere da sè!) alla salvezza da una persona a lui esterna. E’ la fede che salva. Lui, che è il comandante generale di uno stato potente, deve piegarsi ad accettare una salvezza che viene da un popolo considerato inferiore al suo. Alla fine non valgono i mezzi umani (lavarsi nel fiume degli uomini), ma deve ricorrere alla potenza del vero Dio: il Signore (il Dio degli ebrei).
Due sono i segni della sua fede: a) Egli arriva alla vera fede: riconoscere che chi ci dà la salvezza è a noi superiore (contro il solito peccato di superbia, dal racconto teologico della creazione fino all’uomo di ogni tempo e di ogni cultura): “Ora so che non c’è Dio se non in Israele”; b) Si ripromette, una volta tornato in patria, di offrire olocausti e sacrifici al vero Dio (usa termini tecnici della liturgia ebraica, del culto vero).
Chiede la guarigione ed ha la fede. Viene guarito con un lavacro: simbolo del Battesimo cristiano, che è insieme purificazione (liberazione dal male) e salvezza totale (ritorno alla pienezza di vita). Anzi in quella terra portata a Damasco da Israele fa intuire la sua adesione ufficiale al Popolo dei salvati
Il profeta, consapevole di non essere lui la fonte della salvezza (è “uomo di Dio”, non certo Dio), rifiuta ripetutamente il segno della riconoscenza.

Nelle stesse regioni di Naaman, Gesù opera il miracolo e porta alla salvezza. Attraversa un mondo misto costituito di ebrei e di pagani, espresso con una strana direzione geografica nel viaggio verso Gerusalemme (è nominata prima la Samaria e poi la Galilea).
L’incontro personale con Gesù porta sempre alla salvezza (guarigione e fede). Remissione del peccato (simbolica lebbra) per tutti, ma uno solo viene salvato; e uno stranero (contro la credenza comune).
I nove guariti, ebrei, stanno lontani da Gesù¸ (simbolicamente: senza salvezza): non avevano capito che la Legge di Mosè (AT) non basta. Mentre un estraneo ritorna a Gesù per manifestargli riconoscenza: non è come i farisei che ritenevano di aver diritto alla salvezza per le loro opere buone. Non fa questione sull’appartenenza del Messia a un popolo privilegiato (cfr Gv 4,20-24). Sa di avere il grande dovere della riconoscenza. Ma qui la parola (ri-conoscere) deve essere riportata alla sua origine: conoscere approfonditamente e più volte. Rende gloria a Dio (in Cristo che si rivela suo profeta)
La tua fede ti ha salvato: gli altri sono guariti, tu sei salvato.

1 commento:

  1. Il Vangelo di questa domenica è incentrato sulle tematiche della fede e della riconoscenza. Gesù si trova di fronte dieci lebbrosi, i quali implorano pietà e guarigione. La lebbra deve essere letta non come malattia del corpo, bensì come metafora di una malattia altrettanto sfigurante: quella dello spirito. Il grido dei lebbrosi è il grido dei peccatori, dei malati nello spirito: “Ἰησοῦ ἐπιστάτα, ἐλέησον ἡμᾶς”. Viene chiesta pietà per la propria natura creaturale e peccatrice, consci che l’unica medicina per l’anima solo Dio può somministrarla. Infatti questi malati vengono guariti ma solo un Samaritano torna da Gesù per ringraziarlo. Si deve distinguere allora, la fede del Samaritano da quella degli altri nove lebbrosi: solo la prima può dirsi una fede autentica. Una fede che non è solo un “fi-darsi” di Cristo ma un “darsi” totalmente a Cristo. Solo riconoscendo il ruolo soteriologico di Gesù e il suo amore per noi, si può vivere una vera fede, fatta di riconoscenza e di gratitudine. La fede dei nove lebbrosi non può dirsi una fede autentica: è un “fi-darsi” ma non certamente un “darsi”. Non ‘è riconoscenza per Dio, sembra che la salvezza sia un atto dovuto. E’ quel tipo di fede molto diffusa, volgarmente semplicistica. E’ il rivolgersi a Dio solo nel momento nel bisogno, è il ritenere che l’uomo da solo possa compiere ogni cosa (antropocentrismo e delirio di onnipotenza) ed è l’accusare Dio quando sembra che non ci presti ascolto. Come ho già osservato, la fede non è un traguardo bensì un cammino arduo da compiere in Cristo e con Cristo, avendo fede nella sua presenza e nel suo imperscrutabile, ma sconfinato, amore per noi.

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