giovedì 23 settembre 2010

XXVI dom. C

XXVI DOM. ANNO C

“C’era un uomo ricco…”. Dove sta il suo peccato? Osserviamo di passaggio che alcuni cristiani hanno in mente che avere dei soldi equivalga ad essere disonesto (e allora: chi offre tutto con liberalità?). Il peccato non sta nella cattiva condotta (non fa ingiustizia contro alcuno). E’cattivo quel riccone perché si interessa solo di ciò che è ricchezza: è il grande egoista (mentre il Cristianesimo ci insegna che i nostri beni hanno sempre un’apertura a chi è nel bisogno).
E’ superbo davanti a Dio (comportamento religioso). E’ chiuso: cieco di fronte alla vita futura (non stava bene qui?); è sordo di fronte al bisogno degli altri (quali doveri ha verso di loro?).
“Un povero (Lazzaro) stava davanti alla sua porta…”. E’ umile di fronte a Dio. Spera e ama (apertura). E’ abbandonato: (secondo un’interpretazione) non riusciva a scacciare i cani randagi (che allora da quelle parti erano pericolosi).
Nell’AT la ricchezza è vista sotto un duplice aspetto: a) come segno della benedizione di Dio (così la pensano anche i calvinisti, come teorizzò Max Weber); b) come ateismo ed egoismo.

Nella parabola non c’è un invito ad accettare passivamente la propria situazione socio-economica (la religione sarebbe “oppio del popolo”, come predicava Karl Marx), ma a cambiare condotta morale (la conversione, dalla quale parte l’adesione al Cristianesimo).
Il dono (ricompensa) che riceveremo da Dio è in proporzione al dono che offriamo ai fratelli: “Tutto quello che avrete fatto….” (Mt 25).
La situazione si capovolgerà quando risorgeremo a nuova vita (agli ebrei Gesù dice: “Nel seno di Abramo (accanto ad Abramo)”. Le beatitudini secondo Luca: “Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati” (i verbi sono al futuro).
Ma la situazione comporta un’inversione di rotta anche in questo mondo (c’è un anticipo della “giustizia” di Dio, per cui la comunità dei cristiani può diventare una “icona” del paradiso). Nel “Magnificat”: “Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (verbi al passato).

Prima domanda ad Abramo (che è il custode dell’aldilà, come noi semplicemente pensiamo di San Pietro): “Manda Lazzaro a intingere….soffro di questa fiamma”.
Risposta a): "Hai ricevuto i tuoi beni….lui è consolato” (giustizia di Dio, che riequilibra la partita). Risposta b): “Un grande abisso tra noi” (irreformabilità del giudizio finale di Dio; non però una descrizione topografica dell’aldilà).
Poniamoci nella situazione della prima comunità cristiana: al tempo di Gesù solo i “poveri” (gli emarginati, che non godono la stima del mondo) accolgono il vangelo; la parabola è detta per i farisei (i “ricchi”, coloro che comandano). La comunità primitiva è formata da chi ha i beni in comune (At 2) e da chi è perseguitato dai "potenti". Notiamo che nelle parabole solo a questo povero si dà un nome (un’identità relazionale), come ricorda la “colletta”.
Amos nel 750 a. C. parla degli egoisti e spensierati; andranno per primi in esilio (parla solo di punizione): dopo trent’anni il popolo (e per primi i suoi capi) del regno Nord sarà deportato in Mesopotamia.

Seconda domanda ad Abramo: “Manda Lazzaro dai miei fratelli….li ammonisca severamente….” (finalmente ha capito il pericolo della ricchezza egoistica: perdere tutto!).
Risposta: Ascoltino la Parola di Dio” (ammonimento al cristiano che ha bisogno di vedere un miracolo alla settimana; attenzione a fondare la fede soltanto sul sentimentalismo, perché in questo caso si tratta piuttosto di devozione). Gv 12 ci dice addirittura che volevano uccidere il Lazzaro di Betania, risuscitato da Gesù!).
Noi cristiani abbiamo il più solido fondamento della speranza in Cristo risorto (1Cor 15). Sono superflue nuove rivelazioni (che non possono mai stare alla pari con la Parola di Dio).
Nella parabola Dio non è mai nominato: tu lo trovi nel piccolo, nel povero, nel bisognoso, in quel “disturbatore” che non vorresti riconoscere come fratello.

2 commenti:

  1. Dopo averci redarguito ed ammonito dicendo: “Non potete servire a Dio e a mammona”, Gesù riprende nuovamente il tema della ricchezza e del suo utilizzo. Su questo infatti bisogna riflettere. Non viene fatta una demonizzazione della ricchezza in sé ma del suo utilizzo improprio, egoistico che rischia di tramutarsi in una vera e propria idolatria del denaro (come ci ricorda il libro del “Qoelet”). Ed è questo l’atteggiamento del ricco epulone: considerare il contingente alla stregua dell’Assoluto. Ridurre l’esistenza umana alla sua più bieca componente materialistica. Questo è il male di cui parla S.Agostino: amare un bene inferiore in luogo di quello superiore. Ma soprattutto il venire meno a quella che è considerata la più importante delle virtù teologali: la carità. Carità verso Lazzaro, che giace in condizione di indigenza e di malattia. Il ricco, venendo meno alla misericordia, viene meno alla sua stessa umanità. Ma per quanta iniquità macchi il mondo, una giustizia esiste. La teodicea. Una giustizia che non è di questo mondo il che ha due conseguenze: la giustizia terrena non coincide con la giustizia divina, non operando questa nella mondanità. La giustizia divina non può essere oggetto di comprensione da parte dell’uomo. La giustizia divina (al pari della fede) si configura come “salto nel vuoto”. Ma il ricco epulone ha, ora che è nell’Inferno, chiede pietà ad Abramo: ma questi gli rammenta (pur in termini diversi) la libertà di cui è stato investito e che male ha esercitato. Il ricco incalza allora Abramo chiedendo di ammonire la condotta dei suoi fratelli: ma neanche stavolta Abramo acconsente. L’operato dei fratelli (come quello dell’umanità i generale) ha già il suo fondamento nella persona di Cristo e la richiesta di una teofania è un utilizzo strumentale della religione. L’umanità dovrebbe essere per tutti l’unica teofania di cui necessitiamo.

    Marco C.
    per commenti, domande, critiche: gciuro@alice.it

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  2. Forse è proprio l'egoismo che sta alla base sia delle grandi mancanze a cui va incontro chi tiene troppo alla ricchezza o all'ateismo. L'unica via però rimane l'Amore vero che può elargire un cuore aperto a Cristo. Tale amore dà goia e unisce profondamente al Padre. Non è però quello possessivo e pretenziale che molti perseguono, nè quello urlato, nè quello che alcuni ravvisano in chi dona superficialmente il superfluo. E' il più difficile da raggiungere, quello gratuito, quello che avvicina alle persone scomode, quello che ci fa illuminare nell'intimo e senza bisogno di mostrarsi migliori di altri, mentre si "ascolta" la Parola.

    Ribz VR

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